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La prevenzione in Calabria: un diritto negato!

* di Barbara Ambrogio

In Calabria nell’ultimo anno è stato registrato un calo del 40 % degli screening oncologici. La regione, in cui da anni si registra il livello più basso di questi controlli, ha col Dgr 566 del 16/12/2011, stipulato una convenzione con la regione Piemonte affidando, senza gare d’appalto, la creazione del software “Sistema informatico unico regionale dei programmi oncologici” a un consorzio (CSI – Consorzio per il Sistema informativo della Regione Piemonte). Il costo: un milione duecentomila euro. Peccato che la maggior parte del sistema non ha funzionato, con un calo della prenotazioni che oscilla del 30-40% e numerose ASL e ASP (Azienda di Servizi alla Persona) si sono trovate costrette a sospendere le prenotazioni: prima dell’acquisto del nuovo software quello precedente era perfettamente funzionante. Un danno non solo economico, una somma del genere sarebbe potuta essere investita in maniera sicuramente più produttiva, ma ha danneggiato prima di tutto la salute dei cittadini, che non possono usufruire di uno dei servizi più importanti quali quelli della prevenzione. In una regione dove vi è un’altissima incidenza di tumori.

La regione Calabria è tra le più povere d’Italia, la disoccupazione giovanile raggiunge quella della Grecia e uno studente su cinque abbandona la scuola per motivi economici. A ciò si aggiunge il livello di sfruttamento del territorio, causa di un elevatissimo livello di inquinamento e di conseguenza altissimo tasso di morti per cancro: il porto di villa S. Giovanni, termovalorizzatore e, a breve un rigassificatore a Gioia Tauro (porto, tra l’altro oggetto di militarizzazione da parte degli USA), discariche e inceneritori, regolari e abusivi, un po’ su tutto il territorio, la Marlane a Paola e le numerose industrie crotonesi. Il sistema sanitario calabrese presenta carenze gravissime: la riduzione del personale, attraverso il blocco delle assunzioni, la chiusura di numerosi ospedali nel territorio, dilatano i tempi di ricovero, riducono la qualità del servizio e costringono medici e personale sanitario a ritmi massacranti. A Reggio Calabria sono disponibili due sole ambulanze, due sono i centralinisti: non è raro non riuscire a trovare risposta al 118, ne sentirsi dire che i mezzi sono occupati in altri soccorsi. A Cosenza, due settimane fa, due medici del pronto soccorso dell’Annunziata sono stati colpiti da un infarto e uno da ictus. In quell’ospedale il personale è la metà di quanto previsto, costretto a turni supplementari per sopperire alla carenza dell’organico ei medici e i paramedici hanno, per questo, indetto uno sciopero per il 26 febbraio scorso.

In una simile situazione, un guasto dei sistemi di screening oncologici non può che avere come conseguenza che solo quella parte di popolazione che può spostarsi in altre regioni o accedere a cliniche private, possa permettersi un livello minimo di sanità preventiva, fondamentale in un territorio con simili problematiche. Tutto il Mezzogiorno, rilevano i dati dell’Osservatorio Nazionale Screening, ottiene livelli minori delle altre regioni Italiane. In Sicilia per esempio a Mussomeli dal Dicembre 2011 il mammografo della Asl è guasto e solo da Luglio dell’anno successivo si è riuscito ad arginare il problema con un camper dotato di mammografo durante i programmi di screening. Il gap tra nord e sud é il frutto evidente delle politiche “meritocratiche” inserite nel sistema sanitario: le premialità date alle regioni e alle ASL o ASP che ottengono risultati migliori nella copertura dei controlli. Come in gran parte dei servizi pubblici si tende ad aumentare il divario tra quelli di serie A e B, così nella sanità la qualità del servizio è proporzionato alla propria disponibilità economica. In Campania é di qualche anno fa un decreto che, rispetto al numero di screening oncologici, dà finanziamenti maggiori alle strutture più virtuose, e indennità ai direttori generali di queste. Metodo efficiente, se l’obiettivo é quello di mandare sempre più in degrado le strutture già carenti, chiudere ospedali e reparti, limitando l’accesso a quanti possono rivolgersi a cliniche private o spostarsi in altre zone. Seppure per esami ed analisi preventivi si richiedono mesi e più di attesa, la televisione trasmette dossier che lamentano eccedenze e sprechi nella medicina preventiva, causa degli sprechi e dei troppi costi della sanità italiana, che inceppano il sistema sanitario e lo rendono insufficiente.

Non saranno certamente i miliardi di tagli inflitti alla sanità, alla riduzione del numero delle cliniche pubbliche efficienti, del personale sanitario un metodo per poter potenziare il nostro SSN! Si continua su tutti i fronti ad attaccare l’impiego pubblico, ridurre al minimo l’efficienza dei servizi pubblici, fino a renderli accessibili realmente a quanti possono permetterselo. Fa parte, questo, di un progetto più ampio, in atto sia sul piano legislativo, che su quello mediatico, di dequalifica dell’impiego pubblico, “stabile”, con un sempre più ridotto numero di concorsi, per esempio, del corpo dei vigili del fuoco, o col far scoppiare il caso dei vigili urbani romani in malattia a capodanno.

 

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