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La Supercoppa italiana e il calcio del capitale.

*di Mattia Greco

Mentre in Italia il parlamento autorizza lo stanziamento di 20 miliardi di euro per salvare le banche, in Qatar si gioca la Supercoppa Italiana. Non è la prima volta che questa coppa si disputa all’estero. Negli ultimi sette anni, ben cinque volte le squadre italiane si sono sfidate in Cina e come in questa edizione in Qatar. Verrebbe subito da chiedersi perché questa coppa venga disputata all’estero, rendendola di fatto inaccessibile ai tifosi.

La risposta è semplice: la Lega Calcio sta cercando da anni di promuovere il campionato italiano per estenderne la diffusione. La serie A ha un ricavo dai diritti TV, provenienti da tutto il mondo, che ammonta a ben 924,3 milioni di euro. Il progetto è quello di ampliare ancora di più questi ricavi sponsorizzando il calcio italiano in giro per il mondo, sottraendo ad altri campionati esteri aree particolarmente importanti da cui potenzialmente potrebbero provenire maggiori entrate. Conquistare una fetta sempre più corposa di spettatori che non si limiti a sottoscrivere un abbonamento Pay-TV per seguire la propria squadra, ma che si trasformino in veri e propri clienti che acquistano qualsiasi prodotto di merchandising generando introiti elevatissimi. Un esempio è la Cina che ha ospitato ben quattro gare della Supercoppa Italiana negli ultimi anni, e dove la Lega sta investendo maggiormente.

Non stupiscono quindi le parole dell’AD del Milan Adriano Galliani che in un’intervista a Doha ha affermato: “Dobbiamo portare l’Italia in giro per il mondo, la visibilità conta molto. Io sarei anche per giocare qualche partita di campionato all’estero”. Non solo la coppa quindi, ma anche le partite di campionato per attrarre nuovi investimenti. Tutto questo mentre gli stadi si svuotano sempre di più a causa del rincaro dei biglietti e delle leggi speciali che di fatto escludono i proletari dagli stadi. Quello che è ritenuto lo sport preferito dagli italiani viene inghiottito dalle logiche del mercato e perde man mano tutta la partecipazione popolare che l’aveva unito alle masse di questo paese.

Particolare è anche la vicenda del derby calabrese tra Cosenza e Catanzaro che per la prima volta è stato trasmesso in diretta Facebook sulla pagina della Lega Pro (la terza divisione italiana). Una partita che era stata resa già ampiamente difficile da seguire perché il calcio d’inizio era nel pomeriggio del Giovedì rendendo quasi impossibile la presenza allo stadio dei lavoratori, cioè di quella parte della tifoseria che segue la squadra ogni settimana e riempie le tribune. Ancora una volta è possibile constatare quali sono i reali interessi di queste organizzazioni che tendono a vendere un marchio, sponsorizzandolo per ricavarne sempre maggiori profitti ed escludendo sempre più la partecipazione popolare.

Casi analoghi a questo si verificano in tutta Italia; le proteste dei tifosi non hanno nessun risalto e non cambiano in nessun modo quelle che sono le direttive imposte dalle varie leghe. Lo scenario è quello di uno sport sempre più lontano dal popolo e dalla classe lavoratrice che un tempo si recava allo stadio perché quest’ultimo era un luogo che riusciva ad aggregare le masse attraverso il tifo. Vengono in mente gli operai che riempivano le gradinate a Torino, a Livorno, a Terni e nel resto d’Italia, quando il calcio era ancora, almeno in parte, uno sport del popolo. Una caratteristica che oggi è quasi del tutto assente ma si tenta di ricostruire, in direzione ostinata e contraria rispetto alle logiche del mercato in cui sono sprofondate anche le passioni di milioni e milioni di tifosi.

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