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Davvero la Serie A è tornata competitiva?

*di Antonio Viteritti

Da settimane ormai sentiamo giornalisti sportivi, opinionisti, allenatori, “esperti” sbracciarsi per spararla più grossa e sostenere che la nostra Serie A sia finalmente tornata ad essere competitiva e che presto tornerà ad essere il campionato più bello del mondo. A sostegno di questa tesi vi è l’arrivo di Cristiano Ronaldo alla Juve, i contatti di Modric e Vidal all’Inter (poi non concretizzatisi) e la scelta di Higuain, Bonucci e Nainggolan di rimanere nel campionato italiano. Insomma un mercato più spumeggiante rispetto a quello visto negli ultimi anni, che ha ridato entusiasmo ai tifosi ed ha eccitato gli esperti del mondo del pallone, facendo dimenticare agli italiani la dolorosa eliminazione prima del mondiale e le sue cause.

Ma la Serie A è davvero tornata competitiva? E quali sarebbero le ragioni di questo fenomeno?

Prima di lanciarsi in affermazioni roboanti i nostri intellettuali del mondo del pallone dovrebbero ricordare che il verdetto lo darà sempre il campo, ma detto ciò è innegabile che le società italiane in questa sessione di mercato abbiano lavorato per rafforzarsi e ridurre in gap con le concorrenti degli altri paesi. Ma per tornare ad essere competitivi a livello internazionale c’è ancora bisogno di lavoro: oltre la Juve le altre Big non sembrano in grado di poter competere a livello europeo (la Roma dello scorso anno è stata una piacevole sorpresa, ma quest’anno pare essersi indebolita).

Bisogna capire però che se grandi campioni guardano al nostro campionato con interesse non è certo per il suo livello di competitività, con una corazzata che domina indiscussa da 7 anni e le altre Big costrette a spartirsi le briciole, le squadre minori sempre meno competitive ed indebitate, le squadre delle serie cadette sempre più in difficoltà a trovare i fondi per iscriversi ai campionati ed evitare il fallimento, una Lega calcio commissariata e nei fatti bloccata da mesi. No, le ragioni che hanno attirato l’interesse di grandi campioni non sono sportive ma economiche.

Ad ingolosire i campioni sono state la norma “attira-ricchi” del Pd e poi la Flat tax giallo-verde, e sicuramente ne ingolosiranno altri. La prima è l’ennesimo favore fatto dal Pd ai miliardari, che stabilisce che chi sposta la residenza in Italia paga una tassa di soli 100 mila euro sui propri guadagni all’estero, mentre la seconda che dovrebbe entrare in vigore dall’anno fiscale 2019 prevede una riduzione della tassazione al 20% più 4,1% di addizionale. Questo spiega facilmente perché Ronaldo abbia scelto di fuggire dalla Spagna (dove è stato condannato a due anni di carcere per evasione fiscale e ha dovuto patteggiare pagando una maxi multa da 18,8 milioni) per venire a giocare in Serie A. Con la tassazione attuale Ronaldo percepisce dalla Juve 60 milioni lordi, che diventano 31 netti, ma con la Flat tax arriverà ad incassarne 45. Ancora più vantaggiosa per l’asso portoghese è la norma “salva-ricchi”, poiché su centinaia di milioni di sponsorizzazioni guadagnati all’estero (solo nella scorsa stagione ha guadagnato 100 milioni di euro dagli sponsor) pagherà appena 100mila euro.

La domanda dunque non dovrebbe essere se il nostro campionato sia tornato competitivo, ma se questo sia il modo corretto per renderlo competitivo. Non si investe sui settori giovanili e sulla stabilità dei piccoli club, non si vara un progetto che permetta di rendere il calcio accessibile a tutti i ragazzini che vogliono giocare, non si rendono gli stadi accessibili ai tifosi veri, calcio ma solo a quelli ricchi in grado di spendere centinaia di euro ad ogni partita. In una parola non si tenta di risolvere i problemi del nostro calcio, che hanno portato la nazionale a non qualificarsi al mondiale per la prima volta dal 1958. Ciò che pare interessare alle società e ai dirigenti della Lega calcio è sfruttare vantaggi fiscali per portare ricchi campioni nella convinzione di attirarne altri e fare più soldi con proventi tv, merchandising, sponsorizzazioni e aumento dei biglietti negli stadi.

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