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Il numero dei giovani Neet cresce vertiginosamente in Europa

Di Alba Smeriglio

Dallo scoccare dell’ennesima crisi ciclica del capitalismo, accade spesso di sentir parlare dei giovani cosiddetti Neet (dall’acronimo inglese: Not in Employment, Education or Training – ossia disoccupati e non iscritti ad alcun corso di istruzione o formazione). Questo termine – coniato nel Regno Unito sul volgere degli anni ’90 dalla Social Exclusion Unit (un’equivalente della nostra Commissione d’Indagine sull’Esclusione Sociale) – originariamente identificava persone d’età compresa tra i 16 e i 18 anni che non lavoravano e non frequentavano alcun corso di qualifica. Esso è stato poi utilizzato anche in altri contesti nazionali e la fascia d’età di riferimento allargata -sino ad includere, in taluni casi i 34enni (ad es. in Italia) – a fronte della rapida diffusione e persistenza del fenomeno di precarizzazione e immiserimento, adesso divenuto realtà per una sempre più larga porzione della popolazione. A farne maggiormente le spese sono ancora i figli della classe operaia, le donne, i lavoratori precari e in generale, le fasce più deboli della popolazione, il cui rischio di entrare a far parte del gruppo Neet aumenta esponenzialmente.

Questo è confermato dalle rilevazioni dell’agenzia europea Eurofound che mostra come, nonostante al suo interno il gruppo Neet sia composito ed eterogeneo, vi siano delle caratteristiche che accomunano chi ne fa parte: contesto familiare di partenza (reddito familiare basso, genitori disoccupati o precari); condizioni di disabilità; background di immigrazione; basso livello di istruzione; vivere in zone remote o rurali. Dal canto loro le “autorità” europee e i politicanti borghesi di turno -come quelli nostrani-  non hanno esitato a colpevolizzare questi giovani, espulsi dal mondo del lavoro e dal sistema dell’istruzione, etichettandoli come “choosy(schizzinosi), “bamboccioni”, “poco occupabili” e persino “sfigati”. Adesso, però – anche a fronte dei dati pubblicati da pressoché tutte le fonti d’osservazione -, all’interno dei palazzi di potere sembra andare molto più di moda gridare all’allarme rosso e fare a gara al chi propina più ricette inservibili e antipopolari (maggiore “flessibilità” del lavoro, più contratti a termine, maggiore libertà di licenziamento). L’obiettivo (ovviamente non dichiarato) è quello di alimentare la falsa speranza che tali misure possano, in qualche modo, porre fine al sempre crescente numero di Neet e arginare i rischi di emarginazione e di esclusione sociale ai quali essi vanno incontro.

Ma procediamo per gradi: qual è la situazione occupazionale dei giovani in Europa? Quanti giovani appartengono al gruppo Neet e perché? Per capirne di più partiremo dall’indagine condotta da Eurofound e dalle ultime rilevazioni Eurostat (2012) e Istat (2013) che si soffermano sulle specificità del caso italiano.

Il contesto: la disoccupazione giovanile dilaga in Europa

La crisi economica e finanziaria generata dal capitalismo ha contribuito a deteriorare sempre più la situazione lavorativa dei giovani in tutti i Paesi europei, determinando un vertiginoso aumento dei tassi di disoccupazione, un tracollo dei livelli occupazionali e la proliferazione dei contratti di lavoro cosiddetti “atipici” (ossia precari). Il tasso d’occupazione giovanile è sceso nel 2012 ai livelli più bassi mai registrati nella storia dell’Ue: dei 60 milioni di giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni e dei 94 milioni nella fascia 15-29 anni, solo il 33.6% risulta essere occupato (19.5 milioni di giovani), ossia ben 3.4 milioni in meno rispetto al 2007.

Come se ciò non bastasse, si è parallelamente assistito ad un notevole e progressivo peggioramento nella qualità del lavoro giovanile in tutti i Paesi Ue, con una sempre maggiore incidenza delle occupazioni cosiddette “atipiche” (contratti a progetto, apprendistato, part-time involontario, lavoro a chiamata: ossia precariato): nel 2012 la percentuale di 15-24enni con tale tipo di contratto era quattro volte più alta rispetto a quella registrata nella fascia d’età 25-64. In Italia essa è cresciuta tra il 2007 e il 2012 di 8 punti percentuali per i giovani in possesso di un diploma di maturità e del 4.5% per i laureati; mentre lo scorso anno un contratto su due aveva durata inferiore ai 12 mesi. Drammatico anche il tasso di disoccupazione, passato dal 15.5% del 2007 al 22.8% del 2012; mentre quasi la metà dei nuovi disoccupati ha meno di 35 anni.

I livelli di disoccupazione giovanile più alti si registrano nei Paesi del Sud Europa e, in particolare, in Spagna e in Grecia, con valori compresi fra il 50% ed il 60%, seguite a ruota dall’Italia dove i disoccupati sotto i 25 anni sono il 41.6%. Altri Paesi che, in periodo di pre-crisi, presentavano tassi di disoccupazione giovanile relativamente più contenuti (10% circa), nel 2012 hanno visto triplicare (come nel caso di Irlanda e Lituania) o più che duplicare (Cipro, Estonia, Lettonia e Slovenia) tale percentuale. Contestualmente aumenta anche la disoccupazione di lungo termine, che vede un giovane disoccupato su tre (31,9%) senza lavoro da più di un anno, con un incremento di ben 9.9 punti percentuali rispetto ai valori registrati a inizio crisi.

E’ all’interno di questo terribile scenario che va contestualizzato l’aumento dei giovani che non sono né occupati né impegnati in attività formative, a fronte di un continuo assottigliamento delle possibilità di trovare impiego e di una transizione dallo studio (oggi ridotto fondamentalmente ad anticamera di disoccupazione e precarietà) al mondo del lavoro divenuta sempre più improbabile.

Il tasso Neet aumenta vertiginosamente in tutti i Paesi europei

 Il quadro che emerge dall’analisi dei dati Eurofound, Eurostat e Istat, è quello di una gioventù costretta a pagare il pesantissimo scotto della recessione che attanaglia l’economia europea e che si vede, ogni giorno di più, privata del proprio futuro e obbligata a vivere in condizioni economiche e sociali disumane e intollerabili.

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Fonte: Eurostat (2013)

I dati di pressoché tutte le fonti d’osservazione nazionali ed europee, infatti, convergono nello stabilire che, tra il 2007 e il 2012, la percentuale dei giovani che non lavora e non segue alcun corso di qualifica è aumentata in maniera vertiginosa; portando un numero sempre crescente di persone ad un passo dall’esclusione sociale e dalla disoccupazione di lungo periodo.

Secondo le rilevazioni, la quota dei Neet in Europa è passata dal 13,2% del 2007 al 15,9% del 2012, percentuale che corrisponde a oltre 14 milioni di giovani. Nel 2012 i tassi più elevati di Neet sotto i 25 anni si sono registrati in Bulgaria (21.5), Italia (21.1) e Grecia (20.3), aumentati, rispettivamente, di 2.4, 4.9 e 8.8 punti percentuali. Le cifre non migliorano se si considerano, invece, i giovani nella fascia d’età 15-29 anni: il triste podio va ancora una volta a Grecia (27,1%), Bulgaria (24,7%) e Italia (23,9%) che, dal 2007, hanno visto tale percentuale salire, rispettivamente, del 11.6%, 4,4% e del 5%. Anche l’Irlanda, con una quota di Neet relativamente contenuta rispetto alla media europea in periodo di pre-crisi, ha visto tale percentuale aumentare dell’8% nella fascia 15-24 anni e del 9.4% tra i 15-29enni. Solo in un caso, quello tedesco, il tasso Neet non solo non è aumentato ma si è addirittura ridotto rispetto al periodo pre-crisi (-1,8% tra gli under 25 e -2,3% tra 15-29enni), anche a fronte della diffusa formula, precaria e sottopagata, dell’apprendistato quale contratto d’ingresso al lavoro per i giovani; essa consente alle aziende tedesche di reclutare forza-lavoro giovanile a meno salario e meno diritti, in cambio di formazione professionale.

In termini di genere si riscontrano forti asimmetrie tra i Paesi anglosassoni, scandinavi e repubbliche baltiche da un lato e Paesi del Sud Europa, dall’altro. Nei primi, infatti, la percentuale dei giovani uomini disoccupati è maggiore rispetto a quella femminile; mentre nell’area del mediterraneo le giovani donne appartenenti al gruppo Neet sono, in media, di più.

Sebbene con l’insorgere della crisi la disoccupazione maschile in Europa sia cresciuta in misura maggiore rispetto a quella femminile -anche a fronte della maggiore occupazione della componente maschile nei settori edile e manifatturiero, gravemente colpiti dalla recessione- la percentuale delle giovani donne Neet rimane in media più alta rispetto a quella maschile (rispettivamente al 13,4% e al 12,8% nella fascia d’età 15-24 ed al 17,8% e al13,9% tra i 15-29enni).

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Fonte: Eurostat (2013)

I dati Eurostat mostrano anche come, con l’acuirsi della crisi, l’aver conseguito una laurea funga sempre meno da scudo contro la disoccupazione e, quindi, dalla probabilità di entrare a far parte del gruppo Neet. Infatti, dal 2007 al 2012 il numero di giovani laureati disoccupati è passato dall’11,4% al 17,9% (+6,5) per i giovani tra i 15 e i 24 anni e dal 7,6% al 12,1% (+4,5) per i 15-29enni. Il tasso più alto di giovani disoccupati in possesso di una qualifica d’istruzione terziaria si registra in Grecia (52,3%), Spagna (39,9%), Portogallo (39,1%) e Italia (33,3%).

A livello comunitario rimane, però, nettamente superiore il tasso di giovani disoccupati con un basso livello d’istruzione che, dal 2007, ha registrato un incremento di ben 10,3 punti percentuali, attestandosi al 30,4%.

Si sono, infine, ridotte le probabilità per i giovani di transitare verso un’occupazione dopo aver concluso un percorso formativo: tale percentuale nel 2012 ha subito un calo di ben 7 punti percentuali rispetto ai livelli pre-crisi, attestandosi al 32%. Occorre altresì notare che, in molti Paesi europei, il primo impiego per i giovani è di norma un lavoro precario: in Spagna, l’80% dei giovani occupati, un anno dopo aver finito gli studi, aveva un contratto a termine, mentre in Portogallo e in Italia la quota supera il 50%.

I Neet in Italia

I dati italiani presentano un quadro nettamente peggiore rispetto a quello medio europeo Infatti, secondo le rilevazioni Istat (terzo trimestre 2013), le persone sotto i 35 anni che non studiano e non lavorano sono oltre 3,7 milioni (ossia il 28,5% della popolazione in questa fascia d’età). Rispetto al terzo trimestre del 2012, si è registrato un aumento di oltre 300.000 unità, passando da 3,43 milioni (pari al 25,8%) a 3,75 milioni (28,5%). La situazione peggiora notevolmente nel meridione, dove risiede oltre la metà dei Neet (2.010.000 su 3.755.000), con una percentuale che tocca il 40% del totale.

Per quanto riguarda il livello di istruzione, dei 3,766 milioni di Neet in questa fascia d’età, 1,8 milioni ha conseguito il diploma di maturità, 1,5 milioni presenta un basso livello di scolarità, mentre circa 437.000 possiede un titolo di istruzione terziaria (laurea/post laurea). Infine, è importante rilevare la maggiore incidenza della componente femminile (2.112.000) rispetto a quella maschile (1.643.000) all’interno del gruppo. Per quanto riguarda i 15-29enni, coloro che non studiano e non lavorano sono 2,564 milioni (contro i 2,344 del terzo trimestre 2012). Negli ultimi anni si è registrata una crescita dei Neet più marcata al Centro-Nord, sebbene la situazione più critica rimanga nel Mezzogiorno dove un giovane su tre non studia e non lavora (contro uno su sei nel Nord e uno su cinque nell’Italia centrale). In particolare, il tasso più elevato si registra in Sicilia (34,1%), seguita da Campania (32,9%) e Calabria (30,1%).

Elevato, lungo tutto il territorio nazionale, il numero di giovani “inattivi”: solo uno su tre ricerca impiego tramite canali formali (36% nel Sud Italia e 46% nel Centro-Nord). Questo dato è stato spesso letto in termini di “scoraggiamento”: a causa delle scarse opportunità lavorative, i giovani ridurrebbero l’impegno nella ricerca ma rimarrebbero comunque interessati a entrare nel mondo del lavoro. In realtà, come mostrano chiaramente le rilevazioni Isfol (2011), i giovani compresi nella fascia d’età 18-29 anni rappresentano il gruppo che, in percentuale, ha fatto maggiormente ricorso ai Centri per l’impiego (CPI) ma non vi ha trovato i servizi che si aspettava: solo il 2,7% ha trovato lavoro tramite il CPI, il 5,7% tramite agenzie di lavoro, il 23,8% tramite auto-candidatura, a fronte del 38,1% dei casi in cui è stato decisivo l’intervento di amici, parenti o conoscenti. Da questa prospettiva appare chiaro come l’assoluta inadeguatezza di tutti i canali di ricerca d’impiego formali, spinga i giovani a cercare soluzioni alternative; questo non significa necessariamente, però, che essi non siano alla ricerca attiva di lavoro o che non rappresentino “forze di lavoro potenziali”.

Per quanto concerne il livello di istruzione, il tasso di occupazione dei diplomati e dei laureati nella fascia d’età 20-34 (non più in istruzione/formazione) è calato di ben 8 punti percentuali dal 2007, attestandosi al 57,6%: quasi 20 punti percentuali in meno rispetto al valore medio Ue.  Quasi la metà dei Neet non arriva al diploma di scuola media superiore (si registrano titoli di studi bassi nel 44,6% dei casi), mentre i diplomati rappresentano il 45,3% dei Neet e sono la categoria che è cresciuta di più (quasi il 30%) dal 2008. I laureati, pur essendo di poco superiori al 10% dei Neet, sono aumentati di oltre il 20%.

Il tasso di dispersione scolastica – ossia la prematura uscita degli studenti dal sistema scolastico- è particolarmente elevato nel nostro Paese. Infatti, i giovani nella fascia d’età 18-24 anni, con titolo di studio non più alto dell’istruzione secondaria inferiore rappresentano il 17,6%. Il divario con il dato medio europeo è più accentuato per la componente maschile (20,5% contro il 14,5%), in confronto a quella femminile (14% contro l’11%). Per quanto riguarda la situazione dei giovani stranieri, l’incidenza dei Neet è pari al 33,0%, con una forte differenza di genere (21,4% uomini e 42,6% donne). Tra le giovani migranti che appartengono a questo gruppo, il 58% è genitore e si tratta, soprattutto, di ragazze marocchine e albanesi. Mentre i migranti con un impiego, ricevono una retribuzione mensile di circa un quarto inferiore rispetto alla media dei coetanei italiani.

 La crescita dell’esercito industriale di riserva è funzionale al sistema capitalistico

Al contrario di quanto affermino gli economisti di regime e i politici di destra e di “sinistra”, il “fenomeno” dei Neet non è nuovo e ascrivibile unicamente all’attuale “congiuntura economica sfavorevole”. Così come è assolutamente insufficiente e secondario soffermarsi sui costi che la mancata partecipazione dei Neet al mondo del lavoro apporterebbe alle economie nazionali e Ue. La drammatica condizione in cui versa la gioventù in Europa ha, invece, un colpevole ben preciso e identificabile: il sistema capitalistico e le contraddizioni insite allo stesso. Esso, con la sua illimitata capacità di produrre merci, si scontra con la limitata capacità delle masse popolari di acquistarle, generando inevitabili crisi cicliche di sovrapproduzione, paralisi del ciclo economico, espulsione di forza-lavoro dal ciclo produttivo, disoccupazione dilagante e povertà di massa. In questo contesto sono soprattutto i giovani di estrazione popolare a farne le spese; mentre le donne vedono arretrare le conquiste lavorative e sociali duramente conquistate in anni di lotte.

Nella fattispecie, la creazione di un numero sempre più imponente di giovani esclusi dal mondo del lavoro e dall’istruzione (quello che Marx chiamava “esercito industriale di riserva”) è funzionale a questo sistema e ai capitalisti italiani, come a quelli europei, che possono così spolparli fino all’osso a bassissimo costo.

Solo con il socialismo e l’affermarsi di un’economia pianificata sulla base dei bisogni degli uomini -e non secondo la logica del massimo profitto, motore della produzione capitalistica-, sarà possibile distruggere tutte le iniquità, sofferenze e oppressioni che affliggono i giovani e le masse popolari. 

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