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500 braccianti in sciopero a Gioia Tauro: «Gora vive e lotta insieme a noi»

Una massa di lavoratori e braccianti della piana di Gioia Tauro si è riversata lunedì scorso nella rotonda principale della città calabrese, noto centro di sfruttamento e caporalato bracciantile, bloccando un tratto di autostrada con l’obiettivo di dare un messaggio chiaro e forte alle istituzioni. Lo sciopero, che ha portato più di 500 lavoratori ad abbandonare i campi e scendere in strada nonostante il tentativo della polizia di reprimere il blocco, ha visto in prima linea i braccianti della tendopoli di San Ferdinando, nota per le disumane condizioni in cui ogni anno migliaia di braccianti, provenienti principalmente dal continente africano, sono costretti a vivere e lavorare. “Non c’è niente di accidentale in come si vive da sfruttati”, questo il messaggio lanciato dai braccianti dopo l’omicidio di Gora Gassama, bracciante agricolo della piana che il 18 dicembre è stato investito mentre tornava in bici alla tendopoli di San Ferdinando dopo una giornata passata nei campi.

Si tratta “dell’ennesimo delitto frutto dell’apartheid”, si legge in una nota della federazione di Reggio Calabria dell’Unione Sindacale di Base, presente allo sciopero. E infatti la dinamica non è purtroppo nuova ai lavoratori di questa zona: strade buie, lunghe distanze da percorrere in bici per tornare a casa (se casa si può chiamare una tenda o una baracca, senza acqua calda e riscaldamenti, che comunque sono costate 300 mila euro in 3 anni), turni di lavoro massacranti e paghe orarie disumane.

L’omicidio di Gora è soprattutto questo, un atto di disumanizzazione, di pura mercificazione dei braccianti stranieri, il cui sfruttamento alimenta le immense ricchezze dei padroni della grande distribuzione agroalimentare della zona. Sono eloquenti a riguardo le giustificazioni dei colpevoli dell’omicidio, che non si sono fermati a soccorrere il bracciante in quanto, secondo la loro versione, Gora non indossava un giubbotto catarifrangente e la bici non era illuminata. Il tutto è avvenuto in una zona che, pur fondamentale in quanto vicina al porto, non ha mai subito interventi pubblici per implementare l’illuminazione (come denunciato sempre dall’USB). Niente di assurdo se guardiamo la cosa dall’ottica dei padroni, d’altronde una merce non ha bisogno di una strada illuminata, di un’abitazione che possa definirsi tale, di una vita dignitosa: una merce è una merce, e va solo spremuta fin quando può dare dei risultati. Se poi ci scappa il morto pazienza, arriveranno tanti altri disperati pronti a prendere il suo posto.

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In queste terre il razzismo si salda allo sfruttamento del capitalismo, che più che altrove mostra il suo volto più marcio. Gora Gassama era uno dei tanti fuggiti dalla miseria generata dal sistema imperialista di cui anche l’Italia, con le sue missioni militari in tutta l’Africa in difesa dell'”interesse nazionale”, è parte integrante, per trovare qui solo nuova miseria e nuove forme di sfruttamento. “Un amico e fratello, dopo una vita di razzismo e sfruttamento, da quel razzismo è stato ucciso”, si legge nei comunicati di Campagne in Lotta.

Un evento drammatico, in cui si condensa tutta la tragicità della situazione che da troppo tempo si vive a San Ferdinando, dove il dramma politico emerge ancor di più se si pensa a come, negli anni, non si sia voluto trovare una sistemazione alternativa ai braccianti che ogni anno arrivano a migliaia nella piana. Le palazzine tirate su con fondi europei sono rimaste vuote o ben che vada incompiute, ma intanto i padroni dell’edilizia, spesso legati alla criminalità organizzata, hanno lucrato sulla disgrazia di questi lavoratori, che continuano a vivere abbandonati a loro stessi, sperando che la strada per tornare a casa sia un po’ meno buia del solito.

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