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L’esplorazione spaziale tra socialismo e capitalismo. Da Gagarin alla SpaceX

di Daniele Bergamini

Son passati sessant’anni da quel fatidico 12 aprile del 1961, giorno in cui Yuri Gagarin diventava il primo uomo nello spazio a compiere un’orbita completa attorno al pianeta.

Si trattava per l’epoca di una sfida enorme, che l’Unione Sovietica fu in grado di affrontare grazie alla pianificazione economica, che aveva garantito una rapida industrializzazione e grandi investimenti in campo tecnico-scientifico.

Fu, infatti, fondamentale la  lunga esperienza di grandi ingegneri come Sergej Pavlovic Korolev che avevano conseguito i primi successi del programma spaziale sovietico, tra cui lo Sputnik e le sonde Luna. A pochi anni dalla fine della guerra, l’ingegneria sovietica fu in grado di fabbricare un vettore capace di posizionare un carico in orbita terrestre. Mancavano solo due elementi: personale addestrato e una capsula in grado di ospitare un cosmonauta e farlo tornare sulla Terra sano e salvo.

Dallo Sputnik si arrivò, così alla Vostok,, una capsula pensata per un solo cosmonauta ma che poteva compiere le manovre necessarie per mantenersi in orbita e per tornare a Terra. Gagarin rimase in orbita poco più di un’ora e mezza dal momento in cui la capsula fu liberata dal razzo che l’aveva portata in orbita, dopodiché ridiscese a Terra sano e salvo. Espulso dalla capsula discese con un paracadute, al contrario delle moderne capsule che atterrano con l’equipaggio.

Gli Stati Uniti riuscirono poco tempo dopo a replicare l’impresa, ma i primi due voli delle Mercury erano semplici lanci suborbitali, in cui il vettore spingeva la capsula fino a un centinaio di km di quota e la capsula poi tornava a terra, mentre le Vostok sovietiche erano già in grado di orbitare attorno al pianeta e disponevano di vettori abbastanza potenti da farle raggiungere tale obiettivo.

L’ultima Vostok fu utilizzata da Valentina Tereskova nel 1963, la prima donna a volare nello spazio. Dopo il suo importante contributo fu lanciata la capsula Voshkod, ossia una Vostok modificata che nel 1965 rese possibile la prima passeggiata spaziale in assoluto, compiuta da Alexeij Leonov.

La corsa allo spazio va inquadrata nel contesto della guerra fredda. Motivazioni propagandistiche e obiettivi militari rendevano l’esplorazione dello spazio come la nuova frontiera da raggiungere per l’umanità. Portare l’uomo nello spazio, o addirittura sulla Luna, era vista anche come una dimostrazione di superiorità tecnica, scientifica e militare.

Non è un caso che gli statunitensi diedero molta importanza allo spazio, poiché un satellite in orbita significava anche la possibilità di essere spiati da quello stesso oggetto o di subire un bombardamento nucleare: un missile che poteva portare una capsula o un satellite nello spazio, sarebbe potuto essere utilizzato anche per bombardare una città straniera. Infatti, i missili balistici intercontinentali si basarono sullo sviluppo tecnologico dei razzi spaziali.

I sovietici, nella corsa allo spazio, furono “battuti” solamente in occasione dello sbarco sulla Luna da parte degli USA. Ma dopo tale evento l’URSS ha avviato la costruzione delle prime stazioni spaziali, le Salyut, e ha inviato sonde su Venere.

L’ultimo grande successo del mondo socialista è la stazione spaziale MIR, la prima nel suo genere, dal momento che era costruita in più moduli e non uno solo. La sua eredità è tale che alcuni moduli della moderna Stazione Spaziale Internazionale (ISS) sono figli di quel programma.

Da allora molto è cambiato nel mondo dell’industria spaziale, specialmente dopo la controrivoluzione nei paesi socialisti e l’esperienza della ISS.

In primo luogo, sono emerse nuove potenze spaziali, come Cina e India; in secondo luogo, i soggetti privati hanno gradualmente intensificato le loro attività nel settore, attirati dalla possibilità di profitti sempre maggiori, dovuti ai miglioramenti tecnologici che hanno ridotto il costo dei veicoli e delle attrezzature.

 

Le aziende private nel settore spaziale

Nell’industria aerospaziale le agenzie private non sono una novità. Negli USA, in Europa e in Giappone esistono grandi gruppi, come la statunitense Boeing, la franco-italiana Thales Alenia e la giapponese Mitsubishi, che eseguono i progetti delle agenzie pubbliche, con un sistema inaugurato dal programma Apollo.

Negli anni recenti è emerso un nuovo approccio al settore in cui l’azienda, anziché eseguire un progetto proposto dall’ente governativo, avvia in modo autonomo la progettazione e la costruzione di un veicolo.

Si tratta del fenomeno “New Space”. Imprenditori e uomini d’affari intendono traslare al settore spaziale le logiche della “New Economy” e della rivoluzione informatica degli anni Novanta, secondo cui i privati possono sviluppare in modo indipendente le tecnologie di cui necessitano per le loro attività.

La SpaceX di proprietà di Elon Musk è l’esempio più famoso. Si tratta dell’azienda privata che ha conseguito i più grandi successi, essendo stata la prima in assoluto a mandare in orbita un satellite e a trasportare un equipaggio alla ISS con una navicella progettata e costruita autonomamente, dal vettore di lancio alla capsula che ospita gli astronauti.

Non mancano esempi di aziende analoghe: Blue Origin, Rocket Lab, Axiom Space e tanti altri costruttori. Alcuni progettano e costruiscono interi veicoli, altri si specializzano su singole componenti e i clienti possono essere sia altri privati sia enti statali.

La NASA ha subito un rilevante taglio di fondi federali a partire dal 2000 a causa dei mancati grandi successi che non arrivarono dal programma Space Shuttle, chiuso nel 2011. Infatti, da tempo coopera con SpaceX e affini per ridurre i costi dei programmi, mentre le aziende grazie a tali cooperazioni realizzano profitti non trascurabili che spesso sono alla base del loro successo commerciale, senza contare il risvolto mediatico positivo che avvolge tali operazioni.

Non è un mistero che SpaceX ha ricevuto fondi e contratti dalla NASA sin dai primi anni e ha vinto varie gare d’appalto che le hanno garantito grandi guadagni.

Dal ritiro dello Space Shuttle nel 2011 fino alla prima Crew Dragon con astronauti a bordo, la SpaceX si è occupata dell’invio di rifornimenti e materiali alla ISS con la capsula Cargo Dragon e nel frattempo ha sviluppato razzi riutilizzabili e vinto appalti sia con altre imprese private sia con enti governativi.

La volontà di Elon Musk di raggiungere Marte può essere vista come una fantasia di un magnate megalomane. Tuttavia, al di là della fattibilità del progetto, la Spacex ha sviluppato tecnologie come i vettori riutilizzabili e capsule per astronauti di nuova generazione che le hanno garantito una posizione egemonica nel mercato spaziale.

La Starship, un vettore pesante ancora in fase di sviluppo, non è intesa infatti solo come razzo per andare sul pianeta rosso ma anche come vettore per gli scopi più disparati tra cui il lancio di intere reti satellitari nel minor tempo possibile o la costruzione di una stazione spaziale, in modo da monopolizzare una fascia di mercato sempre più ampia.

Un altro settore che genera profitti in orbita terrestre è quello militare, i monopoli dell’industria spaziale statunitense hanno già da tempo fornito all’esercito e alla neonata Space Force i propri vettori per lanciare satelliti spia, rendendo possibile l’ammodernamento delle infrastrutture necessarie all’imperialismo americano per mantenere la sua egemonia a livello militare.

 

La corsa al mercato spaziale 

Tra i paesi emergenti la Cina è la potenza spaziale più avanzata. È il terzo paese in grado di inviare un uomo nello spazio con un proprio veicolo e, analogamente a Russia e Stati Uniti, ha esperienza nella costruzione di stazioni spaziali e sonde inviate verso la Luna e Marte.

La sua rapida ascesa ha destato non poche preoccupazioni nel mondo politico statunitense. Già nel 2011, infatti, durante la presidenza Obama, fu varata una legge (il famigerato China Space Ban) che impediva l’utilizzo delle infrastrutture spaziali statunitensi a un qualsiasi ente cinese. Un equipaggio cinese, per esempio, non potrebbe visitare la ISS per via di questa legge.

Le tensioni sino-statunitensi hanno indotto alcuni analisti a parlare di nuova corsa allo spazio, ma non si tratta di una riedizione di ciò che è accaduto negli anni Sessanta, piuttosto è una ricerca di nuovi mercati per generare nuovi profitti per i rispettivi monopoli.

Il programma NASA di ritorno degli astronauti sulla Luna non risponde unicamente all’esigenza di evitare, anche solo simbolicamente, la perdita di egemonia a favore dei cinesi ma soddisfa anche esigenze economiche, essendo accompagnato da posizioni inedite degli Stati Uniti sugli usi del suolo lunare.

Tali posizioni si sono manifestate attraverso la proposizione degli Accordi Artemis da parte dell’amministrazione Trump nel 2020, che prevedono il diritto di appropriarsi dei materiali estratti dal suolo lunare pur non negando il divieto di proclamazione della sovranità sui corpi celesti, contenuto nel Trattato sullo Spazio del 1967.

Russia e Cina hanno contestato quanto proposto da tali accordi mentre Giappone, Italia, Gran Bretagna e altri li hanno firmati e intendono cooperare nelle missioni lunari del programma Artemis.

Tale programma, già nelle sue fasi iniziali, prevede il coinvolgimento di aziende private in vari modi: dalla costruzione delle navicelle necessarie per allunare gli equipaggi alle attrezzature per lo sfruttamento delle risorse lunari.

Assieme agli accordi Artemis, anche la Space Force è motivo di scontro con Mosca e Pechino. Queste ultime vedono la creazione di un ramo militare spaziale indipendente come una sorta di militarizzazione dello spazio e l’amministrazione Biden ha mantenuto l’impostazione generale nonostante il ricambio delle principali figure amministrative della NASA.

L’opposizione russo-cinese non si pone in un’ottica antiimperialista, anzi, la Cina ha proposto la costruzione di una zona economica speciale Terra-Luna in cui possono investire le aziende e ha aperto alla collaborazione con altri paesi nel quadro del progetto della Nuova Via della Seta.

In quest’ultimo progetto, nel settore aerospaziale, sono previste infrastrutture di vario tipo come le reti satellitari per internet, telecomunicazioni e navigazione in concorrenza con gli omologhi statunitensi.

La dinamicità della Cina nel settore spaziale ha attirato l’interesse dei monopoli locali che si stanno inserendo gradualmente nel settore. Nel 2019 la cinese I-Space è la prima compagnia privata a lanciare un suo satellite in orbita, mentre Geely (detentrice del marchio Volvo) ha manifestato l’intenzione di creare una propria rete satellitare da utilizzare per la guida autonoma delle automobili, infine altre compagnie private hanno lavorato alla costruzione dei satelliti per la rete 5G.

Le tensioni con la Russia sono dovute alla concorrenza dei lanciatori privati. La Roscosmos ha perso il monopolio dei lanci commerciali con l’emergere della SpaceX e, per via di quest’ultima, è stato ridimensionato anche il ruolo nella rotazione degli equipaggi nella ISS, per anni esclusiva delle Soyuz e fonte non trascurabile di entrate per le aziende aerospaziali russe, spesso a direzione statale ma quotate in borsa.

Tali tensioni hanno avvicinato la Russia alla Cina anche a livello spaziale. Dopo tre decenni di cooperazione con ESA e NASA, i due paesi sono intenzionati a cooperare nell’esplorazione lunare, anche se non è mai stata messa in discussione la presenza russa nella ISS.

L’invecchiamento della ISS è un altro elemento importante nelle relazioni internazionali. Il programma lunare rende difficile la sua sostituzione per motivi finanziari e la nuova stazione spaziale cinese, che sarà lanciata nei prossimi mesi, potrebbe inficiare il ruolo della NASA nella cooperazione spaziale.

Anche in questo caso la NASA intende ricorrere ai privati e numerose aziende hanno già proposto i loro progetti per la costruzione di stazioni spaziali commerciali con finalità sia turistiche che scientifiche. Inoltre la spinta deriva anche dalla possibilità di conquistare o mantenere la cooperazione con i paesi emergenti che spesso richiedono i servizi di lancio dei privati e quindi costituiscono un mercato di vitale importanza.

È evidente quindi che le attuali politiche spaziali vanno inquadrate nella competizione interna alla piramide imperialista. Lo spazio diventa una nuova direttrice di espansione del capitalismo: le telecomunicazioni, i vettori e le navicelle private sono un primo passo verso nuovi settori come l’utilizzo delle risorse sui corpi celesti e lo space mining, ovvero lo sviluppo di un’industria estrattiva su suoli extraterrestri.

Lo spazio, quindi, non è più un qualcosa da utilizzare nell’interesse dell’umanità esplorando i corpi celesti e rendendo disponibili le tecnologie generate in tale ambito secondo quanto promosso dalla cosmonautica sovietica. A 60 anni dal volo di Gagarin, lo spazio è una nuova frontiera per fare profitto a beneficio dei grandi monopoli capitalisti.

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