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torino1-8-dicembre

A chi vi parla del fascismo “popolare”, ricordate la strage di Torino

98 anni fa, tra il 18 e il 20 dicembre 1922, avvenne la “strage di Torino”. Le squadre d’azione fasciste, guidate da Piero Brandimarte, attuarono una serie di omicidi e di pestaggi all’interno di un duro attacco alle organizzazioni del proletariato torinese. Furono uccise quattordici persone e almeno ventiquattro ferite, mentre vennero dati alle fiamme la Camera del lavoro, il circolo anarchico dei ferrovieri, il Circolo “Carlo Marx” e la sede de L’Ordine Nuovo (peraltro già occupata dalla polizia).

La dinamica degli eventi[1]

L’origine degli eventi avrebbe avuto un’origine privata. Un panettiere del quartiere popolare di Barriera di Nizza, in gioventù anarchico ma passato poi tra le file fasciste, si era lamentato con alcuni “camerati” di come le due figlie venissero traviate da un giovane tramviere comunista, Francesco Prato. Decisi a punirlo, armati di bastoni e pistole si misero a cercarlo per il quartiere. Prato riuscì a scappare dall’agguato facendo fuoco con la sua rivoltella e colpendo due aggressori. I due fascisti sarebbero morti nelle ore successive. Era la notte tra il 17 e il 18 dicembre.

Il giorno seguente, Piero Brandimarte, comandante di tutte le squadre d’azione del Fascio torinese, diede l’ordine di vendicare i due camerati morti nella notte. Ad aprire le danze vi fu il pestaggio, all’interno della Camera del lavoro, del deputato socialista Vincenzo Pagella, del ferroviere Arturo Cozza e di Pietro Ferrero, operaio metallurgico anarchico e segretario provinciale della FIOM.

La prima vittima fu Carlo Berruti, consigliere comunale iscritto al Partito Comunista d’Italia. Sequestrato mentre era all’ufficio “Controllo merci” delle ferrovie e condotto in campagna, venne ammazzato con una scarica di mitra alle spalle.

Matteo Chiolero, tramviere simpatizzante per il PCdI, venne ucciso in casa davanti alla moglie e al figlio. Erminio Andreoni, fuochista, venne svegliato di notte e trascinato in strada insieme alla moglie e al loro bambino, là venne ucciso a colpi di mitra poco distante dalla moglie. I fascisti tornarono nella loro abitazione, lanciarono i mobili per strada e le diedero fuoco.

Matteo Tarizzo, operaio FIAT, venne portato via di casa. Il suo cadavere fu ritrovato coperto da pagine de L’Ordine Nuovo, con il cranio spaccato a colpi di mazza. Morì massacrato di botte anche Leone Mazzola, proprietario di un’osteria, colpevole di essere simpatizzante socialista e di aver difeso un cliente malmenato dagli squadristi perché iscritto al PSI. Stessa sorte toccò a Giovanni Massaro, disoccupato e con problemi psichiatrici, pestato a morte su un marciapiede.

Andrea Chiomo, giovane operaio comunista, catturato da alcuni squadristi comandanti da Brandimarte in persona, cadde colpito da un proiettile e il suo cadavere venne percosso per diversi minuti. La sua colpa era quella di essere stato assolto nel processo per l’omicidio del fascista Dario Pini.

La Camera del lavoro, fondata il 1°maggio 1891, venne devastata e incendiata, facendo accorrere un’immensa folla che assisteva alla distruzione della casa della classe operaia torinese. Nella moltitudine i fascisti riconobbero il sindacalista Pietro Ferrero, che venne catturato e massacrato di botte. Il suo corpo venne legato a un camion e trascinato per le strade.

Il giorno seguente, il 19 dicembre, il primo a cadere fu Angelo Quintagliè, impiegato dell’ufficio “Controllo merci” delle ferrovie che aveva osato chiedere con insistenza a un collega fascista cosa fosse successo al consigliere Berruti. Una squadra d’azione raggiunse l’ufficio, i fascisti gli spararono e si accanirono sul cadavere.

Cesare Pochettino e Stefano Zurletti – cognati, vicini di casa e gestori di una piccola officina – vennero sequestrati dagli squadristi e condotti in collina. La loro colpa era di comparire nelle liste degli “antifascisti” presenti nella sede del Fascio, anche se mai si erano occupati di politica. I fascisti spararono mentre i due erano di schiena, gettandoli in un burrone. Zurletti riuscì a salvarsi, sebbene gravemente ferito.

La sera del 20 dicembre alcuni squadristi sequestrarono Evasio Becchio e Antonio Arnaud, operai. Condotti in periferia vennero prima malmenati e poi colpiti con armi da fuoco. Becchio morì mentre Arnaud riuscì a scappare gravemente ferito.

Oltre ai morti, numerosi furono i feriti, vittime dello squadrismo fascista che poteva agire liberamente con la complicità aperta delle forze dell’ordine e con le istituzioni locali a fare da spettatrici.

 

Una storia di repressione antioperaia.

La spiegazione di tale violenza arriva direttamente da un’intervista concessa dal capo squadrista Brandimarte. «Noi possediamo l’elenco di oltre 3000 nomi di sovversivi. Tra questi ne abbiamo scelti 24 e i loro nomi li abbiamo affidate alle nostre migliori squadre, perché facessero giustizia. E giustizia è stata fatta». Al giornalista, che gli chiese come mai mancassero almeno dieci corpi all’appello, il gerarca rispose «Saranno restituiti dal Po, seppure li restituirà, oppure si troveranno nei fossi, nei burroni o nelle macchie delle colline circostanti Torino»[2].

In sostanza, l’uccisione dei due fascisti viene utilizzata come giustificazione per scatenare un’ulteriore repressione contro le organizzazioni proletarie del capoluogo piemontese. Quest’atto di violenza inaudita rientria a perfezione nella strategia fascista. Mussolini era allora appena diventato Presidente del Consiglio dopo la “marcia su Roma”. Il nuovo governo e la maggioranza erano formati da una larga coalizione: fascisti, liberali, popolari, democratico-sociali, indipendenti. All’opposizione vi erano solamente socialisti, comunisti, repubblicani e sardisti, mentre i deputati altoatesini e slavi scelsero l’astensione.

La “strage di Torino” è interessante per due ragioni. Innanzitutto, la violenza fascista nella forma dello squadrismo colpì la città operaia dove l’iniziativa dei comunisti era più radicata. A Torino, infatti, durante il Biennio Rosso, «fare come in Russia» da slogan diventò un vero e proprio programma d’azione. L’occupazione delle industrie e la creazione dei consigli di fabbrica sul modello dei soviet avevano lanciato un messaggio: il più grande limite alla rivoluzione in Italia era l’assenza di un partito rivoluzionario della classe operaia (il PSI si dimostrò ampiamente non esserlo). Nel 1919 la Camera del lavoro aveva ottenuto le 8 ore di lavoro giornaliere, firmando un contratto di portata storica. Nel 1922 la classe operaia torinese si stava ribellando e stava lottando contro la soppressione delle organizzazioni proletarie voluta da Mussolini. La classe lavoratrice doveva essere colpita duramente e così fu. In secondo luogo, gli avvenimenti del 18-20 dicembre ’22 ci mostrano come il governo di coalizione – e quindi quasi tutti i liberali e popolari – lasciava impunite queste violenze e, anzi, non comprendeva l’utilità. Nei giorni e nelle settimane a seguire, infatti, la maggioranza diede carta bianca a Mussolini per reprimere sia con la forza pubblica sia con lo squadrismo (che si stava via via istituzionalizzando) qualsiasi tentativo della classe lavoratrice e delle sue organizzazioni di alzare la testa. Il fascismo si inseriva, quindi, alla perfezione nel solco della tradizione più autoritaria dello Stato liberale[3].

La “strage di Torino” si pone quasi a spartiacque: se da una parte chiude il periodo dello squadrismo per come si era organizzato contro l’avanzata del movimento operaio e contadino, dall’altra parte apre la strada al regime fascista, la pagina più dura di repressione antioperaia e antipopolare della storia italiana. L’uso della violenza – e delle ondate di arresti che inizieranno a fine dicembre ’22 – aveva lo scopo preciso di annientare le organizzazioni del proletariato. I lavoratori erano pericolosi per l’ordine sociale se organizzati, se, quindi, appartenenti a delle realtà in cui grazie alla discussione e all’attività pratica prendevano coscienza della propria situazione. Per i grandi industriali, per i banchieri e i grandi proprietari terrieri che il fascismo lo avevano finanziato dalla prima ora, quello era l’obiettivo: annientare la forza delle organizzazioni proletarie, Partito Comunista in testa, come dimostreranno l’accanimento giudiziario dei tribunali ordinari e del futuro Tribunale Speciale.

[1] La ricostruzione degli eventi è ricavata principalmente da Cancogni M., Gli squadristi, Longanesi, Milano, 1980, pp. 154-160.

[2] Franzinelli Mimmo, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista (1918-1922), Mondadori, Milano, 2003, p. 193.

[3] Nella quale ritroviamo, per fare degli esempi, la “lotta al brigantaggio” e la repressione dei moti per il pane del 1898.

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