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Voucher: lotta al lavoro nero o precarietà senza fine?

I primi di maggio del 2023 viene approvato e pubblicato dal Consiglio dei Ministri, un decreto-legge che contiene tutte le principali riforme che il Governo Meloni vuole applicare in tema di lavoro. Un decreto-legge (soprannominato “Decreto Lavoro”) che fa il paio con la Manovra Finanziaria di qualche mese fa, in cui si è avuto un assaggio di quella che sarebbe stata la postura del Governo rispetto a una serie di temi come liberalizzazione dei contratti a termine, Cuneo fiscale, taglio al reddito di cittadinanza e finanziamenti alle imprese che producono armi.

In questo articolo vogliamo analizzare nello specifico uno degli elementi peggiori di questo Decreto, che inciderà profondamente soprattutto sulle condizioni di lavoro della gioventù proletaria: la reintroduzione dei Voucher.


COSA SONO I VOUCHER?

I buoni lavoro o voucher sono nati nel 2003 con la cosiddetta “riforma Biagi” durante il secondo governo Berlusconi, come sistema di pagamento pensato per il lavoro occasionale di tipo accessorio, soprattutto nel settore del lavoro di cura. Entrato in vigore nel 2008, sempre con il Governo Berlusconi, nel 2012 con la “Riforma Fornero” del Governo Monti viene poi esteso a tutti i settori, ma è solo con il Jobs Act del Governo Renzi che diventeranno molto più facili da usare per i padroni. Nel giro di una decina di anni questo strumento, di liberalizzazione in liberalizzazione, è diventato un vero e proprio pilastro per interi settori lavorativi.


COME FUNZIONANO I VOUCHER E COSA ACCADE CON IL DECRETO LAVORO

I voucher rappresentano un sistema di pagamento che i padroni possono utilizzare per remunerare prestazioni di lavoro accessorio, cioè quelle prestazioni di lavoro svolte al di fuori di un normale contratto di lavoro in modo discontinuo e saltuario. Il pretesto dell’introduzione dei voucher è stato quello di regolarizzare situazioni di lavoro in settori che da sempre sono fuori dai controlli (come la ristorazione, turismo, lavoro agricolo, di cura etc.) e di combattere così il lavoro nero. Anziché aumentare i controlli ed intensificare le pene per chi sfrutta i lavoratori a nero, il Governo Renzi attraverso il Jobs Act rese sistemico l’utilizzo dei voucher, mettendo a disposizione dei padroni un ulteriore strumento che permetteva loro di non regolarizzare un rapporto di lavoro con un normale contratto col CCNL di riferimento, ma di tenere il lavoratore in un rapporto di costante precarietà, pagandolo di fatto con dei buoni da 7,50 euro l’ora.

Nonostante per diversi anni siano stati molto limitati nell’uso, anche se non completamente scomparsi, i voucher ora “rientrano dalla finestra” con il nuovo governo di destra. Viene infatti reso possibile per aziende di alcuni settori (turismo, ristorazione, grandi eventi) l’utilizzo della prestazione occasionale fino a 25 lavoratori, mentre prima era vietata sopra i cinque dipendenti. Ma la differenza sostanziale è il limite di utilizzo per singolo lavoratore: con il nuovo decreto la soglia massima entro la quale è possibile retribuire un lavoratore con i voucher passerà da 10.000 a 15.000 euro annui. Insomma, i buoni per le prestazioni occasionali potranno essere utilizzati molto più diffusamente, anche perché 15mila euro annui possono rappresentare, in molti casi, il reddito annuo complessivo di un lavoratore.


LAVORO NERO O PRECARIETÀ?

Il Governo Meloni per reintrodurre i voucher ha tentato di giocarsi la carta della lotta al lavoro nero e sommerso, come aveva fatto precedentemente il governo Renzi e ancora prima il Governo Berlusconi. Ma come stanno davvero le cose?

La realtà dei fatti è che le forme di prestazione occasionale, da quando sono state adottate, non hanno contribuito affatto a combattere il lavoro nero, ma hanno soltanto precarizzato ancora di più i lavoratori delle categorie più deboli e ricattabili. Lo stesso Tito Boeri, ex presidente dell’Inps, nel 2016 affermava: «C’è il dubbio che i voucher non siano utilizzati per lavori occasionali, ma che in realtà siano le uniche prestazioni che svolge il lavoratore. Il timore è che stiano sostituendo i contratti part-time e a chiamata, con il risultato di dare una copertura al lavoro nero».

Secondo uno studio della CGIL, “tra il 2008 e il 2017 sono stati venduti 400 milioni di voucher, dei quali il 20% solo nel turismo. Il ricorso ai voucher per singolo lavoratore è stato di 60-70 all’anno per un dato salariale medio di 480 euro all’anno”. Appare quasi superfluo dover ribadire che con tali cifre è impossibile sopravvivere e che proprio queste forme veloci e precarie di prestazione lavorativa in realtà hanno l’effetto di favorire l’aumento della precarietà e del lavoro nero, aggirando in parte anche i controlli e contribuendo ad aggravare la condizione di milioni di lavoratori, spesso giovanissimi.

Nei fatti possiamo considerare i voucher uno strumento nelle mani dei padroni, più specificamente di quei piccoli padroncini di settori come la ristorazione, turismo e agricoltura, ai quali questo governo ha fatto un vero e proprio assist con la reintroduzione di un sistema che precarizza ancora di più i lavoratori. Anziché incentivare forme di lavoro regolare, contratti giusti e stabili e tutele, il Governo reintroduce la possibilità di pagare i lavoratori con dei buoni che non danno nessuna garanzia di stabilità contrattuale, che non prevedono benefici o forme di tutela come malattia, ferie o permessi. Insomma, un sistema di precarietà senza fine per i lavoratori di quei settori, molto spesso giovani, che si vedranno spremuti e gettati via per poi ricominciare da capo in un circolo vizioso senza fine.

Uno strumento vantaggioso per padroni e padroncini, ma molto utile anche al Governo Meloni come elemento propagandistico grazie al quale garantirsi le simpatie e i consensi di quella piccola borghesia che da sempre rappresenta una preda fin troppo ghiotta per le forze di centrodestra e di centrosinistra e con la quale ogni Governo che voglia sedere in Parlamento deve misurarsi e fare i conti.

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