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La DAD è la nuova frontiera della scuola di classe

Gli studenti delle scuole superiori sono, ormai da marzo, in didattica a distanza in modo quasi continuato. Il Governo parla di un possibile rientro a scuola il 7 gennaio, però non un centesimo è stato stanziato per cancellare le classi pollaio e garantire un tracciamento dei contagi efficace nelle scuole. Inoltre è verosimile che il rientro, se si farà, sarà in didattica mista: alcuni giorni in presenza e altri in DAD. Insomma, le lezioni online che si sono imposte negli ultimi mesi in modo regolare non spariranno in tempi brevi. E non senza conseguenze per gli studenti.

 La realtà delle videolezioni

Chi dice lezione online dice disagi quotidiani. Gli studenti che vivono la DAD in prima persona sanno bene cosa significa avere un problema di connessione durante una lezione oppure dover condividere la propria stanza con un fratello nelle ore di scuola. Anche i dati confermano questa situazione di disagi e difficoltà quotidiane. L’ISTAT, l’istituto nazionale di statistica, in un autorevole rapporto di quest’estate segnala “Il 45,4% degli studenti di 6-17 anni (pari a 3 milioni 100mila) ha difficoltà nella didattica a distanza per la carenza di strumenti informatici in famiglia, che risultano assenti o da condividere con altri fratelli o comunque in numero inferiore al necessario”.

 Si alzano nuove barriere per il diritto allo studio, mentre Ministero dell’Istruzione e presidi non sembrano voler venire incontro agli studenti. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria il ministro Lucia Azzolina, in nome dell’autonomia scolastica, ha deciso di lasciare le decisioni legate all’organizzazione delle lezioni a totale discrezione delle scuole e quindi dei dirigenti scolastici. In totale sintonia con le riforme degli ultimi anni che hanno reso i presidi dei veri e propri manager aziendali, tutte le decisioni di maggiore importanza sono state lasciate a loro mentre studenti e docenti sono stati esclusi dalle scelte significative dell’Istituto. Con la scusa della pandemia e l’impossibilità di organizzare riunioni in presenza gli organi collegiali delle scuole, Consigli d’Istituto e Collegi Docenti sono stati spesso esclusi dalle discussioni in merito all’organizzazione delle videolezioni o ai provvedimenti come la distribuzione dei pochi computer che il Ministero ha fornito alle scuole.

Non soltanto la gestione della DAD genera forti difficoltà agli studenti, ma i casi di sanzioni disciplinari ingiustificate sono aumentati in modo indiscriminato. In molte scuole professori, con l’appoggio dei presidi, hanno sanzionato anche con note disciplinari gli studenti che non riescono a seguire le lezioni per via della mancanza di strumenti informatici. Inoltre, in molte scuole le assemblee d’Istituto vengono negate dai presidi in nome delle ore perse di lezione o di una presunta impossibilità organizzativa di riunioni online. In certe scuole perfino non si è proceduto alla convocazione delle elezioni dei rappresentanti d’Istituto e di Consulta, se non dopo le proteste degli studenti.

Mancano gli strumenti per la DAD

Le sanzioni disciplinari nei confronti degli studenti senza un PC o una connessione internet sono all’ordine del giorno. Gli studenti devono trovare una soluzione in autonomia. A dirlo sono in molti casi le stesse circolari dei presidi. Il problema è che la carenza di computer o di connessioni adeguate non riguarda una piccola minoranza, come vuol far credere il Governo, ma una parte considerevole degli studenti. Il rapporto Uecoop (Unione Europea delle Cooperative) di ottobre ha segnalato che una famiglia su quattro non ha i mezzi per affrontare le videolezioni. Per far fronte a questa situazione il Governo ha stanziato solo poche briciole, insufficienti per garantire il pieno accesso alle lezioni online a tutti.

A pagarne le conseguenze sono i figli di lavoratori, gli studenti delle scuole di periferia, in particolare degli istituti tecnici e professionali, gli studenti di tutte quelle scuole di “serie B”, la netta maggioranza delle scuole del nostro paese, che più in questi decenni hanno subito i tagli miliardari all’istruzione. Oggi a tutti questi studenti non viene garantito il diritto allo studio. Provando a negare le assemblee d’istituto e l’elezione dei rappresentanti, i dirigenti scolastici attaccano i diritti degli studenti che servono per organizzarsi e per combattere collettivamente le ingiustizie interne alla scuola.

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La didattica “capovolta”

In realtà non è solo la carenza di strumenti a rendere la didattica a distanza classista, ma è proprio questa forma di didattica che, se resa strutturale, approfondisce delle differenze già presenti da anni nel sistema scolastico italiano. Anche ipotizzando che tutti gli studenti abbiano i dispositivi e il supporto necessario dai professori, la decisione di chiudere le scuole non può che aumentare le differenze tra studenti ricchi e delle classi popolari.

La scuola pubblica che conosciamo oggi presenta diverse barriere al diritto allo studio contro le quali gli studenti si sono più volte mossi: dal contributo volontario al costo dei libri di testo, agli abbonamenti per i mezzi, i costi per frequentare una scuola che dovrebbe essere pubblica e gratuita sono sempre più alti. Non si può quindi dire che l’istruzione pubblica dia a tutti le stesse possibilità. Anche solo al momento dell’iscrizione una famiglia dovrà farsi i conti in tasca per capire quale scuola si può permettere, se un rinomato liceo di centro o un istituto più accessibile economicamente. Detto ciò, bisogna anche tenere in conto che la lezione che un docente svolge in aula, davanti a tutta la classe (e il più possibile insieme a tutta la classe) è uguale per ogni studente presente. Inoltre, il processo formativo non dovrebbe essere un’esperienza dei singoli, ma il frutto del confronto e della collaborazione di tutti i componenti del gruppo classe. La lezione in classe non dovrebbe essere sempre e solo frontali e in cui l’unico compito del docente è impartire delle nozioni ma un momento il più possibile di discussione e partecipato da tutti per riuscire ad apprendere delle conoscenze utili a formarsi un proprio spirito critico.

La DAD non solo aumenta il nozionismo ma anche il ruolo dello studio individuale. Ogni studente si è sentito ripetere da ogni professore che non basta stare attenti in classe, ma che bisogna poi tornare a casa e riprendere gli argomenti volta per volta e non studiare tutto prima della verifica. Ora però il processo si è invertito: sempre più spesso agli studenti viene detto di studiare autonomamente intere parti di programma e che poi al massimo i dubbi verranno chiariti a lezione. Questa dinamica, cancellando l’introduzione all’argomento fatta dal docente, aumenta il peso delle possibilità dei singoli. Non tutti gli studenti hanno quindi gli stessi strumenti, o per lo meno degli strumenti minimi omogenei, per affrontare un determinato argomento. Lo studio individuale quindi potrà essere più difficoltoso, soprattutto per chi non disporrà di genitori o lezioni di ripetizione pronti ad aiutare nell’approccio all’argomento nuovo.  Le lezioni online applicate senza corsi di formazione dei docenti, senza strumenti necessari e, soprattutto, per un periodo prolungato non possono che rafforzare le differenze di classe a scuola.

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Gli interessi dei privati

È esperienza quotidiana che le videolezioni siano uno strumento utile per entrare in contatto in un momento come quello attuale, in cui le condizioni sanitarie non permettono di incontrarsi in presenza. Pensare però di applicare le lezioni a distanza in sostituzione a quelle in presenza per mesi e mesi di fila, senza misure concrete per garantire un rientro in sicurezza, significa rendere questo strumento “emergenziale” uno strumento strutturale. Dall’essere una soluzione limitata e temporanea la didattica online è diventata la norma da ormai più di 6 mesi. E certi settori della società, a partire dalle multinazionali dei software come Microsoft, ne sostengono una regolarizzazione anche a fine emergenza Covid. Nel rapporto di una ricerca di questa estate Elvira Carzaniga, Direttore della Divisione Educazione di Microsoft Italia, ha espresso una chiara richiesta di aumentare l’uso di computer e software a scuola anche dopo la pandemia “affinché la tecnologia [DAD], nel lungo termine, possa essere integrata in modo davvero efficace nella didattica tradizionale per rinnovarla e migliorarla”.

La DAD è necessaria nei periodi di picco dell’epidemia quando i contagi sono troppo elevati. Una volta superata l’emergenza però non si può rimanere con le lezioni online, neanche in forma parziale. La proposta di Microsoft di rendere strutturale la DAD è chiaramente funzionale ai propri interessi economici, però a discapito delle esigenze degli studenti. Negli ultimi mesi la multinazionale ha erogato numerosi corsi di formazione per i docenti e i membri del ministero, ha fornito i propri software, chiaramente a pagamento.

Sotto la retorica della digitalizzazione della scuola si nascondono grandi accordi tra aziende e Governo che hanno intenzione di entrare a gamba tesa nel settore scolastico. I beneficiari di questa operazione sono le aziende del settore informatico, che si riempiono le tasche per fornire dei servizi, senza però nessun controllo sul carattere didattico e pedagogico da parte dello Stato. Appaltando ai privati la gestione di questi strumenti è chiaro come si deleghi un settore fondamentale alle esigenze dei privati, che non si occupano di didattica a fini di beneficenza, ma sono interessati esclusivamente ad aumentare i propri profitti. Non è un caso che il comitato tecnico, che ha affiancato il ministro Azzolina durante il primo lockdown, fosse composto non solo da dirigenti del ministero, ma anche da manager di aziende del mondo dei software.

Videolezioni, esercizi online ecc. Possono essere degli ottimi strumenti per rafforzare le proprie conoscenze in aggiunta alle ore di scuola. Il primo punto è che questo utilizzo deve avvenire in supporto e non in sostituzione alle lezioni in presenza. Le lezioni in presenza sono la base fondamentale della scuola e non è accettabile un ritorno, anche solo parziale, alla DAD una volta che le condizioni sanitarie permetteranno le lezioni in aula. Il secondo punto è contestare la digitalizzazione della scuola per i profitti delle aziende. Come già detto, gli strumenti digitali possono essere di grande aiuto a studenti e professori ma ora bisogna chiedersi se si vuole portare avanti una digitalizzazione della scuola tutta a vantaggio delle aziende o per i bisogni della collettività. Corsi di formazione, database, portali della didattica non dovrebbero dipendere semplicemente da accordi economici tra Governo e aziende. Tutti questi passaggi dovrebbero essere svolti con fini didattici che rispecchino le esigenze degli studenti e dei docenti, con un rigido controllo dal Ministero dell’Istruzione e una formazione critica anche da parte degli studenti sull’uso di questi strumenti. Non è un caso che la maggior parte degli strumenti informatici usati nelle scuole siano pacchetti e applicazioni che richiedono specifiche licenze a pagamento. Le alternative esistono nei sistemi operativi dei software liberi come Ubuntu, che offrono spesso applicazioni gratuite e pacchetti open source. Inoltre, parlando di digitalizzazione che faccia gli interessi degli studenti, si deve citare la necessità che ogni classe possa disporre di una LIM in aula (strumento che può essere di enorme supporto alle lezioni in presenza) o anche, come molti studenti stanno già chiedendo, che i devices forniti in comodato d’uso per l’emergenza possano restare, ovviamente sempre in comodato d’uso, agli studenti anche quando si rientrerà in presenza, così da garantire ad ogni studente la possibilità di usare un dispositivo per le attività di studio.

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Quali prospettive di lotta

Con il previsto rientro a scuola nel 2021 il Governo vuole replicare quanto fatto a settembre: i soldi alla scuola pubblica non aumentano nella Legge di Bilancio, l’Azzolina ha giustificato l’assenza di nuove assunzioni di professori dicendo che “Non servono nuovi insegnanti in quanto la denatalità diminuirà comunque il numero di studenti e quindi anche la necessità di nuovi insegnanti(sic!)”. Nel frattempo in Italia 200.000 docenti rimarranno precari anche l’anno prossimo. Il Recovery Fund, dall’altra parte, garantisce meno del 5% dei fondi all’istruzione, con la clausola che vengano impiegati comunque tenendo conto delle necessità delle imprese. Insomma, per i fondi alla scuola pubblica non è previsto nessun miglioramento per il 2021 e di conseguenza il rientro a scuola non è assolutamente garantito mentre la DAD, secondo i piani del Governo, sarà centrale nei prossimi mesi.

Le lezioni online fotografano il carattere di classe della scuola italiana. Il Governo al posto di prendere dei provvedimenti per garantire il diritto allo studio in DAD e preparare un rientro sicuro in presenza, sta facendo tutto il contrario. Andare a scuola in presenza, quando le condizioni sanitarie lo permetteranno, è una prerogativa per le lotte degli studenti, ma non a rischio della nostra salute. La sicurezza a scuola è una clausola necessaria per garantire continuità didattica e evitare di richiudere le scuole come a settembre.

La lotta contro questa DAD non può che essere collegata alla rivendicazione parziale e immediata di riconoscere dei diritti fondamentale nelle lezioni online: dal diritto di accesso ai dispositivi informatici, il diritto assembleare e uniformità della didattica su scala nazionale. Dall’altra parte risulta evidente che questa forma di didattica, oggi diventata strutturale nella scuola italiana, non possa sopperire le lezioni in presenza sul medio-lungo periodo. Gli studenti vogliono tornare a scuola in presenza. Ma non per questo sono disposti ad ammalarsi e contagiare i propri genitori.

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