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“Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché sono com’ero io”

di Maricla Ruscetti

Maradona è arrivato a Napoli il 5 luglio del 1984 con la gente sui balconi ad aspettarlo. Era il compleanno della signora Teresa che me lo raccontò così: “Tutti quei giornalisti venevan’ sul p’o terremoto, è normale che po’ hanna parlate tutti ‘e Maradona. Quando nu guaglione diventa famoso a Napoli, sta vicino ai guaglioncelli e si presenta a loro come un coetaneo, diventa un santo, nun ce sta nient’a fa”.

Non c’è niente da fare, diventa un santo. Il popolo partenopeo raramente con i propri sforzi riesce a sopperire, a compensare quello che altri partenopei sporcano, stuprano e guastano. Maradona si dichiarava partenopeo e di apporto ne ha dato veramente tanto ed è uno dei pochi casi nella storia di tutta l’umanità in cui tanto amore è stato meritato.

Quel 5 luglio 1984, il suo manager e amico d’infanzia Cyterszpiler aveva preso un mega ufficio di quasi 600 metri quadrati per fare la ‘Maradona Production’ che era già stata fatta: i napoletani avevano iniziato a fare affari con statuette per presepe, gigantografie, riviste, palloni, cucchiai di legno, bicchieri, ditalini da cucito, maschere e magliette.

Maradona ancora non aveva indossato la maglietta e già ne giravano di tutti i tipi, magliette semplici con la stampa a duemila lire da Ciro Cifariello che vendeva anche le ciabattine per il mare, le comprava a mille lire, ci stampava sopra l’immagine di Maradona sopra e le rivendeva a cinquemila.  Così sfamava i suoi figli, perché come tanti altri era rimasto senza lavoro dopo il terremoto del 1980.

In poche settimane il popolo partenopeo mise a punto un piccolo indotto commerciale, tale da sopperire alla mancanza di lavoro ed opportunità. Qualsiasi prodotto plasmabile sulla figura di Maradona fu realizzato prima ancora che la Maradona production potesse anche solo pensarlo. Dopo soli quindici giorni l’impresa disdisse il contratto di locazione.
In quel momento, fu il modo più onesto possibile con cui i napoletani fecero fronte alle proprie necessità, nel contesto ben noto del Mezzogiorno. Sì, perché di lì a poco avrebbe bussato a Maradona l’altra parte di Napoli, quella che cresce e si fa forte proprio grazie ai problemi di questa città.

Maradona aveva iniziato ad avere rapporti con la camorra? No, semmai la camorra aveva iniziato ad avere rapporti con Maradona. Maradona divenne presto il giocattolo della Camorra, l’uomo immagine. Se la camorra avesse avuto rapporti con Maradona che era tra gli uomini più conosciuti al mondo, tutto il mondo avrebbe saputo quanto era forte la camorra. Chiunque conosca la potenza delle organizzazioni malavitose campane immagina benissimo che altrimenti il connubio non sarebbe durato un giorno oltre la spettacolare presentazione al San Paolo. Questo i tifosi lo sapevano tutti, facevano finta di nulla perché per la prima volta nella storia l’uomo più conosciuto al mondo era della città più povera d’Italia.

Il Carnevale, poi, era ‘’la festa di Diego’’ e molti non avevano nemmeno bisogno della parrucca. I ragazzi già facevano la permanente per avere i capelli come Maradona, si tatuavano Che Guevara sul braccio per avere “il tatuaggio come Maradona”.

Ma perché? Qual è il segreto di Diego Armando Maradona? Come ha fatto a diventare il simbolo di una città, a guadagnarsi l’affetto sincero di milioni di persone? Non è difficile venire a capo di tale mistero, la risposta a tali domande non è solo nella figura di Maradona, ma soprattutto nella città e nel popolo di cui è diventato l’idolo. Non si può dire con sicurezza, ma molti saranno d’accordo nel dire che un personaggio come Maradona non avrebbe ricevuto lo stesso affetto se avesse giocato in una qualsiasi altra città italiana che poteva vantare una squadra in serie A. Tutto questo amore si sposa perfettamente con gli ideali che dimostrava: Napoli sa riconoscere un personaggio che è vicino alla gente e al popolo e non al potere, e Maradona era così.

La prima occasione di lotta contro i più potenti capitò il suo primo inverno in maglia azzurra: Puzone aveva conosciuto un tifoso con un figlio gravemente malato al quale non poteva garantire le giuste cure. La soluzione più rapida poteva essere una partita di beneficenza, ma il presidente Ferlaino si oppose perché i giocatori avrebbero potuto farsi male e c’erano delle partite importanti da giocare. Ma Maradona, dopo Napoli-Torino sotto un acquazzone fortissimo, scese di nuovo in campo, non al San Paolo ma ad Acerra, in un campo di patate con automobili a bordo campo ed un clima surreale, quasi cinematografico.

Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono com’ero io a Buenos Aires”.

Maradona è nato nel 1960 a Fiorito, in provincia di Buenos Aires, da una famiglia umile che non aveva nemmeno l’acqua corrente in casa, ad undici anni iniziò a giocare per l’Argentinos junior che diede un appartamento a tutta la famiglia a 10 min dallo stadio nella capitale. Giurò che non sarebbe più tornato a Fiorito e sarebbe diventato un campione per comprare una casa ai genitori. A 15 anni manteneva tutta la sua famiglia perché non voleva che il padre continuasse ad ammazzarsi di lavoro.

Furono l’esperienza della povertà e la sua prima visita a Cuba nel 1987, quando iniziò la profonda amicizia con Fidel Castro, a far maturare le sue idee politiche di cui in questi giorni si torna a parlare, la critica al neoliberismo che era nato proprio in America Latina, nel Cile della dittatura di Pinochet. Negli anni successivi Maradona sostenne apertamente il processo bolivariano in Venezuela negli anni di Chavez, dopo la cui morte ebbe a dire: “Ciò che mi ha lasciato Hugo è stata una grande amicizia, un’incredibile saggezza politica. Hugo Chavez ha cambiato il modo in cui pensa l’America Latina. Ci siamo inchinati agli Stati Uniti e ci ha dimostrato che possiamo camminare da soli”.

La scelta di esporsi con posizioni politiche considerate “scomode” gli fece guadagnare critiche, alcuni paesi gli hanno perfino negato il visto d’ingresso. Nonostante ciò, rimase fermo sui suoi ideali: “le idee non vengono negoziate“. Nel 2000, Fidel lo invitò alla clinica La Pedrera mentre era alle prese con la tossicodipendenza e aveva bisogno di riabilitazione.

La notizia della morte di Fidel raggiunse Maradona in Croazia. Diego si recò sull’isola dopo la coppa Davis e rese omaggio al Comandante. “Quando me l’hanno detto ieri sera, ho pianto come un matto … oggi se ne va ma continuerà a guidarci come il Che, come Chavez. Qualcuno che può guidarci dal cielo sta arrivando in paradiso […] Era come un padre per me … Mi ha aperto le porte a Cuba quando l’Argentina me le stava chiudendo“.

Diego faceva apertamente riferimento alla sua devastante esperienza del ’94, quando dopo essersi rimesso in gioco per la sua nazionale, non fu assistito né legalmente né moralmente dinanzi alle accuse della Fifa. In vista del mondiale statunitense, per la cui assegnazione fu determinante l’intervento dell’ex segretario di Stato Henry Kissinger, l’organizzazione designata si rese conto che l’evento avrebbe generato un gran profitto solo se sponsorizzato da nomi altisonanti e molto popolari: del resto si sa, il nuovo continente non era terra evangelizzata dal calcio e non era del tutto scontata la partecipazione del pubblico di casa.
Allora la FIFA ripescò Diego, il quale – scontata la squalifica di un anno e mezzo nel ’91 (mai fu erogata una sanzione così pesante) – si era ormai da qualche anno defilato dai grandi palcoscenici. La proposta fu quella di rimettersi in forma in tempi record e guidare l’Argentina, giocando il suo terzo mondiale da capitano. Diego accettò radioso quella che avrebbe potuto essere la sua occasione di riscatto. Purtroppo fu la sua condanna definitiva: sia per lo sportivo, sia per l’uomo. Si allenò stoicamente nelle campagne argentine, riprendendo il suo peso ideale, giungendo all’evento in forma smagliante.

Dopo un girone disputato in maniera brillante, l’Argentina si palesa al mondo sportivo come una equipe molto promettente e competitiva, placidamente affidata al suo leader. Al termine del girone, la doccia fredda: Maradona risulta positivo all’antidoping. La sostanza proibita a cui el pibe è risultato positivo è l’efedrina, presente in un integratore alimentare di produzione americana che Diego ha assunto, sotto la supervisione del suo personal trainer, per sostituire l’analogo di produzione argentina.

Diego commenterà l’episodio in uno stato di abbattimento totale: ‘’Mi hanno usato quando serviva un personaggio da portare ai Mondiali. Poi hanno riempito gli stadi e io non servivo più. Anzi. Magari si aspettavano un Maradona grasso per far ridere la gente, invece hanno cominciato ad avere paura quando hanno visto come giocavo e come giocava l’Argentina. Saremmo arrivati in finale col Brasile e avremmo vinto noi’’.

Per Diego è l’inizio di un lungo declino che lo porterà allo sfacelo. Quel giorno finisce ufficialmente la carriera internazionale di Maradona ed inizia la sua guerra contro la Fifa di Blatter e contro Grondona, allora presidente della federazione argentina e vicepresidente Fifa. Probabilmente la FIFA e l’organizzazione americana non gradirono una serie di dichiarazioni molto pungenti di Diego. Prima che iniziasse il torneo Diego mostrò la sua anima antimperialista: l’Argentina dovette modificare il proprio programma di partite amichevoli perché il Giappone non concesse al campione il visto, a causa dei suoi precedenti per droga. È in quell’occasione che Maradona urlò ai microfoni dei giornalisti la contraddizione di un paese che negava il visto ad un ex tossicodipendente, concedendolo, però, agli statunitensi che li avevano massacrati con la bomba atomica.

Successivamente altre dichiarazioni di Maradona si scagliarono come strali contro la FIFA: “Questa manifestazione è stata studiata in modo sbagliato. È assurdo che si giochi a mezzogiorno, in un clima che ti sottopone a uno sforzo inaccettabile, che può causare anche malori e drammi. Havelange e Blatter sono egoisti, hanno pensato solo agli interessi legati alle tv. Non accetto che i calciatori siano sfruttati. Per anni gli industriali che governano la Formula 1 hanno finto di ignorare i pericoli. Hanno baciato alla pubblicità, ai soldi: poi, quando è morto Senna, hanno cominciato a pensare a come modificare i regolamenti”. Un discorso che secondo molti supera ogni limite e non lascia scelta alla Fifa: Maradona doveva essere fermato. Maradona aveva visto lungo, in finale andò il Brasile, a sfidarlo, però, non l’Argentina bensì l’Italia di Baggio, ma questa è un’altra storia.

Troppa gente ha vissuto e vive guadagnando soldi con l’immagine di Maradona, che per tutta risposta ha espresso la volontà che il suo patrimonio venga interamente devoluto in beneficenza (inutile dire che gli eredi non sono d’accordo e ci saranno diatribe legali).

Non ha avuto pace da vivo, e ora nemmeno da morto. La notizia della sua morte gira ovunque, parole di cordoglio e soprattutto di critica, come se avesse scelto lui di morire il 25 novembre.

È il rituale classico cui si assiste nei media alla morte di una figura famosa, ma questa volta c’è qualcosa di profondamente diverso. Il cordoglio non si vede solo nelle trasmissioni televisive, che lasciano sempre quel retrogusto di finzione quando trattano di sentimenti; stavolta il lutto lo si sente nelle strade, lo si vede negli occhi delle persone in tutti i quartieri popolari, lo si vede nei tanti cortei e flash mob davanti allo stadio San Paolo e davanti all’enorme murales a lui dedicato da Jorit a San Giovanni a Teduccio. Si sente gridare il suo nome nei cori, si vede la sua immagine nei poster appesi per le strade di ogni città in Campania, si vedono tante bandiere del Napoli alle finestre.

Uomini e donne piangono, i miei amici piangono, io piango, un pianto sincero, non una recita per i riflettori di uno studio televisivo, un lutto reale nel cuore di chi lo ama davvero. Questo è il talento di Maradona. Al di là dell’innegabile bravura nel calcio, ha saputo entrare nei cuori della gente più di chiunque altro, più di qualsiasi personaggio contemporaneo.

Nessuno emula o approva ciò che Maradona faceva nella vita privata. Ma una cosa è certa: il sentimento popolare per Maradona non è qualcosa nato per caso, dal nulla: il calcio che non era solo un gioco o uno sport, era una fuga dalla povertà, dalle droghe, dalla criminalità, dai guadagni illeciti, dai tanti, tantissimi pericoli della periferia, è stato un faro di speranza per i proletari.

E noi che non l’abbiamo visto giocare, ma solo tramite i filmati delle videocassette dei nostri nonni, zii, genitori, sentiamo ancora vibrare il sentimento di quelle notti di riscatto. La prima era il 10 maggio, il dieci che già era un numero sacro, aspettavano quella notte dal 1926: la confusione davanti lo stadio, le persone che per una settimana hanno banchettato in strada offrendo a chiunque qualsiasi cosa si potesse cucinare, si vedevano persone in barella scendere in strada con infermieri e dottori, anziani con il bastone, volare.

Scene surreali, e sembrava ci fosse qualcosa di mio in quelle immagini dei festeggiamenti del primo scudetto, ma non lo sapevo, non lo capivo e dovevo scoprirlo… e l’ho cercato. Troppo facile iniziare dallo scudetto. Una delle prime cose che vidi sul calcio di Maradona fu un filmato dove lui si allenava a Soccavo, in un campo pieno di pietre, c’ho visto spensieratezza, la stessa spensieratezza che sento quando per evadere dai problemi i ragazzi iniziano a parlare di Maradona senza averlo mai vissuto, riconoscendogli di essere più di un genio all’interno delle quattro linee, di essere un difensore di un mondo in cui siamo socialmente uguali, umanamente diversi. È un qualcosa di trascendentale, che va al di là  del nome ‘’Maradona’’, è un testamento, una linea di conduzione o semplicemente ‘’o cunt’’ (il racconto ).

Uno striscione di questi giorni diceva “non importa cosa hai fatto della tua vita, importa cosa hai fatto delle nostre”.

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