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Il FMI e il sindacato dei lavoratori: l’essenza della questione

* di Edoardo Genovese

La rivista economica del Fondo Monetario Internazionale pubblicherà nei prossimi tempi uno studio realizzato dalle economiste Florence Jaumotte e Carolina Osorio Buitron sul rapporto tra la sindacalizzazione e l’ineguaglianza economica. Sulla base di numerosi dati e statistiche, tra le quali il coefficiente di Gini, le due economiste affermano che «l’indebolimento dei sindacati riduce il potere contrattuale dei lavoratori nei confronti dei detentori del capitale»1. Ciò che non viene considerato dalle due economiste è la tipologia di sindacato esistente e il contesto storico analizzato, ossia gli anni compresi tra il 1980 e il 2010, che le fa giungere alla conclusione che «i nostri risultati confermano che il declino della sindacalizzazione è fortemente correlato con la crescita degli introiti dei grandi redditieri»2, che rappresentano il 10% della popolazione mondiale e consentono un controllo maggiore da parte di questi ultimi sulla vita politica dei Paesi.

Che sindacato abbiamo?

Una prima distinzione da fare è la tipologia di sindacato che si prende in esame. Non si possono riunire in un’unica analisi due tipologie di sindacati che concepiscono la lotta per i diritti in maniera antitetica tra loro. Il sindacato concertativo poteva trovare la sua utilità nella lotta per i diritti dei lavoratori solo se aiutato, anche indirettamente, da uno Stato socialista che avesse un ruolo importante nel sistema internazionale. L’esistenza dell’Unione Sovietica e il suo incredibile peso ha fatto sì che la concertazione potesse essere funzionale alla classe lavoratrice dal momento che la classe dominante, per non esasperare le lotte sindacali rischiando di perdere il controllo del potere politico, era disposta a fare concessioni che potevano rivelarsi accettabili, se non buone, per i lavoratori. Questo tuttavia non era e non è stato un merito del sindataco concertativo bensì della potenza dell’URSS, che ha potuto spostare l’ago della bilancia verso i lavoratori in determinate lotte.

Le due economiste non possono asserire che l’aumento della diseguaglianza, che non corrisponde a una diminuzione dell’eguaglianza, sia solo ed esclusivamente correlato alla minore sindacalizzazione. Giacché l’Unione Sovietica non esiste più e non vi è alcun attore internazionale capace di forzare i governi stranieri a fare concessioni per mantenere il loro potere politico, anche un aumento della densità nell’ambito sindacale non cambierebbe di certo la situazione.

La densità sindacale

 Per definire al meglio ciò che intendo per densità sindacale è necessario definire il grado di completezza. Nella sociologia e nelle scienze politiche il grado di completezza è il «rapporto fra membri che fanno effettivamente parte del gruppo [nel nostro caso il sindacato, ndr.] e persone che hanno i requisiti richiesti per l’appartenenza»3, ossia un rapporto percentuale su quante persone che potrebbero far parte di un sindacato (o in generale di un gruppo sociale) ne fanno effettivamente parte. Nel 2010, secondo i dati raccolti dalla Confederazione Sindacati Autonomi Lavoratori (Confsal), gli iscritti al sindacato nel 2010 erano pari a 19.847.947 persone suddivise in questa maniera

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Nel 2010, a fronte si 19.847.947 iscritti ai sindacati, le persone in età lavorativa si attestavano alla cifra di circa 24.574.0004, suddivisi in circa 22.580.000 occupati e 1.994.000 disoccupati, con una disoccupazione pari all’8,1%. Ottenuto il dato degli iscritti al sindacato e il numero di persone in attività lavorativa, possiamo ottenere la densità sindacale che nel 2010 era pari all’80,7%. La sindacalizzazione, ossia l’iscrizione al sindacato, era parecchio elevata in Italia solo 5 anni fa e non è calata drasticamente negli ultimi anni. Secondo gli unici dati disponibili, nel 2013 la CGIL contava 5.712.642 iscritti (ossia un decremento del 0,62%), la CISL contava 4.442.750 iscritti (ossia una diminuzione del 2,24%) mentre la UIL ne aveva 2.216.443 (ossia un decremento del 7,26%)5. Una diminuzione non drastica considerando che le persone in età lavorativa erano circa 25.373.000.

Concertazione o iscritti? Cause del fallimento del sindacato contemporaneo

La perdita di influenza del sindacato nel rapporto tra lavoratore salariato e capitalista non risiede nella diminuzione degli iscritti al sindacato o l’aumento della popolazione in età lavorativa, bensì della perdita di efficacia della concertazione dopo gli anni ’90. Una perdita di efficacia che iniziò con l’abolizione della scala mobile in Italia, ossia l’indicizzazione dei salari in base all’IPC, l’indice dei prezzi al consumo. In base all’aumento dei prezzi, una commissione valutava come e di quanto aumentare il salario in modo tale da non intaccare il potere d’acquisto delle famiglie. Secondo alcuni la “scala mobile” fu una delle cause dell’aumento costante dell’inflazione in Italia che le causò l’uscita momentanea dallo SME. Nel 1990 la Confindustria suggerì al Governo di frenare la “scala mobile” e slittare il rinnovo dei contratti collettivi per i dipendenti pubblici, dopo che Craxi nel 1984 tagliò di 4 punti percentuali la “scala mobile”. Nel 1992 venne definitivamente abolita e si ritiene che questo sia l’anno di nascita del sindacato concertativo, soprattutto dopo la cocente sconfitta del PCI di Berlinguer e della CGIL nel referendum abrogativo successivo alla riforma del Governo Craxi nel 1984.

La concertazione negli ultimi 20 anni è iniziata col piede sbagliato e non ha portato alcun vantaggio alle rivendicazioni della classe lavoratrice, indipendentemente dal numero degli iscritti al sindacato.

L’abolizione recente dell’articolo 18 dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori è esemplificativo del ruolo fallimentare del sindacato concertativo e non della mancanza di numeri che possano spostare l’ago della bilancia nelle lotte sindacali. La manifestazione di sabato 25 ottobre 2014, indetta dalla CGIL insieme alla sua famosa costola della FIOM, ha portato in piazza circa un milione di lavoratori6 ma non ha fermato la volontà del Governo Renzi nei confronti dell’abolizione dell’articolo 18, così come lo sciopero indetto per il 12 dicembre 2014.

Il sindacato concertativo, nonostante i numeri certamente importanti, non è stato in grado di far valere le proprie posizioni proprio per la sua natura non conflittuale. Riprendendo lo studio ispiratore di questa analisi, che sostiene come la causa dell’aumento della ricchezza della minoranza della popolazione è causato dalla minore sindacalizzazione della classe lavoratrice, sbaglia non considerando come intende muoversi il sindacato, quali sono i suoi obiettivi e i suoi metodi di lotta. Arrivati al punto in cui nessuna causa esogena possa fare pressioni sulle politiche governative nazionali, i vari Governi non hanno alcun interesse a sedersi ai tavoli delle trattative e discutere con gli esponenti dei vari sindacati. Esemplificative sono le parole del Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi quando ha sostenuto, proprio a seguito del già citato sciopero del 25 ottobre, che «la cosa veramente surreale è che il Segretario Generale della CGIL dica che in un incontro del Governo coi sindacati si deve trattare»7.

L’aumento della ricchezza e della disuguaglianza sociale non è quindi determinato dalla perdita di potenza numerica da parte dei sindacati, bensì dalla loro natura non realmente rivoluzionaria. Come già sosteneva Lenin, lo spontaneismo tradunionista operaio è per sua natura funzionale alla borghesia8 e l’assenza di un soggetto realmente rivoluzionario che lo guidi, ossia di un Partito comunista, non può che mandare sempre più alla deriva il sindacato e il movimento operaio9.

 



1    F. Jaumotte e C. Osorio Buitron, Power to the people, Finance & Development, March 2015, p. 30

2    Ibidem, p. 31

3    A. Bagnasco, M. Barbagli, A. Cavalli, Corso di sociologia, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 85

4    I.Stat, dati su forze lavoro, www.dati.istat.it

5    CGIL, http://www.cgil.it/CGIL/Tesseramento/; CISL, http://www.cisl.it/gli-iscritti/; UIL, http://www.uil.it/tesseramento_cat.asp

6    Monica Rubino e Michela Scacchioli, La Repubblica, La CGIL, un milione in piazza contro il Jobs Act. Camusso:”Avanti anche con sciopero generale”, http://www.repubblica.it/politica/2014/10/25/news/manifestazione_cgil_articolo_18_roma_camusso_renzi-98964756/, 25 ottobre 2014

7    Il Fatto Quotidiano, Legge di stabilità, Renzi:”Non tratto coi sindacati”. E a M5s:”Spero in incontro”, http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/27/stabilita-renzi-governo-non-tratta-i-sindacati-leggi-si-fanno-in-parlamento/1174878/, 27 ottobre 2014

8    «[…] il movimento operaio spontaneo è il tradunionismo […] e il tradunionismo è l’asservimento ideologico degli operai alla borghesia», V. I. Lenin, Che fare?, Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 74

9    V. I. Lenin, Che fare?, Roma, Editori Riuniti, 1972, pp. 66-88

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