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Le contraddizioni in seno alla resistenza curda

* di Daniele Bergamini

La battaglia di Kobane ha scatenato nella sinistra italiana un grande moto di solidarietà nei confronti del popolo curdo aggredito dai fondamentalisti dell’ISIS, ma come spesso accade si dimenticano le contraddizioni del movimento curdo, mentre la propaganda imperialista svuota la resistenza curda del suo contenuto di classe. Innanzitutto bisogna avere presente la vasta eterogeneità del movimento curdo, diviso in partiti di qualsiasi estrazione ideologica che variano il loro consenso a seconda delle varie regioni del Kurdistan.

La storia moderna del movimento curdo inizia dopo la disgregazione dell’Impero Ottomano: nel 1920 il trattato di Sevres concedeva autonomia e diritto di secessione ai curdi, ma Ataturk sconfiggendo le varie rivolte curde riuscì a tenere unita la Turchia. Durante il 1946 venne stabilita una piccola Repubblica Sovietica al confine turco-iraniano che ebbe vita breve a causa della repressione perpetrata dall’esercito persiano.

Oggi i mass media nel documentare lo scontro tra i curdi e le orde oscurantiste dell’ISIS danno parecchio risalto ai cosiddetti Peshmerga. E’ necessario però prestare parecchia attenzione alla parola Peshmerga: in curdo significa guerrigliero ma oggi il termine si usa per indicare l’esercito del governo regionale del Kurdistan Irakeno, che è presieduto dal Partito Democratico del Kurdistan di Massud Barzani (erede della Repubblica Sovietica del 1946 ma che ha compiuto un’involuzione simile al nostro PCI) e dall’Unione Patriottica Curda di Jalal Talabani.

I Peshmerga in passato si sono schierati con gli Stati Uniti nelle guerre del golfo e oggi beneficiano delle armi americane per combattere contro il califfato, oltre al sostegno israeliano nella creazione di uno Stato indipendente nell’Iraq settentrionale. Il governo di Barzani ha iniziato inoltre a dialogare con Erdogan per vendere petrolio alla Turchia, in un’alleanza tra le due borghesie che è una tattica per combattere la sinistra curda ostile ai capitali stranieri nel territorio curdo.

Il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) dalla sua nascita nel 1978 ha da sempre rappresentato una minaccia per la borghesia turca e anche per le fazioni filo-imperialiste della borghesia curda, infatti oggi il Partito di Ocalan si oppone alla nascita del Kurdistan Irakeno e in passato si è scontrato con il PDK in Turchia.

Per tutti gli anni ottanta il Partito dei Lavoratori ha mantenuto una impostazione ideologica marxista-leninista del tutto simile ai partiti filocinesi, ma durante gli anni novanta è passato a una visione libertaria e revisionista e non pone più la questione della presa del potere.

La propaganda occidentale esalta i Peshmerga come eroi e combattenti per la libertà, ma in realtà sono stati inviati solo 150 unità (1) e come questi possono essere di supporto alle migliaia di combattenti di Kobane resta un mistero!

Durante gli scontri a Rojava contro l’ISIS, i Peshmerga si sono volutamente ritirati nonostante i loro armamenti fossero di qualità migliore rispetto a quelli dei guerriglieri del PKK e del PYD, mentre il governo turco bombardava le posizioni del PKK al confine con la Siria rompendo la tregua firmata da Ocalan.

I Peshmerga si sono impegnati a non lasciare nelle mani dell’YPG le loro armi e le loro azioni saranno prevalentemente bombardamenti di artiglieria, mandando quindi al macello i combattenti della sinistra curda.

Ed è quindi evidente che la borghesia curda è in combutta con l’imperialismo e la borghesia turca per reprimere il proletariato curdo, gareggiando con le petro-monarchie per fornire petrolio a Isreale esattamente come i turchi e il califfato.

Sembra anche che i fondamentalisti non attacchino più i Peshmerga in Iraq, ed è curioso notare come si stiano concentrando a combattere in Siria il governo baathista e la sinistra curda.

I curdi siriani invece hanno assunto una posizione di non allineamento rispetto alla guerra civile siriana, ma comunque prima dell’ascesa del califfato hanno ingaggiato scontri contro i fondamentalisti di Al Nusra, oggi alleati dell’ISIS.

Alla base della resistenza di Kobane e Rojava vi sono l’YPG e dell’YPJ (rispettivamente Unità di Protezione Popolare e Unità di Protezione Femminile), bracci armati del PYD ossia l’Unione Democratica Curda che sta promuovendo una vera e propria alternativa al capitalismo turco basata su piccole comuni in cui si gestisce la vita politica ed economica e le decisioni sono sottoposte alla votazione degli abitanti.

Si può obiettare che il PYD non comprenda l’oggettivo anti-imperialismo della Siria baathista e sottovaluti il potenziale reazionario dei “ribelli siriani”, ma bisogna tenere conto degli esperimenti sociali promossi da questa entità politica e di quelle contraddizioni che si possono sviluppare tra il proletariato e la borghesia nazionale siriana.

I rapporti con la Siria sono stati molto complessi e travagliati, storicamente vi sono stati periodi di scontri anche gravi tra le due forze politiche e altri periodi di massima collaborazione in funzione antiturca: oggi per esempio viene manifestata dal PYD la volontà di non formare uno Stato indipendente dalla Siria abbandonando il separatismo in senso lato in favore di un autogoverno regionale:

“…I curdi siriani non vogliono l’indipendenza e nemmeno una struttura federale simile a quella del Kurdistan iracheno. Vogliamo solo il più ampio riconoscimento dei nostri diritti politici e culturali e vogliamo governare la nostra regione. Siamo parte della Siria e vogliamo vivere in buone relazioni con gli Arabi…”.

 

“…Che cosa è questa che chiamano Opposizione? Sono a pezzi, si saltano alla gola a vicenda. Se quelli che combattono in Siria non riconoscono quelli in giacca e cravatta che siedono a Istanbul come i loro legittimi rappresentanti, perché dovremmo farlo noi?…”. (2)

Anche il PYD come il PKK si pone in una visione non leninista rispetto alla concezione dello Stato e della tattica anti-imperialista, tuttavia è innegabile che sono riusciti a mobilitare la classe operaia curda contro l’ISIS.

La mancanza di una corretta comprensione del marxismo-leninismo è alla base di errori gravi nell’impostare la lotta contro formazioni reazionarie: se da un lato i filo-imperialisti dell’FSA (Esercito Libero Siriano) accusano i curdi di fare il gioco di Assad perché essi si concentrano soprattutto sul combattere i salafiti visti come manovali della Turchia, dall’altro lato vengono invocati in modo molto ambiguo appelli alla comunità internazionale e addirittura alla NATO per intervenire contro i massacri del Califfato (3).

Bisogna avere il coraggio di schierarsi contro questa decisione, che come dimostrato dagli eventi è assolutamente controproducente, ma la collaborazione con l’imperialismo innanzitutto è data dall’accettazione dei capitali esteri nel proprio territorio unita a relazioni coloniali; inoltre il PYD ha da sempre rifiutato di collaborare con l’Esercito Libero Siriano, opponendosi quindi alle pressioni nordamericane sui curdi siriani.

I movimenti marxisti-leninisti come il Partito Comunista di Turchia e altre storiche formazioni maoiste hanno dato ampio sostegno alla resistenza curda con mobilitazioni nelle maggiori città ma anche con la guerriglia, in risposta alla repressione turca che da decenni miete vittime per conto della NATO.

Le contraddizioni presenti nel movimento curdo sono alla base di accuse per cui i curdi sono in realtà  servi del patto atlantico, addirittura alcuni revisionisti sostengono supinamente la tesi americana per cui il PKK è un’organizzazione terroristica, ma il fatto che molti curdi sono massacrati e imprigionati  in Turchia smentisce queste vergognose accuse. Tuttavia bisogna essere chiari e anche saper criticare aspramente le scelte tattiche e strategiche dei movimenti curdi: bisogna difendere Kobane e Rojava ma un partito comunista che si rispetti deve saper evidenziare errori opportunistici o estremistici delle forze politiche curde.

Il governo non esita a usare i fondamentalisti islamici per attaccare le sedi dei vari gruppi politici.

La Turchia deve conciliare il suo espansionismo con le mire della NATO, sua alleata e padrona, in modo da schiacciare le sinistre e i curdi da una parte e dall’altra evitare che la Siria riesca a pacificarsi in modo da proporre un modello economico e politico anti-imperialista e laico, l’esatto contrario della proposta dell’AKP che ha trovato il suo alleato naturale nei fondamentalisti islamici dell’ISIS.

Per combattere l’imperialismo occidentale è necessaria l’unità dei movimenti anti-imperialisti della regione oltre che ovviamente un partito comunista ben organizzato. Il PC di Turchia ha affermato che: “Saranno i popoli della regione, unificando la loro lotta contro l’imperialismo, a stabilire la pace. E sarà questa lotta unitaria che distruggerà i terroristi jihadisti, come tutti gli altri che lavorano per l’imperialismo.”(3)

Di tono analogo è la dichiarazione di Khaled Bharakat del FPLP palestinese che ha chiesto un fronte rivoluzionario unito nella regione araba affermando che solo la mobilitazione popolare può sconfiggere la reazione, non i bombardamenti americani che in realtà sono becera propaganda appoggiata da quei gruppi settari che hanno scatenato la sanguinosa guerra civile siriana appoggiati dal sionismo.

E’ quindi necessario che i popoli dei paesi oppressi e/o minacciati dall’imperialismo si uniscano per combatterlo e per iniziare il cammino della rivoluzione proletaria.

NOTE:

 

(1)   Turchia, 150 Peshmerga diretti a Kobane – Ansa, 28 Ottobre

 

(2)   Siria, la minoranza curda nella crisi siriana – Enrico Vigna – resistenze.org – Dicembre 2013

 

(3)   Salih Muslim (PYD): le potenze internazionali intervengano subito per scongiurare un genocidio nel cantone di Kobanê in Siria – Rete Kurdistan – Settembre 2014

 

(4)   Dichiarazione del PC di Turchia su Kobane, IS e imperialismo – resistenze.org  

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