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articolo 6 ottobre

Perché gli studenti scendono in piazza

*di Alessandro Fiorucci, responsabile scuola FGC

Domani in decine di città italiane gli studenti scenderanno in piazza nella prima giornata di mobilitazione dell’autunno. Una giornata di lotta a più di un anno di distanza dall’approvazione della Legge 107 (la cosiddetta “Buona Scuola”), l’ultima tappa di un processo di mutazione genetica della scuola statale che partiva dalla riforma Berlinguer, passando poi per le riforme Moratti e Gelmini. Una grande trasformazione della scuola, condotta al ritmo di una riforma a governo, che col pretesto di valorizzare il “merito” ha sistematicamente ridotto le garanzie del diritto allo studio, col risultato che oggi la scuola in Italia è sempre più inaccessibile. Migliaia di studenti oggi scelgono dove studiare in base alle proprie possibilità economiche, mentre l’abbandono scolastico è alle stelle e uno studente su tre non porta a termine gli studi. Si afferma che i soldi per la scuola non ci sono, tant’è che si spingono le scuole a chiederli alle imprese private o alle famiglie degli studenti, ma ogni anno si sceglie di spendere decine di miliardi di euro per pagare i soli interessi sul debito pubblico o per le spese militari, e si regalano milioni alle scuole private. La scuola paga il prezzo delle politiche di austerità imposte dall’Unione Europea e dai governi nazionali, che antepongono il profitto delle banche e dei grandi monopoli ai diritti dei popoli e della gioventù: dal 2008 i governi, incluso il Governo Renzi, hanno tagliato più di 22 miliardi alla scuola pubblica!

Tutto questo avviene nel contesto di una profonda ristrutturazione del sistema produttivo in Italia, che si ripercuote sul mercato del lavoro e sull’istruzione. I padroni hanno scelto di far fronte alla crisi con l’abbattimento del costo del lavoro, cioè con la distruzione sistematica di tutti i diritti sociali e con una dequalificazione complessiva del lavoro e dell’istruzione, pur di difendere i loro profitti. Il Jobs Act di Renzi ha definitivamente sancito la libertà di licenziare, eliminando di fatto il contratto a tempo indeterminato e condannando la gioventù a un futuro di precarietà e disoccupazione. La scuola e l’università vengono adattate a un mercato del lavoro che necessita di lavoratori dequalificati e ricattabili: per questo sull’istruzione si taglia e la scuola diventa sempre più di classe, fatta su misura dei padroni e non degli studenti.

Una realtà che impone l’abbandono di ogni illusione sulla riformabilità di questo sistema, cioè la convinzione di poter rivendicare con successo una serie di misure in termini di diritto allo studio e di riforma del sistema di istruzione nel quadro di una sostanziale compatibilità con il sistema capitalistico e l’Unione Europea. È sempre più necessaria una rottura con la logica difensiva che da anni caratterizza le lotte del mondo della scuola: si protesta ogni volta contro una riforma che è sempre peggiore di quella precedente, contro cui pure si aveva protestato. Questo alla lunga produce un sentimento di rassegnazione dinanzi alla sconfitta, che è la più grande arma per chi vuole difendere la condizione esistente.

Oggi il movimento studentesco ha il compito di fare un salto di qualità. Alla lotta “economica” e settoriale, cioè quella mirata a ottenere politiche in favore del diritto allo studio, maggiori finanziamenti statali all’istruzione ecc., bisogna legare un livello superiore, di lotta politica, che deve essere orientata tanto contro questo sistema, quanto contro il suo modello di scuola. La scuola italiana è una scuola di classe non soltanto perché presenta barriere economiche sempre maggiori, ma anche e soprattutto perché è fatta su misura per i padroni e i loro interessi.

Con questo spirito affronteremo questo 7 ottobre, costruendo in decine di città italiane gli spezzoni studenteschi contro la scuola di classe. Organizzarsi per lanciare l’offensiva significa voler ribaltare il tavolo anziché sedersi ad accettare un compromesso dopo l’altro. Lottiamo per rivendicare la gratuità dell’istruzione pubblica, dai libri di testo ai trasporti, e di conseguenza l’abolizione dei contributi scolastici che le scuole impongono alle famiglie. Lottiamo contro lo sfruttamento degli studenti in alternanza scuola-lavoro, rivendicando una giusta retribuzione, diritti e tutele per gli studenti in stage. Lottiamo per una scuola di qualità dal Nord al Sud, dal centro alla periferia, contro la logica delle scuole “di serie A” e “di serie B”; per una maggiore collegialità nelle scuole contro lo strapotere dei Presidi. Rivendichiamo un piano per l’edilizia scolastica, maggiori finanziamenti statali alle scuole e l’abolizione degli school bonus, perché le imprese private non possono sostituirsi allo Stato nel finanziamento delle scuole pubbliche. Lottiamo contro la “buona scuola” di Renzi, buona solo per l’Unione Europea e per la Confindustria. Vogliamo una scuola diversa, che sia fatta su misura degli studenti, cioè dei lavoratori di domani, contro la scuola di classe che questo sistema costruisce ogni giorno a sua immagine e somiglianza.

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