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Introduzione a Pietro Secchia

* il brano qui riportatato a firma di Salvatore Vicario costituisce l’introduzione della raccolta di scritti su Pietro Secchia pubblicata dal Fronte della Gioventù Comunista e dalla redazione di Senza Tregua e consultabile all’indirizzo http://issuu.com/senzatregua/docs/secchia_scritti

La costruzione teorica e ideologica del movimento comunista in Italia su una base marxista-leninista, richiede di proseguire nell’approfondimento dello studio della nostra storia. Con Gramsci, a cui abbiamo dedicato e continueremo a dedicare ampio spazio, un’altra figura importante della storia del movimento operaio e comunista italiano e internazionale è Pietro Secchia a cui in occasione del centenario della sua nascita (19 Dicembre 1903) dedichiamo questo lavoro collettivo sulla sua straordinaria vita e militanza comunista. Studiare Pietro Secchia, nome di battaglia Botte, vuol dire prima di tutto studiare un uomo d’azione, che ha costruito il Partito giorno per giorno in condizioni terribili e ha combattuto per il proletariato per oltre cinquant’anni. Soffermarsi sul patrimonio storico e teorico lasciatoci da Secchia vuol dire riflettere criticamente sulla storia del Partito Comunista Italiano e su importanti passaggi cruciali nella storia del movimento operaio italiano ed internazionale del ‘900. Negli ultimi anni della sua militante vita, egli concepì un’opera di raccolta di documenti e articoli dal titolo “La resistenza accusa, 1945-1973”, che pensò principalmente per i giovani, a cui volle fornire un quadro entro il quale fossero aiutati chiaramente ad orientare la loro crescita politica, lasciando a tutti noi uno straordinario patrimonio il cui apprendimento è decisivo per rafforzare la lotta di classe e popolare di oggi e nel futuro, in particolare in una fase di ricostruzione. E’ con questo spirito e intento che abbiamo concepito e sviluppato questo lavoro, consapevoli che tanto altro approfondimento e studio richiede l’opera di Secchia e la storia del PCI.

Con Pietro Secchia, si percorre una sorta di “filo rosso” a partire dalla fase immediatamente successiva alla nascita del Partito Comunista d’Italia, nel contesto dell’affermazione del fascismo, alla Resistenza ed alla Liberazione, dalle contromisure da adottare, all’atteggiamento da tenere nelle diverse fasi, alle diverse modalità di lotta, a partire dalla resistenza armata fino alla sua morte nel ’73, a causa dell’avvelenamento subito nel suo viaggio in Cile per mano della CIA.

Già all’età di 16 anni, Secchia, costituisce il primo circolo socialista del proprio paese, Occhietto, nel biellese, sotto l’influenza dell’Ordine Nuovo e dell’esempio della grande Rivoluzione d’Ottobre, che nel corso della sua vita comunista mai lo abbandoneranno. Fin dai primi anni della loro fondazione, Secchia fu uno dei principali animatori, organizzatori e dirigenti della FGCI e del PCI, tra i più attivi quando nel 1931 venne arrestato dai fascisti e imprigionato per 12 anni. Concepì la sua vita come instancabile militante, dirigente, organizzatore, interprete coerente e creativo dell’insegnamento di Lenin e fedele ai principi della III Internazionale, lottando contro le deviazioni di “destra” e di “sinistra” e dando un contributo fondamentale nella concezione del Partito e della lotta in clandestinità contro il regime fascista e per la costruzione ovunque dell’organizzazione di Partito. Fu sempre presente in lui la capacità straordinaria di condurre una analisi concreta sulla situazione concreta, sulla base dei principi del marxismo-leninismo, studiando le contraddizioni, i rapporti di forza, l’individuazione del nemico e del modo migliore per combatterlo unendo le masse popolari intorno alla classe operaia. Così concepì la lotta al fascismo come parte integrante della lotta di classe, da condurre attraverso il “Fronte Popolare”, senza perdere l’autonomia e prospettiva rivoluzionaria propria dell’avanguardia della classe operaia, in cui la strategia insurrezionale era volta anche allargamento dello stato d’agitazione per la rivoluzione contro il potere borghese e il capitalismo. Non sottomise quindi gli interessi del proletariato a quelli della nazione, ma al contrario concepiva che gli interessi del proletariato erano quelli della nazione, lottando incessantemente contro l’attendismo e per l’organizzazione della Resistenza in ogni fabbrica, in modo che gli operai fossero poderosa parte attiva nella lotta e la fabbrica “il fulcro della lotta contro i tedeschi e i fascisti, le agitazioni degli operai appoggiarono le azioni partigiane e queste a loro volta contribuirono a rendere più facile il successo delle rivendicazioni dei lavoratori”. Secchia, diede un grande contributo all’organizzazione della Resistenza, che fu un processo tutt’altro che spontaneo che egli stesso ricorda così: “Se nei grandi scioperi del marzo 1943 e nei movimenti popolari del 25 luglio e dell’8 settembre 1943, il Partito comunista italiano si trovò ad essere alla testa delle masse in lotta, ad essere alla testa del movimento partigiano e della guerra di liberazione nazionale, questo lo si deve all’azione da esso svolta durante tutto il ventennio fascista. Preoccupazione costante del partito in quegli anni «neri» non fu, solo quella di rafforzare la sua organizzazione clandestina, ma un grande sforzo venne compiuto per organizzare, sia pure in forme elementari, le masse dei lavoratori, per sviluppare un’attività sindacale, per rimanere a contatto con le masse degli operai delle città e con i lavoratori delle campagne e soprattutto per riuscire a promuovere e a dirigere le agitazioni, gli scioperi, i movimenti di malcontento, le azioni di lotta contro il fascismo”.

Difenderà sempre questo carattere della Resistenza, che non fu un percorso unitario e che vide enormi contraddizioni tra le forze politiche di classe che sostennero e si impegnarono nella lotta armata per convinzione, e i partiti borghesi che agirono per convenienza, spesso con l’obiettivo di minare fin da subito la profonda portata progressista e innovatrice nella Resistenza. Nel maggio del ’45 Secchia afferma che: ”Il rinnovamento che noi chiediamo non deve limitarsi ad un semplice ed ordinario rimaneggiamento ministeriale, al cambio di qualche persona, ma deve essere una vera e propria svolta nella vita politica italiana, deve significare la eliminazione radicale delle cricche reazionarie dalla direzione del paese, deve voler dire governo del popolo, governo delle forze che sono state l’anima e la forza della nostra insurrezione nazionale”, ribadendo a gran voce la necessità dell’epurazione degli “agenti dello straniero” dalle officine, dagli uffici, dall’amministrazione pubblica, dall’esercito, dalla polizia, dalle scuole, individuandoli non solo in quelli che portavano il “distintivo fascista” ma identificandoli nei nemici dei lavoratori, nei reazionari di tutte le risme che si sforzano di coalizzarsi. Parole che già annunciano il pericolo di ciò che divenne realtà nel ’47, col tradimento dell’ “unità nazionale” da parte della Democrazia Cristiana con l’estromissione dal governo dei comunisti, con l’inizio di un periodo di forte repressione anti-operaia, in cui l’Italia con De Gasperi diventa il nemico numero uno dell’Est e del Socialismo, alle volontà degli USA. Pietro Secchia, in questo contesto si recò in URSS per un incontro segreto con Stalin, Zdanov e altri dirigenti del PCUS, nel quale si evidenziano tutti i punti critici della politica togliattiana dell’ “unità nazionale”,  tanto che dopo gli attentati a Togliatti nel 1950, Stalin propose di “spostare” Togliatti dal ruolo di Segretario del PCI destinandolo al pur importante ruolo di direzione del Cominform, cosa che avrebbe condotto alla nomina di Secchia a Segretario del PCI. Proposta approvata dalla Direzione del PCI, ma rifiutata da Togliatti.

Pietro Secchia è la chiave per comprendere la Resistenza e gli elementi che portarono passo dopo passo alla mutazione genetica del PCI, che assunse il carattere riformista in particolare a seguito della morte di Stalin, periodo in cui nel PCI avvenne l’annientamento politico di Secchia, tramite l’orchestrato “caso Seniga”, con la rimozione dalle cariche di vicesegretario generale e di responsabile dell’Organizzazione. Il dissenso di Secchia fu sempre interno al Partito, anche quando fu emarginato, rivolgendo la propria critica al ruolo che il PCI non esercitava, alla mancanza della dovuta azione in difesa delle conquiste della Resistenza, all’emarginazione dei quadri provenienti dall’esperienza della lotta armata, la mancanza della prospettiva della presa del potere nelle nuove generazioni, fattori di cui intravede e intuisce per primo l’enorme portata nel Partito. La sua critica venne spesso strumentalizzata con l’intento di denigrare la sua figura e le posizioni espresse, rinchiudendola in categorie quali “estremismo” e “avventurismo”, quando in realtà la sua fondata e profonda accusa era rivolta contro una linea politica appiattita sulla ricerca della visibilità istituzionale che avrebbe portato a “una situazione sempre più difficile, una situazione di cedimento e di ritirata tale che ci porterebbe via via a perdere tutto e ad aver perso tutto, a trovarci in un regime diverso, di tipo reazionario, senza neppure avere dato battaglia”. In questo solco si fondava la critica al “Partito Nuovo” di Togliatti, difendendo sempre l’impostazione leninista del Partito di quadri, pur in una nuova collocazione di massa, parte della classe operaia, di cui è avanguardia in un legame di lotta con tutte le masse popolari. Avendo sempre chiara la lotta di classe, non confuse mai questi ruoli e soprattutto identificò sempre la Democrazia Cristiana, prima come forza moderata e frenante all’interno dello schieramento antifascista e poi come forza reazionaria e antipopolare apertamente a servizio dei monopoli, degli agrari e dell’imperialismo USA, non riconoscendo in essa nessuna “anima popolare” che altri dirigenti del PCI invece confondevano col consenso che la DC estorceva ad alcuni settori popolari giustificandone quindi le alleanze. Per Secchia invece, la questione delle alleanze si pone a partire dagli interessi di classe e dunque il movimento operaio concepisce le alleanze come unità delle masse popolari contro il nemico di classe, non come unità con esso e le forze politiche che ne rappresentano gli interessi. Rimanendo sempre coerente agli insegnamenti del marxismo-leninismo aveva ben presente la necessità del rapporto tra Partito di classe e masse popolari, sostenendo con decisione la necessità di difendere le posizioni conquistate, senza accettare in modo arrendevole ogni passo indietro imposto dalle forze reazionarie, mantenendo una mobilitazione politica permanente delle masse, per avanzare nelle conquiste della Resistenza. Per questo sosteneva la necessità che la battaglia “dovesse essere combattuta soprattutto fuori dal Parlamento”. In questa necessità e allo stesso tempo preoccupazione, Secchia intendeva anche l’opportunità che il Partito fosse preparato con tutti i mezzi alla lotta (cosa diversa dall’essere fautore della lotta armata come hanno cercato di dipingerlo nella strumentalizzazione della sua figura), prefigurando le trame occulte degli ambienti reazionari di cui è testimonianza la struttura paramilitare di Gladio che si andavano ad intrecciare con la situazione internazionale, la rinnovata offensiva dell’imperialismo degli Stati Uniti e della NATO, di cui nel suo viaggio in Cile mise in guardia i comunisti e il governo Allende, e la nascita dei movimenti anti-imperialisti in Algeria, Cuba, Vietnam ecc… la cui lotta era considerata da Secchia come essenziale e da legare alla lotta per il socialismo, rimproverando al Partito e alle organizzazioni di massa una scarsa sensibilità verso la lotta per l’indipendenza dei popoli e contro l’aggressione imperialista, intuendo la necessità sul piano internazionale di promuovere azioni unitarie e comuni, e l’effettiva e attiva solidarietà del movimento comunista e operaio internazionale.

Nell’accusa di Secchia, sono presenti i fattori soggettivi della sconfitta storica, come la rinuncia alla prospettiva strategica della presa del potere, la chiusura di fronte all’emergere della lotta delle nuove generazioni. Nonostante fosse messo all’angolo nel PCI, continuò il suo lavoro rivolgendosi in particolare alle generazioni future, ai giovani, osservando quei movimenti che si andavano formando all’infuori del Partito impegnato nel contesto nazionale nell’accordo PCI-DC, mentre Secchia individuava nella loro spinta e nel loro entusiasmo la linfa per avanzare verso il Socialismo con la guida del Partito (da cui mai si staccò e mai nessuno riuscì a staccarlo), nella prosecuzione dell’esperienza antifascista e resistenziale.

Il titolo che egli scelse per la sua ultima opera prima della morte, “La Resistenza accusa” è rivolto a chi è rimasto fermo, osservando a trent’anni di distanza che le masse popolari erano ancora vittime degli stessi oppressori e che le lotte operaie, contadine e studentesche subivano gli stessi crimini da un apparato dello Stato sempre al servizio del capitale e dei monopoli. Ma allo stesso tempo è un appello che Secchia rivolge alla gioventù affinché si impadronisca degli insegnamenti della Resistenza e delle successive lotte per farne arma nella difficile lotta per il socialismo: “Quando avviene di essere battuti, noi comunisti non abbiamo altro da fare che riprendere la lotta per andare avanti”. In queste parole pronunciate nel 1950 al Congresso della FGC di Bologna, si evince l’uomo d’azione che si rivolge ancora ai giovani, perché siano il motore di lotte e organizzatori della rivoluzione, ridando vigore e riappropriandosi della Resistenza, parole che risuonano con forza ancora oggi nel dovere di ogni giovane comunista di ripartire nel contrattacco, nella comprensione degli avvenimenti che hanno portato alla sconfitta, in cui la lezione e la critica di Pietro Secchia sono strumenti imprescindibili.

 

 

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