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Introduzione al pensiero di Gramsci (PARTE 1)

di Alessandro Mustillo*

Leggere le opere di Gramsci non è affatto semplice per un giovane comunista che si avvicini per la prima volta al suo pensiero. Non lo è specialmente per i “Quaderni dal carcere” opera estremamente complessa perché non concepita per essere definitiva, ma come forma di appunti, spesso momentanei, da rivedere successivamente. Lo stesso Gramsci lo scrive più volte come promemoria per sé stesso, e forse già consapevole della sua condizione, come avviso per i futuri lettori. «Le note contenute in questo quaderno – scrive – sono state scritte a penna corrente, per segnare un rapido promemoria. Esse sono tutte da rivedere e controllare minuziosamente, perché contengono certamente inesattezze, falsi accostamenti, anacronismi. Scritte senza aver presente i libri a cui si accenna, è possibile che dopo il controllo, debbano essere radicalmente corrette perché proprio il contrario di ciò che è scritto risulti vero.» Una lettura critica dei “Quaderni dal carcere” non può non partire da questa realtà, da cui trapela tutto il lato umano della storia di Antonio Gramsci.

Incarcerato in quanto segretario del Partito Comunista, Gramsci è per il fascismo “una testa che non deve pensare”. Proprio per reazione a questa condizione imposta forzosamente Gramsci scrive. Lo fa come esercizio intellettuale per evitare l’abbrutimento del carcere e del confino – spesso sollecitato anche dalle persone più vicine – ma anche e soprattutto, perché Gramsci in carcere resta un dirigente della classe operaia, con i suoi compiti verso il proletariato. Per Gramsci non esistono divisioni artificiali tra filosofo e storico, intellettuale e politico. Egli, come ogni vero dirigente comunista, sente profondamente il suo compito storico, sente la sua funzione di intellettuale di classe, il cui compito è analizzare la società che lo circonda, quel “mondo grande e terribile” –  per usare una sua espressione –  comprenderne a fondo i meccanismi, delineare una strategia di lotta funzionale alla sua concreta espressione sul terreno della lotta politica.

Ma scrivere in quegli anni, in carcere per motivi politici, sotto la dittatura fascista non è cosa semplice. Sebbene oggi si tenda a pensare che il carcere fascista non fosse cosa dura, che il confino – per citare una famosa affermazione di Berlusconi – fosse una “vacanza”, la realtà è ben diversa. Come scrisse Paolo Spriano «L’oppressione generale e specifica, del regime fascista, sugli avversari politici – i comunisti in primo luogo – ridotti a perseguitati e reclusi, manifesta la sua crudeltà non in efferatezze o sadismi, bensì nel tran-tran burocratico della detenzione, delle piccole vessazioni, della lentezza con la quale ogni pratica che li concerne si svolge.»

Analizzare i “Quaderni dal carcere” significa anche questo, comprendere il contesto storico ed umano in cui sono concepiti, che sono ben visibili nelle lettere che Gramsci dal carcere invia ai suoi familiari e agli amici più stretti. Anche reperire i libri, giornali che non siano quelli di regime, non è cosa semplice. E per un dirigente comunista la consapevolezza di essere tagliato fuori dal mondo esterno, o di averne una visione parziale e ridotta, è forse l’oppressione più pesante del regime carcerario.

Il fascismo è terrorizzato dall’idea che Gramsci possa comunicare con l’esterno. Quando con uno stratagemma studiato da Piero Sraffa e Tania Schucht, per stimolare Gramsci a scrivere, Tania sollecita a Gramsci un aiuto per alcune recensioni su dei libri, la sola condizione di scrivere nelle lettere private qualcosa che avesse a che fare anche lontanamente con l’espressione di opinioni, che – a differenza dei Quaderni – aprivano un canale reale con l’esterno, subisce una netta reazione da parte dei carcerieri fascisti. Le lettere vengono sospese, e Gramsci, temendo di perdere un contatto con l’esterno, anche solo nella dimensione privata, chiede a Tania di scrivere solo di cose strettamente familiari «nella forma più chiara possibile» facendole presente che «chiarezza deve essere intesa non solo per te, ma per chiunque altro può leggere la lettera

Queste premesse devono essere tenute a mente da chi intende iniziare un percorso di lettura e di studio dei Quaderni. Sebbene essi non nascano come forma immediata di comunicazione con l’esterno, anche qui si rintracciano una serie di accortezze nel linguaggio, che consentono a Gramsci di mascherare ad occhi poco attenti la portata delle sue riflessioni. Gramsci gioca a far passare i suoi Quaderni il più possibile come opera innocua, come dissertazione puramente letteraria e astrattamente filosofica, come opera priva di concretezza, perché sa che in questo modo potrà godere di margini maggiori di lavoro. Così nel linguaggio Gramsci evita accuratamente qualsiasi riferimento politico immediato. Gli esponenti comunisti di primo piano nel movimento internazionale, da Lenin a Stalin, passando per Trozky, Bucharin non sono mai nominati con il loro nome, ma con parti del nome russo travisate e italianizzate. Illici è Lenin ad esempio, Giuseppe Bessarione, Stalin ecc…Anche Marx è per lo più nominato come “il fondatore della filosofia della praxis”, nome con il quale Gramsci indica il marxismo, seguendo qui la denominazione propria del “dibattito filosofico” italiano. Una sorta di autocensura preventiva di Gramsci che tuttavia non snatura minimamente il senso delle sue riflessioni, ma rende più difficile ad un occhio disattento comprenderne la portata.

 In un certo senso Gramsci si prende un po’ gioco dei fascisti. Lo fa perché si rende conto che nel modo di pensare comune, la differenziazione artificiale tra filosofia e prassi, tra la teoria astratta e la sua valenza immediatamente pratica, consente un margine di manovra nella sua scrittura. Scrivendo apparentemente di massimi sistemi, che appaiono senza implicazione pratica immediata, agli occhi di una censura tanto rigida quanto poco attenta, camuffando i nomi più in vista, Gramsci riesce a far passare il messaggio. Tuttavia questo processo ha fatto sì che in molti abbiano cercato di mettere in contrapposizione il Gramsci dei Quaderni dal Carcere, con quello dell’Ordine Nuovo, in un’infinità di diverse possibili teorie. Si tratta di un’operazione maldestra, che non rende giustizia a Gramsci e che fa finta di non tenere in conto questa condizione.

La frammentarietà delle riflessioni nei Quaderni, la loro disorganicità in quanto concepiti come appunti e in diversi casi rimaneggiati successivamente dallo stesso Gramsci, la mancanza di canali stabili con il mondo esterno, la presenza della censura fascista e l’atteggiamento auto censorio di Gramsci, rendono indispensabile per cogliere pienamente il significato di ciò che Gramsci scrive mettere in relazione la scrittura dei Quaderni con le precedenti opere scritte in libertà. Si percepirà chiaramente allora che la differenza delle presunte fasi, altro non è che lo sviluppo storico del contesto mutato intorno a Gramsci.

Anche il disperato tentativo di ricercare contraddizioni letterarie tra parole utilizzate, costruendo su di esse grandi teoremi, è operazione evidentemente artificiosa. Gramsci scrive appunti, molti dei quali con tutta probabilità sarebbero stati, per sua stessa ammissione, riveduti e corretti. Non è nell’apparente contraddizione che va ricercata l’autenticità del pensiero di Gramsci, ma nella sua contestualizzazione. La grandezza di Gramsci sta, a parere di chi scrive, proprio nel fatto che egli colga così profondamente il significato della fase storica che attraversa, pur essendone tagliato fuori dal punto di vista effettivo negli ultimi anni della vita. La sua enorme attualità sta nel ragionare a partire da una sconfitta storica, quella del biennio rosso in Italia, della sconfitta della rivoluzione proletaria sul continente europeo, che con l’avanzata della reazione fascista, dimostra come la borghesia sia capace di resistere alla pressione crescente del proletariato, a costo di restringere quelle stesse libertà di cui originariamente era stata portatrice, al punto di annullarle nella dittatura.  Gramsci coglie questa lezione della storia, e la sua riflessione si spinge nella direzione della costruzione e del rafforzamento del ruolo soggettivo delle forze rivoluzionarie, rompendo nettamente con ogni determinismo ed evoluzionismo presente nella lettura errata e superficiale del marxismo della seconda internazionale, che tanti danni aveva provocato nel movimento operaio.

In questo Gramsci è in piena sintonia con Lenin; la sua differenza è il contesto nel quale e per il quale concepisce la sua riflessione, nella differenza tra oriente ed occidente. Nella sua riflessione non viene mai meno la centralità della questione della presa del potere attraverso la rivoluzione che Gramsci concepisce come passaggio necessario, al contrario di quanti oggi cerchino di falsare il suo pensiero spacciandolo per un riformista ante litteram. Gramsci si interroga sul modo, sul come raggiungere quell’obiettivo nel diverso contesto dell’Europa occidentale, dove la rivoluzione non c’è stata ed il movimento di classe è sotto il tallone di ferro del fascismo.

Per leggere Gramsci dunque non si può fare a meno di ricordare il mondo in cui Gramsci vive, storicizzando la sua opera. In particolare tre elementi non possono essere dimenticati, ed andranno compiutamente sviluppati in un percorso di formazione, parallelamente allo studio dell’opera di Gramsci. In primo luogo il contesto internazionale, il dibattito politico a cavallo tra la fine della seconda internazionale e l’inizio della terza, il contributo di Lenin e della Rivoluzione d’Ottobre, il fallimento della rivoluzione sul continente europeo, il dibattito in seno al PCUS negli anni successivi alla morte di Lenin. In secondo luogo il contesto politico italiano, dove si riflette e si sviluppa parte della storia internazionale: dal biennio rosso e dall’esperienza dei consigli di fabbrica a Torino, alla lotta interna al PSI e la nascita del Partito Comunista, alla vittoria del fascismo. Un terzo fondamentale elemento, la presenza in Italia di una cultura intellettuale dominante di impronta neoidealista, contro cui Gramsci, fedele alla sua concezione del ruolo dell’intellettuale, dedica molte delle sue energie, convinto della necessità di demolire quell’ideologia che, lungi dal restare mera astrazione, diviene, nella pratica, funzionale alla creazione e alla unificazione di un blocco sociale conservatore ed antirivoluzionario. Questi tre elementi sono indispensabili per cogliere appieno il senso della riflessione gramsciana, e allo stesso tempo ad inserirla nei parametri storici di riferimento.

Questa operazione serve a fugare ogni dubbio rispetto alla figura di Gramsci, eliminando ogni tentativo di “tirare per la giacca” Gramsci. È evidente infatti che Gramsci rappresenta una figura troppo importante per essere ignorata e liquidata. Questo – è bene ricordarlo – è anche grazie all’indubbia opera svolta dal PCI, da Togliatti in primo luogo, e dai dirigenti sovietici, che vollero la pubblicazione e la diffusione degli scritti gramsciani. Ma già il PCI progressivamente andò a forzare alcuni aspetti della lettura di Gramsci, in relazione al nuovo corso del partito, e alla linea delle vie nazionali al socialismo. Il pensiero di Gramsci da originale (nel senso innanzitutto di originario) contributo sulle modalità della presa del potere in occidente, venne progressivamente semplificato nell’accettazione della via parlamentare come terreno della lotta politica, evidentemente snaturandolo, fino all’assurdo di porlo alla base del compromesso storico. Questa visione di Gramsci, che con la fine dell’URSS e del PCI sarà accompagnata a quella del Gramsci “dissidente”, consente ancora oggi ad una figura di Gramsci, svuotata del suo pensiero reale,  di godere di una venerazione quasi religiosa negli ambienti di una certa sinistra, che tuttavia non si ritroverebbero più minimamente nelle considerazioni da lui espresse. È ora che la venerazione religiosa lasci il posto ad una nuova analisi critica, che si divida il campo chiaramente tra coloro che possono dirsi eredi di quel pensiero, e quanti lo hanno ripetutamente tradito, rendendo onore alla figura di Gramsci e all’immenso complesso teorico che ci ha lasciato in eredità.

Oltre questa sinistra che oggi spazia fino al campo del Partito Democratico, anche nel mondo accademico e filosofico Gramsci non è passato senza lasciare traccia, e ancora oggi le sue teorie sono fonte di studio in molte università del mondo. Da una parte, come tutte le grandi figure, Gramsci è studiato in modo da disinnescare la componente rivoluzionaria intrinseca nel suo pensiero; una sorta di vaccino, per cui il virus va iniettato a piccole dosi e senza che possa nuocere. Fioriscono gli studi sul Gramsci idealista ed antimarxista, su Gramsci continuatore di Croce e Gentile, più che di Marx e Lenin, e così via. Tutte queste dissertazioni accademiche non colgono – e non possono cogliere – la complessità del pensiero gramsciano, ignorano e astraggono i suoi scritti dal contesto storico in cui Gramsci vive e pensa, e per il quale pensa. Fieri inseguitori dell’albero questi filosofi perdono la foresta, ma non potrebbe essere altrimenti.

In altri casi lo studio di Gramsci, al di fuori dell’Italia, ha dato frutti molto importanti e fecondi. Il pensiero di Gramsci è tra i più studiati in America Latina. Hugo Chàvez dichiarò in diverse occasioni che la lettura di Gramsci è stata fondamentale nel suo avvicinamento al marxismo. In tutto quel continente, in questi anni in vero fermento politico, la lezione di Gramsci non è passata invano. Il paradosso vero è che questa lezione è stata da troppo tempo ignorata nell’occidente europeo ed in particolare in Italia, dove ha avuto origine.

Si tratta allora di porsi una domanda cruciale: il pensiero di Gramsci è ancora attuale oggi, mentre i maggiori attori ai quali Gramsci si riferisce non esistono più? L’Unione Sovietica ha terminato la sua esperienza storica, il movimento comunista a livello internazionale vive ancora una fase di crisi profonda, sebbene qualcosa si muova all’orizzonte. Il Partito Comunista di Gramsci non c’è più, la stessa prospettiva del socialismo non sembra all’ordine del giorno. Allora perché studiare Gramsci?

La crisi del sistema capitalistico ha dimostrato, oltre i trionfalismi da fine della storia iniziati nel 1989, che le contraddizioni di questo sistema sono tutte ancora e presenti; che la divisione del mondo tra sfruttatori e sfruttati, nell’apparenza della mutazione delle forme, è nella sostanza ancora la caratteristica fondamentale di questo modello di sistema. La globalizzazione ha proiettato su scala mondiale queste contraddizioni, ponendole su un piano superiore, che lungi dall’aver ribaltato le analisi di Marx, Engels e Lenin ne ha solamente amplificato portata e attualità. La sinistra che ha abbandonato il marxismo, si trova disarmata ideologicamente di fronte alla realtà: gli avvenimenti scorrono senza che ci sia la capacità di influenzarli; l’illusione riformista si è da tempo tramutata nella capitolazione al nemico, nell’accettazione del campo dell’avversario di classe, delle sue teorie, di cui si finisce, consapevoli o meno, per diventare meri esecutori materiali. Di fronte all’acuirsi della crisi, alla presenza delle condizioni oggettive per uno sviluppo differente, si tratta ora di costruire quella capacità soggettiva in grado di forzare questo passaggio storico, di compiere materialmente l’atto di rottura tra il presente ed un futuro che è tutto da conquistare.

È in questa direzione che le idee di Gramsci costituiscono uno spunto prezioso ed irrinunciabile, ed è compito dei comunisti, in primo luogo quelli italiani, riprendere in mano la sua lezione, studiarla, applicarla nel lavoro politico. Questo non è un compito da accademici, ma da comunisti, perché – piaccia o no – solo chi non concepisce divisioni artificiose, chi ritiene che tra teoria e prassi esista un rapporto dialettico inscindibile, chi guarda allo studio e all’analisi degli avvenimenti nella direzione della costruzione di una strategia politica volta al cambiamento dell’esistente, solo chi ragiona in questo modo e per questo scopo, può comprendere a fondo Gramsci. Siamo convinti che oggi sia necessario alzare il livello della lotta politica e per far questo costruire un’elaborazione teorica valida, formare nuovi quadri e dirigenti comunisti in grado di trasformarla in azione. Non può esistere movimento rivoluzionario senza teoria rivoluzionaria, e allo stesso tempo, la teoria diventa realmente forza materiale quando conquista le masse.

Compreso tutto questo, della svuotata figura del Gramsci appeso alle pareti di sedi che hanno cambiato più volte nome e padrone, dell’icona religiosamente venerata in senso metafisico e acritico da stanchi iscritti, non resterà nulla. Tornerà invece un Gramsci “partigiano”, portatore di un’idea rivoluzionaria di cambiamento e di profonda rottura con l’esistente. La sua attualità allora balzerà agli occhi anche a chi si rifiuta di vedere.

*segretario nazionale del Fronte della Gioventù Comunista

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