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BLOODY SUNDAY: UNA FERITA MAI RIMARGINATA

Di Andrea Merialdo

Il 30 gennaio 1972 a Derry, andò in scena la peggior strage dell’imperialismo britannico contro il popolo irlandese: tutto si svolse durante la manifestazione convocata dal Northern Ireland Civil Rights Association (costituito a Belfast nel 1967, a tutela della minoranza cattolica e nazionalista nella zona occupata dagli inglesi) per protestare contro i provvedimenti repressivi del governo unionista di Brian Faulkner, fra i quali la possibilità dell’internamento di repubblicani senza processo, ma solo con l’autorizzazione del Ministero degli Interni. L’intervento del 1° Battaglione del Reggimento Paracadutisti, comandati dal Colonello Wilford, si abbattè sui manifestanti provocando ben 14 morti e 14 feriti.

Questo conflitto ha origine già dal XII secolo, quando i primi coloni inglesi occuparono i terreni agricoli nell’isola di Irlanda scacciando i contadini, in particolare nelle zone est, costringendoli ad emigrare verso occidente. Già dal 1700 la popolazione cattolica subì un vero e proprio apartheid, con il divieto di accesso a cariche pubbliche e senza la possibilità di possedere terreni. L’economia dell’isola fu volutamente mantenuta al livello agricolo, per garantire riserve alimentari alla potenza industriale inglese.

La questione irlandese fu analizzata anni dopo da Marx e da Lenin, che la presero come esempio dell’imperialismo europeo: “La Gran Bretagna deve il suo brillante sviluppo economico e la prosperità della sua industria in larga misura al trattamento cui ha sottoposto i contadini irlandesi, trattamento che ricorda i crimini della Saltycika, proprietaria di servi della gleba in Russia” (Lenin).

“Per accelerare lo sviluppo sociale d’Europa, è necessario operare per la catastrofe dell’Inghilterra ufficiale. A questo fine, bisogna attaccarla in Irlanda. È questa il suo punto vulnerabile. Perduta l’Irlanda, è l’“Impero” britannico a crollare, e la lotta di classe in Inghilterra, fino ad oggi sonnolenta e cronica, assumerà forme acute (Marx).

Marx considerò la lotta di liberazione irlandese un tassello della lotta contro il capitalismo europeo, per questo sostenne l’ala più radicale e popolare del movimento, orientata verso metodi rivoluzionari, distaccandosi però dai metodi terroristici usati da una sua parte. Nei primi del ‘900 si sviluppò il movimento dei lavoratori, in particolare quello sindacale che portò, a partire dal 1907, all’organizzazione di numerosi scioperi nel settore portuale e dei trasporti. In queste lotte i lavoratori cattolici e i protestanti si unirono momentaneamente, ottenendo risultati parziali in tema di rivendicazioni. Ma emersero anche le contraddizioni di classe interne al movimento nazionalista irlandese, in alcuni casi il patronato era di orientamento indipendentista come nel caso della serrata delle linee tranviarie di Dublino, lanciata dal suo proprietario Walter J. Murphy allo scopo di spaccare il fronte dei lavoratori.

James Connolly – sindacalista e fondatore, nel 1903, del Socialist Labour Party – fu tra i primi del movimento repubblicano a proporre un’analisi di classe.

A suo avviso l’indipendenza dell’Irlanda doveva essere guidata dalla classe lavoratrice per creare una nazione socialista, condizione indispensabile per una vera e propria indipendenza. Il suo contributo fu particolarmente significativo durante gli scioperi del 1913, quando creò l’”Irish Citizen Army”, un gruppo armato che aveva lo scopo di difendere i lavoratori dalla retate della polizia.

Lo stesso gruppo partecipò, con altre organizzazioni, all’” Insurrezione di Pasqua” del 24 aprile 1916, quando migliaia di volontari repubblicani occuparono l’ufficio postale di Dublino proclamando un governo provvisorio. La “rivoluzione” irlandese durò una settimana e migliaia di partecipanti furono arrestati e condannati a morte, tra questi lo stesso Connolly che fu fucilato da seduto perché, ferito, non riusciva a reggersi in piedi.

La repressione aumentò lo sdegno popolare, tanto che si rafforzarono le fila sia del principale partito repubblicano, il Sinn Féin (“Solo noi”) e dell’Irish Repubblican Army, guidato da Michael Collins.

La tensione crebbe nel 1919: il Sinn Féin, guidato da Eamonn De Valera, si aggiudicò tre quarti dei seggi riservati all’Irlanda nel Parlamento britannico. La prima azione dei dirigenti repubblicani fu quella di non occupare i posti e di istituire a Dublino un Parlamento indipendente. In risposta, gli inglesi dichiararono illegali sia il Parlamento eletto sia il Sinn Féin, che in questa fase ebbe l’egemonia nella lotta di indipendenza. La sua strategia militare, organizzata dal capo dell’IRA Collins, fu quella di concentrare gli attacchi alla rete spionistica inglese, tanto da fare crescere notevolmente le spese sostenute dal governo di Londra e aumentando la demoralizzazione delle truppe di sua maestà. Il Sinn Féin all’inizio ospitò variegate ideologie: alcune componenti erano più vicine al socialismo e al movimento operaio mentre altri erano legati principalmente alla borghesia cattolica. Nel corso degli anni, a seguito di diverse scissioni, prime fra tutte quella del Fianna Fáil di De Valera (partito di destra) e del Fine Gael (di orientamento centrista), lo consolidarono nell’area di sinistra.

La spaccatura tra queste componenti avvenne con l’accettazione del trattato Angloirlandese, che prevedeva la divisione dell’Irlanda in due Stati: ventisei contee del sud avrebbero formato lo Stato Libero d’Irlanda con un governo autonomo ma legato al Commonwelth, mentre le restati sei contee del nord, dove si concentrava la maggioranza della popolazione protestante, sarebbero rimaste sotto il controllo britannico.

Il Fianna Fàil di De Valera fece parte del fronte del “no”, mentre Collins con altri esponenti repubblicani sostenne il “sì”.

Il Sinn Féin rimase al governo irlandese fino al 1927 quando De Valera vinse le elezioni con un programma conservatore, ma con una maggiore attenzione alle questioni nazionali, tanto che riuscì ad abolire una serie di vincoli del trattato angloirlandese, fra cui l’obbligo del giuramento alla corona per i deputati e l’abolizione di tasse destinate agli inglesi.

Le organizzazioni marxiste, in questa fase, parteciparono attivamente al movimento di liberazione. Il Partito Comunista d’Irlanda, fondato nel 1921 da Roddy Connolly, figlio di James Connolly, diede il suo contributo all’IRA, in particolare durante la guerra civile, sostenendo le posizioni contrarie al trattato anglo irlandese. Il partito, impegnato nell’ organizzazione dei lavoratori e dei disoccupati, aveva come organo di stampa il quotidiano “Worker’s Republic”.

Durante e dopo la guerra civile il partito si scontrò con le autorità dello Stato Libero d’Irlanda, in particolare per il suo coinvolgimento negli scioperi dei lavoratori e per la propria posizione anti-trattato. Nel 1923, a causa di contrasti interni al riguardo la questione del trattato e riguardo il non sufficiente radicamento, il partito si auto sciolse e James Larkin prese le redini del movimento comunista irlandese fondando l”Irish Workers Legue”, da subito sostenuto dall’Internazionale comunista.

L’anno seguente, la scissione dal sindacato “Irish Transport and General Workers Union“ fondato nel 1909 dallo stesso Larkin e legato ormai ai laburisti. Il nuovo sindacato fu da subito affiliato dell’”Internazionale Rossa”.

Nel 1927 il segretario venne eletto deputato nelle elezioni generali del Nord Irlanda.

Nel 1933 il Partito, unendosi ad altri gruppi comunisti, tornò al nome originale.

Questa riunificazione riguardò solo lo Stato Libero d’Irlanda, perché nel nord i comunisti erano organizzati in un partito autonomo. La riunificazione tra i due gruppi avvenne solo nel 1970.

Durante la guerra civile spagnola fu significativo il contributo dei comunisti irlandesi, organizzati nella sezione irlandese della quindicesima Brigata Internazionale.

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale vi furono diverse discussioni all’interno del movimento repubblicano. Alcune componenti dell’IRA, per voce diSéan Russe, cercarono di trovare un aiuto, in chiave anti-inglese, dalla Germania nazista non ottenendo però nulla di concreto. La posizione dei comunisti irlandesi fu opposta a questa ipotesi. A seguito dell’invasione dell’Unione Sovietica, da parte della Germania, il partito si schierò contro Hitler senza tatticismi strani. Questa posizione portò il partito ad un aumento dei consensi ma lo sottopose anche a numerose critiche, vista l’alleanza militare momentanea tra Unione Sovietica e l’Inghilterra.

Nel frattempo l’IRA entrò in una fase di crisi politica a causa delle posizioni tenute dal presidente dello Stato Libero De Valera. Da un lato con la nuova Costituzione, il presidente, aveva dichiarato la totale indipendenza dal Regno Unito, ma dall’altro aveva aumentato le divisioni tra gli irlandesi riconoscendo la religione cattolica come culto ufficiale e sul piano sociale aveva tenuto posizioni conservatrici.

L’attività dell’IRA riprese tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 le attività militari con una serie di attacchi ad obiettivi militari inglesi, ottenendo però dei fallimenti.

Da quel momento iniziò un periodo di riflessione all’interno del Sinn Féin, il braccio politico dell’IRA, che portò ad uno scontro tra i sostenitori di un progetto socialista di unità irlandese e chi sosteneva un programma prettamente nazionalista.

La componente marxista era favorevole a superare le divisioni religiose nella classe lavoratrice e la pregiudiziale anti-parlamentare.

La prima divisione fu nel 1969 quando la componente nazionalista uscì dal Sinn Féin costituendo il “Provisional Irish Republican Army”. Questa organizzazione riteneva che durante gli assalti di gruppi unionisti ai quartieri cattolici, l’IRA non si era impegnata a sufficienza per la difesa. A questo gruppo si unirono i militanti più legati alla parte cattolica dell’Irlanda. A seguito della scissione la componente marxista si aggiudicò la maggioranza del Sinn Féin che, alla fine degli anni ’70, prese il nome di “Worker’s Party”.

Il partito in quegli anni di forti tensioni nel nord Irlanda, dovute alla forte repressione britannica del post “Bloody Sunday”, cercò di smorzare le posizioni settarie che a suo avviso aveva la Provisional IRA. Nel Nord Irlanda la classe lavoratrice, in particolare quella dei quartieri cattolici, dovette far fronte ad un aumento delle discriminazioni da parte dei datori di lavoro protestanti e si registrò un aumento vertiginoso della disoccupazione.

Il governo inglese nel 1976, cancellò lo status di detenuti politici per i repubblicani, stabilendo che essi dovessero indossare la divisa carceraria come comuni delinquenti ed avere ulteriori restrizioni alla vita carceraria. In risposta a questo nel 1978, numerosi detenuti di Long Kesh iniziarono la “Dirty Protest”, rifiutandosi di svuotare i propri buglioli e spalmando gli escrementi contro le mura carcerarie. A questa protesta seguì uno sciopero della fame, nell’ottobre 1980, al quale si unirono sette detenuti di Long Kesh e, a seguire, detenuti di altri carceri. Il nuovo governo inglese, nonostante le pressioni internazionali di Margaret Thatcher, non accettò nessuna delle richieste avanzate dai detenuti. Lo sciopero per questo motivo si sospese nel dicembre.

A seguito di questa agitazione, ne seguì un’altra nel marzo 1981 organizzato da Bobby Sands, capo dei detenuti dell’IRA. Nel frattempo si intavolarono trattative segrete tra provisional IRA e governo britannico, che però non portarono a nessuna conclusione per l’opposizione della Thatcher. Il 5 maggio morì Bobby Sands, dopo 66 giorni di sciopero della fame. Sands era rimasto in carcere nonostante fosse stato eletto nell’aprile di quell’anno membro del Parlamento britannico, in quell’occasione il governo aveva abolito la possibilità di elezione di detenuti. Morirono poi altri 10 detenuti; a far cessare la protesta fu l’intervento delle famiglie, che autorizzarono l’intervento medico.

Dagli anni ’80, nella Repubblica d’Irlanda e nel Nord Irlanda crebbero i consensi del Sinn Féin e del Worker’s Party of Ireland, che ottennero il 7% nelle elezioni europee del 1989.

Il Sinn Féin si è radicato in particolare al Nord, dove ha ottenuto il 26,9% nelle elezioni del 2011. La linea politica è molto cambiata rispetto agli anni precedenti, infatti uno dei leader, Martin Mc Guinness, è attualmente vice-presidente del governo presieduto da Ian Paisley, del “Democratic Unionist Party”. Ciò è seguito all’accordo “Belfast Agreement”, al quale il Sinn Féin partecipò ufficialmente come negoziatore, che portò al “cessate il fuoco” da parte dell’IRA.

Sul piano internazionale il Sinn Féin è connotato a sinistra e, in Parlamento europeo aderisce al gruppo della GUE-NGL.

Il Workers Party of Ireland, invece, si è schierato contro l’Unione Europea e la NATO. Le sue campagne più significative sono state la campagna per il “No” al referendum sul “EU Fiscal Treaty” e contro l’utilizzo per voli militari Usa dell’aeroporto civile di Shannon. A livello di politica interna ha concentrato molte campagne degli ultimi anni per il miglioramento dei servizi pubblici, opponendosi a qualsiasi forma di privatizzazione.

La storia di questo conflitto descrive come spesso nella storia la questione della liberazione nazionale si sia legata alla questione di classe. Questo perché l’imperialismo ha usato sempre le proprie colonie come fonte di profitto (manodopera a basso costo) e, come nel caso inglese, dove “scaricare” una parte del proprio popolo (i coloni) allo scopo di occupare territori evitando che creassero tensioni sociali in patria. La divisione tra protestanti (non necessariamente originari dei coloni) e cattolici è stato usato come il miglior metodo per dividere il proletariato di quelle terre. I comunisti irlandesi, a differenza di altri gruppi, hanno sempre posto questa questione che ha per anni agevolato l’imperialismo britannico.

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