Home / Senza categoria / La lotta operaia alla raffineria ENI di Gela
raffineria-di-gela

La lotta operaia alla raffineria ENI di Gela

* di Salvatore Vicario

Picchetti, presidi in città, assemblee, tanta rabbia. Da 15 giorni, centinaia di operai e operaie della raffineria ENI di Gela e dell’indotto (3.500 posti di lavoro in tutto), bloccano gli ingressi alla raffineria e agli impianti di raccolta impendendo di fatto anche i lavori di estrazione, presidiando anche i depositi del greggio già estratto per impedire che venga caricato sulle petroliere e portato a lavorare in altri siti.

Forme di protesta non nuove che ricordano quelle attuate nel 2000, e che in dimensioni minori sono state attuate dagli operai dell’indotto della Smim e Tucam che tra aprile e maggio avevano bloccato gli accessi con due presidi permanenti sui due ponti che conducono allo stabilimento industriale, per protestare contro i licenziamenti a seguito dei nuovi appalti dell’indotto, con l’arrivo della Sicilsaldo e Ergo Meccanica che non hanno riassorbito nessun operaio. A bloccare la protesta nei mesi scorsi furono i sindacati che al primo accenno di “radicalizzazione” del conflitto sono corsi dal prefetto per cercare una “soluzione” che ha smobilitato i lavoratori sulla base di promesse mai avverate, in quanto le due aziende appaltatrici hanno assunto tramite le agenzie interinali (con contratti di primo livello) aggirando così gli accordi che prevedevano le maggiori garanzie acquisite negli anni dai lavoratori.

Ma in questi giorni nessuno è riuscito a placare gli operai, che stanno realizzando il totale blocco degli accessi della Raffineria, compreso il cambio dei turnisti con la direzione dell’ENI che è in procinto di chiedere la precettazione per i lavoratori degli impianti di sicurezza; nel mentre le petroliere cominciano ad affollarsi nel litorale gelese, con la viva minaccia di bloccare anche la Green Stream, consociata dell’ENI, nodo cruciale dove transita il gas proveniente dalla Libia, verso l’Italia e il resto d’Europa. Il nuovo amministratore delegato, Carlo Guarrata (voluto da Renzi), lo scorso 2 Luglio ha comunicato ai rappresentati sindacali la revoca degli investimenti (700 milioni di euro) annullando i programmi di riqualificazione delle tre linee produttive e annunciando il fermo definitivo delle linee di raffinazione del greggio, e avanzando due vie o la chiusura o la trasformazione dello stabilimento in una bioraffineria (deposito di greggio) che comporterebbe centinaia e centinaia di “esuberi”. Inoltre l’ENI assicura la continuità operativa solo per la raffineria di Sannazzaro (Pavia) e di Milazzo (Messina) per il 50% di sua proprietà, mentre un futuro ancor più cupo sembra prospettarsi per le raffinerie di Taranto, Livorno, Porto Marghera, così come anche quella di Priolo (Siracusa).

L’ENI, la più grande multinazionale italiana (con un fatturato di 167,9 miliardi e 10 miliardi di utili nel 2013) e tredicesima al mondo, sta applicando un piano di ristrutturazione nel quadro della competizione internazionale nel mercato energetico, attraverso la dismissione degli stabilimenti di lavorazione del petrolio greggio alla ricerca di manodopera a più basso costo, senza rinunciare ovviamente all’estrazione. La Fitch ha messo in guardia dal rischio di un downgrade, nel caso in cui la ristrutturazione del gruppo non dovesse portare a miglioramenti, anche a causa dei margini di raffinazione in Europa che dovrebbero rimanere tali per i prossimi 1-2 anni a causa della sovracapacità, con un surplus europeo di 120 milioni di tonnellate di raffinato, degli squilibri da domanda e forniture e della forte competizione dei monopoli USA e Russi.

Alla raffineria di Gela gli ultimi anni sono stati già caratterizzati da tagli al personale e ammortizzatori sociali, con l’attiva compiacenza dei sindacati che hanno accettato passivamente tutte le necessità padronali e le promesse della multinazionale italica, bloccando ogni forma di protesta, insieme alle istituzioni locali. Ultima proprio la promessa dell’ENI dell’investimento di 700 milioni e della ripresa a pieno regime della produzione, con l’accordo siglato nel Luglio 2013 che prevede il taglio di circa 400 lavoratori entro il 2017. Lo scorso 15 Marzo un incendio all’interno dello stabilimento ha causato il blocco per un paio di mesi, ma anche quando la produzione sarebbe potuta ripartire, ENI ha fatto sapere di voler mantenere lo stop fino a dicembre, utilizzando gli ammortizzatori sociali; tutti fatti che lasciano pensare all’intenzione dell’ENI di ridimensionare drasticamente l’industria di raffinazione in Italia (a partire proprio da Gela), per rimanere un grande gruppo nelle trivellazioni, esplorazione e estrazione. Nel contempo infatti è arrivata la concessione per le trivellazioni da parte del governo Crocetta, che adesso minaccia di revocarle se l’ENI non rivedrà le sue intenzioni. Ma quanto le parole di Crocetta non abbiano alcun valore è la storia recente a dirlo, basta osservare la vicenda MUOS dove il governatore del PD (con un passato nel PdCI e di sindaco proprio di Gela) dopo una serie di annunci roboanti contro questo e quelli, ha alla fine spalancato le porte al progetto militare degli USA, fra l’altro a pochi Km proprio dalla raffineria di Gela. Nulla da aspettarsi pertanto da un parolaio come Crocetta, membro di un PD totalmente alle dipendenze degli interessi del capitalismo monopolistico.

Negli ultimi giorni sono partiti già i primi licenziamenti, riguardanti al momento 15 operai della “Riva e Mariani”, un’impresa appaltatrice che opera nel settore della coibentazione e dell’isolamento termico di apparecchiature e tubazioni, a cui potrebbe far eco la francese “Ecorigen” (azienda chimica), che effettua lavori di rigenerazione dei catalizzatori per l’industria petrolchimica, a causa del fermo prolungato della raffineria che non garantisce più la fornitura di gas come l’idrogeno e l’acido solfidrico, usati come materie prime per i processi di lavorazione. 90 lavoratori sono a rischio di immediato licenziamento. Ciò sta facendo aumentare la rabbia ma anche la frustrazione negli operai, che privi di organizzazione, esperienza di lotta e conseguente coscienza, nella loro gran parte “aspettano” la “mano delle istituzioni” (o peggio ancora se è possibile, dal Papa) e continuano come in tutti questi anni a delegare ai sindacati concertativi, che dopo giorni di impasse hanno proclamato lo sciopero generale negli stabilimenti ENI. I lavoratori pagano il forte arretramento del movimento operaio siciliano, fortemente cooptato dal padronato, dal sindacato asservito, dai politicanti locali e dalla Chiesa. Tutto questo avvantaggia decisamente l’ENI, ma di fronte al baratro del licenziamento di massa e uniti nella pratica della lotta, condividendo la fatica, la rabbia, le idee, fianco a fianco, si può iniziare a creare la “coscienza” che solo dal livello di radicalità e organizzazione della propria lotta potrà aprirsi uno spiraglio. Dai blocchi infatti giungono notizie importanti in questo senso, con gli operai dell’indotto, in particolare i combattivi operai Smin, e gli operai del diretto che si stanno affiancando nella lotta, elevando il livello della conflittualità, e nulla può l’intervento dei sindacalisti pompieri che adesso rischiano seriamente le “mazzate” come riporta un operaio Smin intervistato su terrelibere.org, raccontando di come gli operai del diretto hanno quasi gettato in mare un sindacalista che li invitava a smorzare gli atti di protesta. La minaccia del blocco del metanodotto Greenstrem esplicitata in una lettera pubblica è stata individuata come la chiave per modificare i rapporti di forza verso il governo e l’ENI chiedendo l’apertura di un tavolo.

L’ENI, in tutti questi anni ha avuto completa mano libera nello sfruttamento degli operai e del territorio, divenendo l’unico e reale potere, desertificando e inquinando tutta l’area, attraverso il ricatto occupazionale e politiche “sociali” concordate con le istituzioni locali, con finanziamenti all’associazionismo locale, feste e opere pubbliche, come il campo di calcio comunale intitolato a “Enrico Mattei”, nel quartiere Macchiella. Tutti doni non certo disinteressati, volti a dare un immagine della partecipazione della fabbrica alla vita comune, sociale, il “capitalismo dal volto umano”. Tutta la città infatti ruota attorno al Petrolchimico che con il suo arrivo nel 1959, ha soppiantato del tutto il tessuto sociale che si basava sull’agricoltura, la pastorizia, sulle miniere di zolfo, sconvolgendo l’equilibrio sociale col progresso industriale; pastori e contadini sono diventati operai. Lo stabilimento è stato concepito come una “cattedrale nel deserto” producendo una dipendenza viscerale di generazioni di proletari dalla fabbrica, dalla sua esistenza e durata, dal padrone.

Lo scorso 1 Aprile, nella raffineria morì l’operaio dell’indotto, Antonio Vizzini, schiacciato da una gru, aggiungendosi al lungo elenco di morti della raffineria, direttamente sul lavoro o a causa di malattie direttamente collegate al lavoro. A gennaio è morto infatti, dopo una lunga battaglia, l’ex operaio Salvatore Mili, dello stabilimento Clorosoda, tristemente definito oramai come “reparto killer”, con almeno 12 morti “sospette”, ma l’associazionismo ambientalista, piccolo-borghese, ha sempre posto la questione meramente sul lato della “salute” e salvaguardia dell’ambiente nella logica fallimentare di contrapposizione tra “lavoro” e “ambiente” facendo il gioco dell’Eni stessa, isolando le lotte e contrapponendole, sostenendo la chiusura dello stesso stabilimento. Dall’altra parte i sindacati hanno sempre impostato la questione sull’accettazione dello status quo nella difesa degli interessi aziendali, portando gli operai stessi a lottare per gli interessi aziendali a scapito dei propri, in nome della garanzia del lavoro e quindi del salario. La multinazionale ENI non esita a ripagare con il licenziamento di massa, questa devozione verso l’azienda tramite i sindacati collaborazionisti.

La situazione alla raffineria di Gela è una grande lezione da apprendere. Le multinazionali non hanno patria alcuna, dominano sulla base dei loro interessi nel quadro del capitale internazionale, sfruttano liberamente i territori e si disfano degli operai quando non servono più, lasciando un territorio come quello di Gela, distrutto dal punto di vista ambientale e sociale. Questo è il capitalismo monopolistico, questo è il frutto della credenza e subalternità ad un inesistente “capitalismo dal volto umano” e “interesse nazionale” dei capitalisti, pubblici e privati, per i quali si è tutti nella “stessa barca” solo quando c’è da chiedere sacrifici ulteriori alle masse popolari, su tutti agli operai. E’ una lezione per tutti i lavoratori, sull’importanza vitale dell’autonomia e indipendenza di classe per la lotta per i propri interessi che sono sempre antagonistici a quelli del capitale, dei padroni di ogni latitudine, dell’oligarchia finanziaria.

Sostenuta da fondi pubblici, l’ENI è in mano all’oligarchia finanziaria muovendosi all’interno della competizione tra i monopoli energetici, adattandosi alle necessità di ristrutturazione e ripartizione del mercato, per continuare a ripartire lauti dividenti agli azionisti, sulle spalle della classe lavoratrice. Più volte in questi giorni si sente intorno alla vicenda della raffineria di Gela, la parola “tradimento”. No, l’ENI non sta tradendo nessuno… la classe padronale fa i suoi interessi, all’interno del mercato globale. E’ ora che i lavoratori facciano i propri, rifiutando l’abbraccio mortale dei nemici di classe e dei lacchè, preti e politicanti vari, rivendicando che l’ENI è degli operai!

 

 

Commenti Facebook

About Redazione Senza Tregua

Giornale ufficiale del Fronte della Gioventù Comunista

Check Also

salario-minimo

Salario minimo. Tra necessità, propaganda e mistificazioni

di Angelo Panniello, Michele Massaro e Markol Malocaj La questione del salario minimo in Italia …