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CORTEO DI PROTESTA OPERATORI CALLA CENTER ALMAVIVA.

Accordo Almaviva: un successo per il padrone, la lotta continua

*di Ignazio Terrana

Dopo un incontro al Ministero per lo Sviluppo economico, svoltosi nella notte fra il 30 e il 31 maggio, Almaviva contact, istituzioni e sindacati proclamano la soluzione che porrebbe fine a una vertenza ormai in atto da mesi, con circa tremila licenziamenti annunciati a marzo – 1670 a Palermo, 918 a Roma, 400 a Napoli.

L’accordo sorto dalla trattativa prevede 18 mesi di ammortizzatori sociali, di cui 6 mesi di contratti di solidarietà (al 45 % per Palermo e Roma e al 35 % per Napoli) e 12 mesi di cassa integrazione straordinaria. Non tardano ad arrivare i commenti entusiastici di istituzioni e sindacati, soddisfatti della conquista raggiunta. Tuttavia, si tratta realmente di una conquista per i lavoratori?
Partiamo con ordine.

L’utilizzo di ammortizzatori sociali è una prassi comune per Almaviva fin dalla sua nascita. Colosso dell’outsourcing di servizi di Customer Care, fin da subito – intorno ai primi anni 2000 – acquisisce un ruolo di rilievo nel mercato nazionale dei call center, assumendo nei territori più svantaggiati e servendosi dunque di ingenti finanziamenti pubblici. I contratti sono precari, part-time quando a tempo indeterminato; il costo del lavoro basso rende sempre più conveniente la graduale estinzione dell’operatore telefonico in house – il mercato privilegia sempre di più il lavoro esternalizzato. Le continue agevolazioni ricevute dai governi che si sono succeduti e l’abitudine di aggirare il rischio d’impresa con ammortizzatori sociali permettono ad Almaviva di esportare capitale all’estero e di aprire poli produttivi in Est-Europa, in Africa, in Sud America, arrivando anche ad aggiudicarsi fette di mercato in Asia.

Sorge il quadro di un’azienda leader del settore, che trae gran parte dei propri introiti dalla delocalizzazione e dal lavoro sottopagato, ricorrendo anche a pratiche criminali per massimizzare i profitti; impossibile, a tal riguardo, non menzionare il Talking Time, criterio remunerativo introdotto l’autunno scorso, per cui la paga oraria del lavoratore dipenderebbe dai minuti effettivi in chiamata con il cliente. Nonostante tutto ciò, già a dicembre Almaviva si dice in difficoltà: il nuovo inquadramento INPS da settore industria a settore terziario toglie diritto a contratti di solidarietà che sarebbero dovuti durare fino al maggio del 2016, mettendo a rischio cinquemila posti di lavoro; aggrava la situazione il cambio di commesse, aggiudicate al massimo ribasso. Dopo “tamponamenti” fatti di contratti di solidarietà in deroga, l’azienda accusa l’insostenibilità del mantenimento dei posti di lavoro, arrivando ad annunciare i tremila esuberi a marzo, forte anche dei vantaggi che il nuovo inquadramento INPS1 le ha fornito per i licenziamenti collettivi in relazione alle mensilità da versare.

E’ proprio in questo periodo che iniziano forti mobilitazioni dei lavoratori Almaviva che, uniti in un coordinamento nazionale, lanciano ad azienda e sindacati una chiara richiesta: sì al salvataggio dei posti di lavoro, ma non ad ogni condizione. I dipendenti, quindi, chiedono un ammortizzatore sociale equamente distribuito a livello nazionale, per evitare che i poli di Palermo, Roma e Napoli diventino bacini per futuri licenziamenti e per non peggiorare le già pesanti condizioni di sfruttamento. Indice della volontà ferma dei lavoratori è il netto rifiuto con un referendum (il 95 % dei dipendenti vota no) dell’accordo proposto da Almaviva ad aprile… accordo identico nella sostanza a quello approvato la notte del 31!

Infatti, se da un lato non ci sono più contratti di solidarietà per i poli di Milano, Rende e Catania, le percentuali a Palermo, Roma e Napoli rimangono identiche, con pianificazione della solidarietà quindicinale. L’unica apparente novità sarebbe la CIGS, tuttavia già prevista dal DL 148/20152, dunque non la definiremmo una conquista. E’ evidente che i licenziamenti non sono stati scongiurati, ma semplicemente rimandati.

Appare quindi chiaro l’obiettivo di Almaviva: sfoltire i poli di Palermo, Roma e Napoli, quelli con il personale più anziano, avendo così la possibilità di assumere nuova forza-lavoro, precaria e meno costosa, e servirsi delle agevolazioni introdotte dal Jobs Act per le nuove assunzioni. Il nuovo inquadramento di settore, a parole accusato come un grave colpo dall’azienda, rende più semplici i licenziamenti collettivi e gli appalti aggiudicati al massimo ribasso forniscono un’occasione per avviare gli esuberi, con la complicità dei sindacati confederali che, nel periodo del cambio di commesse, si sono limitati a spendere (in ritardo) solo qualche parola. Con il nuovo accordo di maggio, saranno i finanziamenti pubblici a coprire le spese per il mantenimento dei tremila dipendenti, soggetti fra l’altro a massima ricattabilità: solo 24, infatti, sono le ore di preavviso richieste per le modifiche all’orario di lavoro, con massimo due rifiuti a trimestre.

Non ci sono dubbi: ciò che è sorto dalla trattativa è l’ennesima truffa ai danni della classe lavoratrice, ormai abbandonata dalle grandi sigle sindacali, che sono totalmente asservite agli interessi dei padroni.

La gioventù comunista esprime solidarietà ai tremila lavoratori, ormai in vero e proprio esubero certificato, e alle migliaia di dipendenti che vivono ogni giorno, nelle sedi di Almaviva, situazioni di sfruttamento e di ricatto. Siamo certi che la lotta dei lavoratori non finisce qui, auspicando l’inizio di un contrattacco solido e reale, che sviluppi tutta la forza crescente di questi mesi di mobilitazione, blocchi selvaggi, scioperi in forma organizzata e coesa attraverso l’unione e il protagonismo dei lavoratori del gruppo Almaviva e del settore dei call center in un grande fronte intersindacale, conflittuale e di classe.

Note
________________

1 Non più dalle 6 alle 9 mensilità per ogni lavoratore licenziato, ma il pagamento del 41 % di 3 mensilità NASpI – www.inps.it/portale/default.aspx?lastMenu=5808 .

2 Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183.

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