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No, il PD non ha cancellato i Decreti Sicurezza di Salvini

di Alessandro Fiorucci

Rullino i tamburi, squillino le trombe… i decreti Salvini non ci sono più! Nella notte del 5 ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato terzo decreto sicurezza in due anni. Il Partito Democratico festeggia, annunciando la cancellazione dei “decreti propaganda” attraverso comunicati trionfali. Proprio la modifica delle norme sull’immigrazione volute da Salvini era una delle promesse del PD agli elettori, il prezzo da pagare per sostituire la Lega al governo con i Cinque Stelle. Ma cosa è cambiato davvero?

L’idea di modificare i decreti sicurezza circola da tempo, tra attese e malumori. Non piaceva per prima al Ministro dell’Interno Lamorgese, che a gennaio chiedeva al massimo qualche aggiustamento. Poi è arrivata la pandemia da coronavirus e con essa lo stato di emergenza, le dirette tv di Conte e i DPCM. Il governo PD-M5S-LeU ha tenuto, assecondando le richieste della Confindustria e sbloccando aiuti miliardari per conquistarsi la piena fiducia dei padroni in una fase inedita e complessa. Una coesione che si riflette sull’approvazione del nuovo decreto sicurezza: lo scontro tra le forze di governo non c’è stato, sono bastate poche ore di riunione per il via libera al testo.

I decreti Salvini[1] sono noti per il pugno di ferro sull’immigrazione, in linea con la retorica dei “porti chiusi” della Lega. In particolare il “Decreto sicurezza bis” introduceva sanzioni per il soccorso dei naufraghi in mare, che arrivavano fino alla confisca della nave. Pur di rafforzare nell’immediato le posizioni e la retorica razzista sugli sbarchi, questi decreti finivano per introdurre norme ai limiti dell’assurdo, spesso inapplicabili in concreto e censurabili dalla Corte Costituzionale. Già il 9 luglio scorso, ad esempio, il divieto di iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo è stato dichiarato incostituzionale dalla Consulta. La revisione del decreto sicurezza interviene proprio su questi aspetti, con una potatura dei rami già secchi perché dal sapore propagandistico e in pratica non applicati. Viene cancellata l’ipotesi di confisca della nave, le sanzioni vengono ridotte e si reintroduce il meccanismo di protezione umanitaria: un ritorno all’era Minniti, niente di più.

Le modifiche si concentrano sui temi dell’immigrazione, delle procedure di respingimento e rimpatrio, della cittadinanza. Proprio su quest’ultimo fronte si assiste a un peggioramento, portando i tempi di attesa per ottenere la cittadinanza a 3 anni, meno dei 4 vigenti, ma più dei 2 previsti prima del decreto sicurezza Salvini. Torna a 90 giorni il limite massimo di trattenimento nei Cpr in attesa del rimpatrio, la metà dei 180 attuali. E ancora, la possibilità di revocare la cittadinanza viene abrogata perché in contrasto con la Costituzione[2].

Qui termina il capitolo delle modifiche e comincia quello della continuità. C’è una parte importante dei decreti sicurezza che il governo non vuole toccare e riguarda la repressione delle lotte operaie e sociali. Un pacchetto di disposizioni che inasprisce le pene per i reati commessi nelle manifestazioni e criminalizza le forme di lotta del movimento operaio. Con la reintroduzione del reato di blocco stradale[3] si procede ad alta velocità sui binari della repressione, con la stessa logica che poche settimane fa ha portato in carcere Dana Lauriola, colpevole di reggere un megafono durante una protesta contro la TAV. L’occupazione di fabbriche e terreni, una delle più incisive forme di lotta del movimento operaio e contadino, viene punita con 4 anni di reclusione per gli organizzatori e 2 per i partecipanti. Gli effetti di questa stretta repressiva si sono già fatti sentire: 41.000 euro di multe per i lavoratori della tintoria Superlativa di Prato, colpevoli di aver protestato contro il lavoro nero e i turni massacranti. E ancora migliaia di pastori indagati per le rivolte del latte in Sardegna di inizio 2019.

Il nucleo repressivo dei decreti sicurezza non viene scalfito. A ben vedere, non è mai stato messo in discussione: è un traguardo acquisito, un armamentario ricco ed efficace da sfoderare all’occorrenza per soffocare le lotte e dare una lezione a chi alza la testa. Su questo le forze politiche borghesi sono concordi, non c’è ragione di litigare. Del resto sono proprio i decreti del “democratico” Minniti la base su cui la Lega ha potuto innestare i suoi provvedimenti di punta, nell’ottica ultra-securitaria che tratta ogni questione sociale come un problema di ordine pubblico da reprimere con la forza. Anche sul fronte della detenzione degli immigrati si introducono norme peggiorative: d’ora in poi si prevede la flagranza differita per il danneggiamento delle strutture dei Cpr.  In poche parole, chi organizza una protesta e si rivolta contro le condizioni di reclusione disumane rischia l’arresto immediato e il giudizio direttissimo.

Purtroppo la farsa non finisce qui. Sappiamo che con i decreti Salvini l’area di applicazione del DASPO[4] urbano già introdotto da Minniti è stata estesa per chi commette reati legati all’ordine pubblico. Una misura che ormai ha lasciato il campo delle manifestazioni sportive per essere generalizzata e diventare uno strumento di prevenzione e di sanzionamento nei confronti di soggetti ritenuti pericolosi. Con il nuovo decreto sicurezza si prosegue in questa direzione, attraverso la “norma Willy” che prevede il DASPO dai locali pubblici per chi è stato denunciato o condannato per violenza. Da anni nel nostro paese si assiste alla tendenza a sperimentare modalità di controllo e limitazioni alla libertà personale fuori dal circuito proprio della giustizia penale: è il caso del DASPO, ma anche di altre misure di prevenzione come la sorveglianza speciale (largamente utilizzata per la repressione del movimento NoTav) sfornite delle garanzie proprie del processo penale.

La cancellazione dei decreti Salvini sbandierata dal Partito Democratico è una fake news in piena regola, utile a raccontare una discontinuità con la Lega che non esiste. Tra qualche mese gli aiuti miliardari del governo ai padroni non basteranno più a contenere i licenziamenti, cederanno i blocchi che finora hanno consentito di rinviare e tamponare le conseguenze della crisi. Per recuperare gli stanziamenti giganteschi serviranno nuove misure antipopolari e tagli alla spesa pubblica, per socializzare ancora le perdite mentre i monopoli costruiscono condizioni più favorevoli per lo sfruttamento. I decreti sicurezza restano in piedi perché servono a frenare le proteste, a reprimere le lotte sui luoghi di lavoro e punire gli operai più combattivi.

Altro che ricordo del passato, i decreti Salvini sopravvivono e sono pronti per l’uso. Questo è il dato di continuità più preoccupante, lo stesso che vede 480 lavoratori e sindacalisti sotto processo per le lotte nei magazzini e nelle fabbriche di Modena, colpevoli di aver scioperato per la difesa dei propri diritti. La stessa continuità con le politiche europee sull’immigrazione che sull’isola di Lesbo ha devastato con un enorme incendio il più grande campo profughi della Grecia, in cui erano ammassate migliaia di persone nonostante il virus. Perché è un problema di ordine pubblico, e i governi borghesi lo risolvono così.

[1] Con l’espressione “Decreti Salvini” o “Decreti sicurezza” ci si riferisce a due decreti legge approvati dal Governo Conte I (Lega-M5S). Il primo è il d.l 4 ottobre 2018, n. 113 convertito in legge con l. 1 dicembre 2018, n. 132. Il decreto sicurezza bis è il d.l. 14 giugno 2019, n. 53, convertito in legge con modifiche con l. 8 agosto 2019, n. 77.

[2] Non viene cancellata l’ipotesi di revoca in caso si commettano reati legati al terrorismo.

[3] Il blocco stradale prima del decreto sicurezza (d.l. 4 ottobre 2018, n. 113) era previsto solo come illecito amministrativo, perché depenalizzato nel 1999. Oggi si prevede la reclusione da 1 a 6 anni (la pena è raddoppiata se il fatto è commesso da più persone)

[4] Divieto di Accesso alle manifestazioni SPOrtive.

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