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Il capitalismo non è in grado di assicurare il futuro ai giovani.

giovanicrisiGli ultimi dati sulla disoccupazione in Italia parlano ormai del 37,1% di giovani che non trova lavoro. Un risultato negativo storico, che conferma l’aumento durante il governo Monti. Chiunque viva nel nostro paese sa tuttavia che questo è un dato fortemente sottostimato, sia da un punto di vista statistico, non comprendendo quanti non sono iscritti alle liste di collocamento, sia dal punto di vista della reale incidenza sociale del fenomeno nelle aree meno sviluppate del paese, dal mezzogiorno alle periferie delle grandi città.

La disoccupazione giovanile fu oggetto di una durissima campagna di attacco da parte del Partito Democratico pochi giorni prima della caduta del governo Berlusconi. All’epoca, nel dicembre 2011, la disoccupazione giovanile aveva toccato quota 29%, un record per allora. Gli ultimi dati parlano di un aumento durante il governo Monti di circa l’8%, in linea con l’aumento generale della disoccupazione (per tutte le età) con un aumento proporzionale maggiore. Nell’essere senza se e senza ma contrari al governo Berlusconi, come al governo Monti, vogliamo cercare di tirare le somme del fallimento di una politica occupazionale che va ben oltre il fallimento di una o più figure al governo. Non vorremmo cioè essere messi in quella parte del coro che è pronta a parlare di disoccupazione giovanile solo in periodo elettorale, additando al governo in carica le responsabilità, e a sua volta proponendo nei fatti le stesse politiche. Quel gioco tipico della fase attuale in cui alla mancanza di un’alternativa di sistema, si tenta di ovviare riducendo tutto a polemica elettoralistica priva di qualsiasi progettualità alternativa.

Noi crediamo che il capitalismo oggi non sia in grado di assicurare un futuro ai giovani. Questo a prescindere dal nome e dal cognome del presidente del consiglio e del suo governo, fintantoché si accetta come base l’insieme delle regole del gioco che il capitalismo pone. Siamo in una fase di recessione che non ha uscita nelle politiche messe in campo attualmente, nel mantenimento della logica del profitto a scapito degli interessi e delle esigenze della collettività. La disoccupazione giovanile è il prodotto di questo sistema, è il futuro che il capitalismo può assicurare ai giovani, e siamo pronti a scommettere che quale che sia il colore politico del prossimo governo, se, come appare del tutto probabile, accetterà i dicktat dell’Unione Europea e politiche ben note e applicate in questi anni, il numero dei giovani disoccupati nei prossimi anni è destinato ad aumentare ulteriormente.

I fattori alla base di questa situazione sono chiari. Il sistema produttivo italiano non regge la concorrenza internazionale, la legislazione europea vieta ogni forma di protezione del sistema produttivo nazionale, la delocalizzazione è all’ordine del giorno. Una parte importante della produzione italiana è stata spostata all’estero, in paesi con minor costo del lavoro, monete deboli che consentono di abbassare ulteriormente l’incidenza dei costi di produzione, minori diritti dei lavoratori. Altra parte importante del tessuto produttivo italiano non esiste più, in particolare le piccole imprese che non reggendo la concorrenza di merci prodotte a più basso costo hanno chiuso. Nel complesso il settore produttivo che faceva dell’Italia la sesta economia manifatturiera del mondo, consentendo l’occupazione di un numero elevato di addetti, tra cui molti giovani, è in calo costante da circa venti anni. E questo ha forti ripercussioni sull’occupazione giovanile.

In secondo luogo lo  stato sociale, con i tagli imposti dall’Unione Europea per il rientro sul debito pubblico, dalla sanità alla scuola, dall’amministrazione pubblica, alla giustizia, subisce una costante  riduzione del numero degli addetti. Dal 2008 al 2011 secondo dati Istat il numero dei dipendenti pubblici è diminuito di circa 155.000 unità. Blocco delle assunzioni, mancanza di concorsi pubblici, lavoratori pensionati non rimpiazzati, tagli e licenziamenti diretti, sono tutte forme che hanno drasticamente diminuito l’occupazione nel settore pubblico in Italia.

In terzo luogo l’aumento generale dell’età pensionabile, spacciata dai media con una gran dose di faccia tosta come misura a favore dei giovani, ritardando l’uscita dal lavoro di milioni di lavoratori contribuisce in modo essenziale a ridurre ulteriormente il numero di posti di lavoro disponibili. L’impiego massiccio di tipologie di contratto a tempo determinato, nelle sue variegate forme, rende poi il dato sull’occupazione giovanile anch’esso un dato precario, non trattandosi di forme di lavoro stabile e garantito nel tempo.

Questo quadro rappresenta un veloce insieme dei principali fattori economici che generano la disoccupazione giovanile. E’ chiaro allora come in una situazione di totale perdita di ogni forma residua di sovranità da parte dei governi nazionali, pienamente inseriti in un quadro europeo, espressione giuridica internazionale dei poteri economici monopolistici, sia impensabile che il solo cambiamento di governo possa portare miglioramenti all’occupazione giovanile, senza che vengano abbandonati i presupposti che la generano.

Se si analizza quanto accaduto in questi anni in Grecia, Spagna, Portogallo, paesi che sono spesso assimilati all’Italia per diversi fattori, si vede come governi di centrodestra e centrosinistra non siano stati minimamente in grado di invertire la crescita del tasso di disoccupazione giovanile, in un aumento costante, che ha molte similitudini con quello che sta accadendo in Italia.

Appare evidente quindi che un sistema nel suo complesso  produce un futuro di disoccupazione per i giovani e che la situazione potrà cambiare davvero solo liberandosi dalla schiavitù del debito pubblico attraverso il suo ripudio unilaterale, dato che l’intera politica di tagli riesce appena a pagare una parte degli interessi, e stabilendo il controllo collettivo sull’economia e sulla produzione, vietando le delocalizzazioni e nazionalizzando le imprese più importanti. Si consentirà allora di liberare quelle risorse oggi intrappolate dai profitti di un numero ristretto di persone, sempre più ricche a scapito della povertà sempre maggiore nella popolazione, indispensabili per poter avviare una seria politica occupazionale per i giovani. Che potrebbe avere come primi passi la reintroduzione dei giovani nel settore produttivo e nel pubblico impiego, da cui sono stati espulsi da anni di riforme, e l’istituzione di forme di servizio civile retribuito che consentano di impiegare giovani in settori importanti per la collettività ed oggi lasciati scoperti, con un danno enorme per la popolazione e l’intero Paese. Una politica che dovrà mettere mano anche al settore dell’istruzione e dell’università, oggi ridotto ad anticamera di disoccupazione e precarietà. Solo liberandosi dal capitalismo e dall’accumulazione di profitto in poche mani, estorto all’intera popolazione, sarà possibile un futuro migliore.

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