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Perché ridurre gli stipendi ai parlamentari non basterà

Oggi alla Camera si è discussa la proposta sulla riduzione delle indennità parlamentari da 5000€ a 2500€ netti mensili. Il ddl è stato rinviato in commissione grazie al voto compatto della maggioranza del parlamento. “Con l’approvazione della nostra proposta di legge si farebbero risparmiare circa 87 milioni di euro ai cittadini” – questo avevano affermato in una nota i deputati grillini, per i quali la proposta è stata una mossa tattica per mettere in contraddizione il PD a poco più di un mese dal referendum. Una proposta che in realtà, come ben fanno notare i M5S, anche Renzi sosteneva nel 2012, e a cui oggi il PD si oppone bollandola come populistica e demagogica, in parte per non darla vinta ai grillini, in parte perché si tratta pur sempre di un partito fondato sul clientelismo.

Una premessa doverosa: noi comunisti siamo da sempre per la riduzione degli stipendi dei parlamentari. Sia il PCI che i movimenti alla sua sinistra chiesero l’approvazione di riduzione degli stipendi e applicarono autonome misure di riduzione, imponendo la devoluzione di parti considerevoli dello stipendio al Partito. Quindi non siamo di certo contrari alla riduzione, anzi. Per noi i parlamentari dovrebbero prendere quanto un lavoratore normale, e così anche gli stipendi dei magistrati, dei giornalisti, dei dirigenti delle amministrazioni e delle aziende pubbliche.

Il punto però è un altro. La proposta dei M5S racchiude in sé molto populismo, sebbene non nel senso che intendono Renzi e il PD. Il Movimento 5 Stelle oggi vende l’illusione che i problemi dell’Italia derivino essenzialmente da una politica corrotta e disonesta. Una visione superficiale e semplicistica, che certo coglie un aspetto della realtà ma nulla dice su ciò che avviene realmente. Si parla molto dei costi della politica, ma molto poco dei costi che i banchieri e i padroni chiedono ogni anno di pagare ai lavoratori e alla gioventù. Nel 2015 l’Italia ha speso 70 miliardi (cioè 70.000 milioni!) di euro per pagare i soli interessi sul debito pubblico. Un debito illegittimo, enormemente lievitato a causa di grandi speculazioni e della scelta degli stati UE di erogare enormi prestiti a fondo perduto (3500 miliardi) per il salvataggio delle banche dal fallimento. Ciascuno degli F-35 che la NATO chiede all’Italia di comprare costa 100 milioni, e lo stanziamento complessivo ammonta a circa 14 miliardi, altri 2 miliardi per il programma FREMM della marina militare sono stati stanziati dalla legge di stabilità 2016. Numeri che fanno impallidire gli 87 milioni che si risparmierebbero con il dimezzamento degli stipendi parlamentari, che certo resta una misura giusta ma insufficiente, una vera e propria goccia nel mare.grafica-tagli-sipendi-parlam

Il problema però non è solo quantitativo, ma sta nella concezione errata che ha il M5S sul tema della disonestà della classe politica. Da questa si fanno derivare tutti i mali che affliggono l’Italia, non tenendo conto che esiste un conflitto di classe che ancora oggi è centrale in ogni avvenimento politico. Il problema principale non è la casta politica, ma i padroni che detengono realmente il potere: il grande capitale, la grande industria, i grandi gruppi economici e finanziari di cui i politici sono poco più che vassalli. Un potere prima di tutto economico, che assume la forma “istituzionale” in organizzazioni come la UE, la NATO, il FMI, e che decide le sorti del nostro paese proprio perché ne tiene in mano le redini. Ridurre lo stipendio ai politici è una misura ben lontana dall’essere rivoluzionaria, che tutt’al più crea qualche malumore in una classe politica che fino ad ora è stata ben pagata per approvare tutto ciò che chiedevano UE, BCE e FMI, ma modifica ben poco nei reali assetti di potere.

Perché gli stipendi dei politici sono così alti? Proprio per ripagare quella funzione, che deve essere ben remunerata, con la quale quelli che dovrebbero essere i rappresentanti del popolo accettano di buon grado di abdicare alla propria funzione, anche solo nei termini di una mediazione che ogni tanto sia favorevole agli interessi delle classi popolari. I politici sono ben pagati perché i poteri forti comprano letteralmente la loro fedeltà. Diminuire gli stipendi e i privilegi dei politici, che oggi sono certamente uno schiaffo in faccia alla condizione dei lavoratori e delle famiglie italiane, senza attaccare quel sistema che genera le ingiustizie, è una misura che non cambia la condizione reale del Paese.

Gli 87 milioni che si risparmierebbero sono briciole in confronto a ciò che ci è stato tolto in questi anni. Essere rivoluzionari vorrebbe dire essere disposti alla rottura decisa con un sistema che antepone i profitti dei grandi capitalisti ai diritti dei lavoratori e della gioventù; alla rottura con l’Unione Europea e con il sistema del debito pubblico che oggi si tramuta in una leva per imporre ai popoli il più grande attacco ai diritti sociali dal dopoguerra ad oggi. Ma il M5S, forza eterogenea e priva di un’idea radicalmente alternativa di società, sembra tutt’altro che disposto ad assumersi questa responsabilità, preferendo percorrere la strada di una razionalizzazione e “umanizzazione” di un sistema, il capitalismo, che per sua natura è ingiusto e irriformabile. Una strada che già troppe volte si è rivelata un vicolo cieco per le classi popolari. Insomma, a parole si va in battaglia, ma non si sa dove mirare e le armi sono finte…

 

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