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«Chiedono di mettersi nei panni dell’azienda, ma nessuno pensa a noi lavoratori» – Intervista a un operaio TAP

Dopo quasi due mesi dallo scoppio dell’emergenza sanitaria e dall’adozione delle prime misure di contenimento, le regioni cominciano a parlare di “fase 2” e di ripresa delle attività, dando seguito alle continue sollecitazioni della Confindustria per la riapertura. In barba ai piagnistei degli industriali, ci sono milioni di lavoratori che non si sono mai fermati, molti dei quali occupati in settori tutt’altro che essenziali. Abbiamo intervistato Luciano (nome di fantasia) operaio impiegato nel cantiere per la costruzione del gasdotto TAP in Salento, da anni nel mirino delle proteste contro le grandi opere in Puglia.

 

Ciao Luciano. Come stanno proseguendo i lavori nei cantieri TAP in Salento?

I cantieri TAP non si sono mai fermati, l’80% degli operai ha continuato a lavorare, nonostante l’emergenza.

Che misure sono state adottate per sostenere i lavoratori nei giorni in cui non si è lavorato?

Per noi non è prevista la cassa integrazione, i giorni di assenza dal cantiere, all’inizio dell’emergenza, sono stati conteggiati come ferie, di cui, ovviamente, non potremo godere in futuro.

“L’azienda non deve chiudere perché ci sono scadenze da rispettare” è la giustificazione che viene dagli uffici, “abbiamo delle commissioni urgenti, mettetevi nei panni dell’azienda” – e così siamo costretti ad adeguarci, anche perché anche noi abbiamo le nostre scadenze fisse, fra tasse, mutui, figli, carburante per spostarci etc. Nessuno però si mette nei panni di noi lavoratori.

E cosa è stato fatto per prevenire i contagi e garantire la sicurezza?

Ci hanno fornito di un’unica mascherina in stoffa lavabile, che spesso non asciuga nello spazio di tempo fra un giorno e l’altro, e in magazzino non ce ne sono altre. Le nostre attività si svolgono per lo più all’aria aperta, quindi la usiamo solo nel furgone, quando dobbiamo spostarci all’interno del cantiere.

Un veloce corso sulle direttive per evitare i contagi e il gel igienizzante all’ingresso dell’area di lavoro sono le uniche nostre precauzioni.

Sai se ci sono stati casi di coronavirus fra gli operai?

Sembra di no, fortunatamente, ma comunque non ci sentiamo tutelati, soprattutto perché ad inizio mese è stato redatto un calendario settimanale per la misurazione giornaliera della temperatura corporea degli operai in turno, ma, ad oggi, lo screening non è stato eseguito su nessuno. Bisogna considerare che molti di noi viaggiano per recarsi a lavoro, provenendo da diversi paesi del Sud Italia, e questo aumenta la possibilità di esposizione al virus.

Che aria si respira fra i lavoratori?

Ci adeguiamo, tutti abbiamo bisogno di lavorare. Anche se non sembra, siamo in competizione fra di noi. Non esistono sigle sindacali che ci rappresentano, ognuno pensa per sé. Dobbiamo mantenere il nostro posto, quindi molti preferiscono continuare, anche quando non ci vengono assicurate tutele “scontate”.  Chi sceglie di assentarsi, per paura di essere contagiato, viene visto di cattivo occhio dai datori e dai colleghi, che rimanendo in poche unità sarebbero costretti a lavorare di più o a ritardare le consegne.

 

Ricatto occupazionale, assenza di adeguate misure di prevenzione e controlli sanitari, nessuna forma di organizzazione dei lavoratori per la tutela dei diritti. Quella raccontata da Luciano è la realtà di tanti lavoratori che nel contesto di emergenza non sono rimasti a casa e hanno visto invece peggiorare le proprie condizioni sul posto di lavoro. Mentre oggi si parla di riaprire tutto, ci si dimentica soltanto a fine marzo (con le misure di contenimento in vigore) il 55% dei lavoratori continuava a recarsi “regolarmente” sul posto di lavoro, spesso senza alcuna garanzia sulla propria sicurezza. Se questi sono i presupposti per la ripresa delle attività, c’è ben poco da gioire per il ritorno alla “normalità”.

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