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La distribuzione del reddito e l’Italia

* di Emanuele Vecchi

Con la crisi economica, il tema della distribuzione del reddito è tornato al centro delle questioni politiche più dibattute, sia a livello nazionale sia internazionale. La maggior parte delle ricerche in materia, elaborate attraverso delle indagini sui bilanci delle famiglie (IBF) o sulle condizioni economiche delle famiglie (EU-SILC) non permettono un’adeguata rappresentazione degli squilibri a livello territoriale concentrandosi esclusivamente sul cosiddetto livello longitudinale. Ciò che questo articolo si propone di affrontare, invece, è condurre un’analisi spaziale della disuguaglianza in Italia, più esattamente a livello provinciale. Questa metodologia ha due pregi, in particolare. Innanzitutto il dato medio nazionale può rivelarsi “errato”, nel senso che può nascondere realtà molto diverse tra loro. Ciò è ancor più vero nel Belpaese dove per molti indicatori economici i divari territoriali sono molto più ampi di quelli (pur ampi) che si registrano nel confronto con altri paesi. In secondo luogo il rapporto tra variabili dipendenti e indipendenti (per esempio la struttura produttiva e la coesione sociale) ha una natura estrinsecamente locale.

Per cominciare la nostra esposizione, introduciamo una variabile economica che ci sarà molto utile per comprendere l’oggetto di studio, il coefficiente di Gini. Spesso usato come indice di concentrazione per misurare la disuguaglianza nella distribuzione del reddito, è un numero compreso da 0 (pura equidistribuzione) a 1 (massima concentrazione). Per questioni espositive, tale misura sarà quantificata in percentuali.

Nel 2011, a livello nazionale, l’indice di Gini era pari al 40% e indicava elevate differenze territoriali: nel Mezzogiorno tale coefficiente era tre punti percentuali più alto rispetto al Nord e al Centro: in particolare nelle provincie di Foggia, Caltanissetta e Ragusa toccava il 44% contro il 35% delle provincie di Lodi, Biella e Vercelli. Queste differenze marcate sono imputabili alla maggior dispersione di reddito nelle classi medio – basse della popolazione e tale divario appare ancor più evidente se si considera l’elevato tasso di non occupazione, più cospicuo nelle regioni meridionali. Se prendiamo in esame la distribuzione delle famiglie per decili di reddito (migliaia di euro) possiamo vedere come tali dati confermino la diversa concentrazione della povertà. Il 18,7% delle famiglie italiane con redditi fino a 11,7 decili risiede nel Sud e nelle Isole (Nord e Centro rispettivamente 5,8% e 6,0%) mentre solo il 3,2% ha un livello di reddito oltre il 58,6 decili (contro il 12,7 % del Nord e il 14,2% del Centro).  In particolare Calabria, Puglia, Campania e Sicilia sono le regioni maggiormente soggette a una distribuzione del reddito diseguale. I rapporti citati misurano solo la disuguaglianza tra contribuenti,in altre parole tra occupati. Se prendiamo in considerazione anche quella parte della popolazione disoccupata o, più in generale, i tassi di opportunità lavorative, l’indice di Gini aumenta fino al 48,8% e il divario tra Nord e Sud si fa più consistente (45,5% e 56,0%). Se dal 2000 al 2007 si era verificato una diminuzione dell’indice di Gini, con l avvento della crisi tale tendenza si è invertita. Tra il 2007 e il 2011 c’è stato un aumento pari allo 0,9% che arriva al 2,5% se si considerano anche i non occupati mentre nello stesso periodo la quota detenuta dal 10% e dall’1% della popolazione più ricca non ha subito oscillazioni negative. Questo suggerisce come la crisi abbia riguardato soprattutto la possibilità di lavorare e abbia colpito prevalentemente la fascia medio – bassa della popolazione. A livello internazionale, l’Italia è seconda solo al Regno Unito per disparità del reddito e comunque detiene livelli superiori alla media Ocse. A livello sociale, sempre più spesso le coppie tendono a formarsi tra percettori dello stesso reddito e sempre di più la ricchezza tende a spostarsi nella popolazione anziana, a scapito di quella più giovane. Nel 2013, sei famiglie italiane su dieci avevano un reddito inferiore alla media. L’Istat tutti gli anni conduce un’indagine campionaria sui consumi delle famiglie italiane per calcolare la linea di povertà, in altre parole il livello di reddito considerato sufficiente per il soddisfacimento dei bisogni essenziali. Ancora una volta il Sud e le Isole detengono un triste primato. Oltre il 20% dei nuclei familiari è povero contro il 10% del Nord e del Centro. Ben una famiglia su quattro e con a capo una persona tra i 35 e i 44 anni (24,9% del totale) nel Mezzogiorno è in condizioni di povertà relativa contro il 6,65 del centro-nord. Se andiamo ad analizzare nello specifico la linea di povertà calcolata rispetto al reddito mediano, la situazione è ancora più drammatica. In Italia, le persone che dispongono di un reddito inferiore del 40% a quello mediano e che sono in costante stato di deprivazione sono il 2,6%. La percentuale si alza fino al 5,6% della popolazione se prendiamo in esame un reddito del 50% inferiore a quello mediano, soglia che arriva al 10,3% con un reddito del 60% inferiore a quello mediano. Avendo davanti questi dati, appare chiaro come la povertà in Italia non possa essere risolta con 80 euro in più al mese in busta paga. Anche perché tale provvedimento riguarda una fetta piccolissima, per non dire inesistente, della popolazione italiana con difficoltà economiche, avendo tralasciato gli incapienti fiscalmente e il popolo delle partite iva. La soluzione alla crescente diffusione della povertà e della disuguaglianza di reddito non può non passare per un cambiamento radicale del modo di produzione.

Solo con l’abbattimento del sistema capitalistico, con le sue contraddizioni insanabili, e l’instaurazione del socialismo si porrà fine allo sfruttamento dei tanti e all’arricchimento dei pochi. Per concludere, riportiamo le parole di Gabriel Garcia Marquez, grande amico e compagno, scomparso da pochi giorni: ” Non è ancora troppo tardi per intraprendere la creazione di una nuova e devastante utopia della vita, dove nessuno possa decidere per gli altri addirittura il modo in cui morire, dove davvero sia certo l’amore e sia possibile la felicità”.

 

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