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L’attività politica di Luigi Salvatori, dirigente del movimento operaio in Versilia

di Duccio Checchi

75 anni fa a Marina di Pietrasanta in Versilia moriva Luigi Salvatori, un uomo legato a molti esponenti del mondo dell’arte e della cultura in Versilia con i quali collaborò in numerose occasioni, nonostante le divergenze politiche. Iscritto nel 1900 al Partito Socialista Italiano, la sua adesione al marxismo seguì la linea prevalente negli anni della II Internazionale, sentendo sempre fortemente il legame con la masse popolari, con una coscienza sensibile alle sofferenze che esse vivevano, nonostante i progressi compiuti, ed ebbe quindi una profonda sfiducia nella linea riformista prevalente nella destra del PSI. Si convinse dunque della necessità di preparare uno sbocco rivoluzionario. Partecipò all’incontro segreto tenuto a Firenze nel novembre del 1917, al quale erano presenti una ventina di altri rappresentanti della sinistra del PSI, tra i quali pure Antonio Gramsci. Fu inoltre tra i fondatori del Partito Comunista al congresso di Livorno; partecipò alle campagne elettorali del 1921 e del 1924 senza essere eletto. Subirà la persecuzione da parte del fascismo, ma sarà in seguito tra i promotori del Comitato di Liberazione Nazionale della Versilia.

E’ stato possibile ricostruire i principali aspetti della vita politica di Luigi Salvatori, grazie alla consultazione dei documenti dell’Istituto Storico Lucchese Sezione “Versilia Storica” e dell’Istituto Gramsci Sezione Toscana.

L’adesione al PSI e i primi impegni politici

Il 900 in Versilia si aprì con sussulti sociali e profondi travagli politici, che videro nascere le prime associazioni di lavoratori con connotati di classe e il formarsi delle organizzazioni socialiste. Il principale settore economico era legato all’industria dell’estrazione e della lavorazione del marmo, con il particolare intervento della ditta francese Henraux.

I socialisti e gli anarchici ( questi ultimi in particolare avevano una forte tradizione, sia tra i cavatori, per la vicinanza con il bacino carrarese [1], sia con i lavoratori delle darsene) videro i loro primi successi organizzativi: emersero le Leghe di Mestiere, nel 1901 si costituì a Viareggio la Camera del Lavoro, nel 1902 a Seravezza fu fondato il Comitato Regionale delle Leghe di Resistenza, che dal 1905 si chiamerà Comitato Provinciale Edile (C.P.E).

E’ in questo clima che, diciottenne, Luigi Salvatori diventa presidente della Società di Mutuo Soccorso di Seravezza e partecipa all’organizzazione delle leghe di Resistenza di Querceta (frazione del comune di Seravezza), Vallecchia (frazione del comune di Pietrasanta) e Seravezza. Salvatori era nato il 22 febbraio 1881 a Querceta, da una famiglia di proprietari terrieri che tentò di ostacolare le sue prime simpatie socialiste. Il suo costante contatto con i problemi degli uomini e delle donne della Versilia e la lettura degli autori risorgimentali e laici, vide l’inizio della sua formazione politica. La sua vicinanza a Settimo Leoni, vecchio militante della I Internazionale, fece si che Salvatori affrontasse i testi di Engels.

Molte persone si ricordavano del Salvatori avvocato, per il fatto che egli fu “avvocato dei poveri”, impegnato per la difesa di gente umile e priva di mezzi, spesso non esigendo parcelle, soprattutto per quello che riguardava i processi legati a fatti politici, a indice della violenza e della mancata libertà in una società che, fondata sul disordine sociale dell’assetto borghese, aveva la massima responsabilità del loro verificarsi.

Nel 1900 Salvatori aderì al PSI, periodo in cui l’attività dei socialisti versiliesi era rivolta prevalentemente a favorire l’organizzazione operaia, attorno alle Leghe, sviluppando anche esperienze attorno alle Cooperative, senza trascurare l’opera di penetrazione all’interno delle associazioni mutualistiche e interclassiste quali le Società di Mutuo Soccorso o le Pubbliche Assistenze. La propaganda locale faceva capo al giornale “Versilia Nova”, redatto da Narciso Fontanini (barbiere di Viareggio e primo segretario della Camera del Lavoro), Leone Giulio Tonacchera (farmacista di Pietrasanta, direttore del giornale) e il medico Pilli ( che fu l’unico rappresentante versiliese al congresso di Genova del 1892).

Nel 1905, Salvatori si trasferì a Genova per concludere gli studi di giurisprudenza. Durante questo periodo, che va fino all’agosto del 1907, partecipò all’attività politica e ideologica del gruppo di antimilitaristi raccolti intorno al settimanale “La Pace”, di tendenza anarco-sindacalista, sempre in polemica con il gruppo riformista del PSI. “La Pace” era uno dei principali periodici antimilitaristi italiani, portavoce della sezione italiana dell’Alleanza Internazionale Antimilitarista. Era un giornale distaccato dal generico sentimento pacifista, sposando l’idea della necessità della violenza di classe per la conquista del potere da parte del proletariato.

Nell’intenso periodo di collaborazione a “La Pace”, Salvatori ebbe l’occasione di affrontare alcuni temi centrali del dibattito antimilitarista: la polemica con i socialisti riformisti, il rapporto con il pacifismo, la propaganda all’interno delle forze armate. A differenza di molti che rivendicavano un antimilitarismo mite senza puntare il dito contro coloro che si arricchivano con il mercato delle armi, Salvatori riaffermò l’antagonismo proletariato-borghesia, unica base con la quale era possibili condurre una dura lotta contro i “signori della guerra”. Il proletariato doveva dunque diventare protagonista di una lotta sociale contro la società capitalista.

Le guerre son mezzi con i quali le imprese industriali milionarie e miliardarie – camuffate patriotticamente – si aprono le nuove vie di sfruttamento o mantengono lo sfruttamento antico” analizzava lucidamente Salvatori, promuovendo una campagna antimilitarista che doveva diffondersi anche all’interno delle caserme, puntando a sensibilizzare i proletari con le casacche militari a ribellarsi agli ordini criminali le cui conseguenze erano spesso la repressione o la morte degli operai. Tutto questo poteva, secondo Salvatori, realizzarsi grazie all’impegno della propaganda, sfidando coraggiosamente le autorità militari.

Di attività svolte a Genova, si ha notizie di conferenze tenute alla Camera del Lavoro e alla Società Operaia di Genova. Subì pure un arresto nel 1906, venendo prosciolto per inesistenza di reato.

Il primo conflitto ideologico nel Partito Socialista e la critica all’anarchismo

Tornato a Viareggio nel 1907, Salvatori si sposò con Carolina Annomi, dirigente socialista con la quale avrà quattro figli.

Aperto lo studio legale a Viareggio, rientrò nella vita politica locale.  Sul numero del 10 Novembre 1907 del “Versilia Nova”, che aveva ripreso le pubblicazioni, fu inserita una nota:

“Col prossimo numero cominceremo la pubblicazione di una serie di articoli originali sulle teorie di Carlo Marx scritti espressamente per la Versilia Nova dall’avvocato Luigi Salvatori”.

Dunque il ritorno di Salvatori in Versilia concise con un suo impegno di carattere teorico e ideologico inserito all’interno di una discussione di linea, aperta all’interno del PSI, nel periodo in cui nel partito si discuteva il tema del rapporto tra riforma e rivoluzione. Salvatori non era uomo da rinunciare alla lotta anche violenta degli operai contro il nemico di classe, ritenendo necessario il raggruppamento dei lavoratori salariati rappresentandone le autentiche esigenze. Non rifiutava certo i miglioramenti legislativi, quando essi si potevano tradurre in un miglioramento della condizione operaia, anzi si trovò spesso a lottare per la loro effettiva applicazione. Allo stesso tempo fu sempre pronto a disilludere chiunque credesse che la battaglia legislativa, quand’anche desse risultati apprezzabili, bastasse ad assicurare la risoluzione dei problemi. Questo perché era ben noto a tutti, specialmente da parte della corrente anarco-sindacalista del PSI Versiliese, che sarebbe stato possibile rimettere continuamente in discussione, da parte della borghesia, i rapporti di forza. La partecipazione alle elezioni borghesi, l’ingresso in Parlamento, dovevano rappresentare uno stimolo all’organizzazione e allo sviluppo della coscienza di classe.

Nessuna illusione dove a essere alimentata sulla possibilità che il potere politico potesse avvenire attraverso i meccanismi istituzionali borghesi.

Salvatori spiegava così la sua posizione:

C’è nella società borghese un’opposizione tra diritto formale, che garantisce le libertà personali, e fatto, che da un lato fa della legge null’altro che la consacrazione della forza incaricata di mantenere intatti i privilegi economici della casta proprietaria e dirigente, dall’altro richiede necessariamente un rovesciamento rivoluzionario violento, dato che ogni diritto senza sanzione della forza resta confinato nel dominio speculativo”

 Oltre alla collaborazione con altre anime della politica locale, come i repubblicani con i quali nel 1909 organizzò “il lunedì antizarista”, Salvatori ebbe un particolare rapporto con i movimenti anarchici.

Nel saggio sul “Versilia Nova”erano presenti alcune precisazioni rivolte ad una critica all’anarchismo: la demolizione dell’utopismo, la sottolineatura della conquista del potere politico con la conquista dello Stato e di un momento di governo del proletariato. Ma non per questo Salvatori volle dividersi dagli anarchici, i quali potevano contare su una forte base di massa e anche sulla presenza di attive organizzazioni, specialmente quelle sindacali nelle lotte operaie.

Particolarmente vicina alla Versilia fu la vicenda parmense: dopo che al congresso di Firenze del PSI (1908) furono espulsi i capi delle correnti anarco-sindacaliste, queste ebbero un nuovo sussulto di attività con la proclamazione nelle campagne parmensi di uno sciopero che durò diversi mesi e portò all’arresto dei dirigenti sindacalisti. In Versilia scattò subito la solidarietà, numerosi membri delle famiglie degli scioperanti furono accolti da famiglie locali. Tra Aprile e Maggio del 1909 si tenne a Lucca il processo e Salvatori fu associato al collegio di difesa di cui facevano parte avvocati socialisti, democratici e anarchici. Il processo si concluse con un’assoluzione di massa. Gli ormai ex imputati fecero tappa a Viareggio dove 4.000 persone li aspettavano per portarli in corteo, al termine del quale si svolse un comizio di Salvatori.

  

Il nuovo giornale come mezzo di agitazione per i lavoratori

 Nel 1910 fu inaugurato un nuovo settimanale socialista chiamato “Versilia”. In quel periodo il movimento sindacale era in relativa stasi, la situazione organizzativa del PSI era caratterizzata dalla quasi inesistenza delle sezioni. Addirittura nel comune di Seravezza, roccaforte socialista, la guida passò ad un’amministrazione monarchico-clericale. Solo Salvatori risultò eletto come consigliere comunale per il PSI, ottenendo anche la carica di consigliere provinciale. Il “Versilia” puntava ad elevare il prestigio culturale, ideale e turistico per la terra versiliese, assumendo una vera e propria funzione di partito  in quanto utile strumento per l’elaborazione di una politica amministrativa dei socialisti attorno a poche ma decisive questioni per il futuro economico della zona. Fu anche strumento per la tutela dei beni pubblici, come la casa di Giosuè Carducci (morto nel 1907) a Valdicastello a Pietrasanta, quando la regina  Margherita decise di comprarla. Fu dunque costituito un comitato, presieduto da Salvatori, il quale con un appello alla tutela dei beni pubblici riuscì ad ottenere l’acquisizione pubblica della casa del poeta. Questo fu uno degli esempi in cui si dimostrava la necessità di appropriarsi del patrimonio culturale, divulgando le memorie storiche.

Gli anni del “Versilia” rappresentarono per Salvatori il massimo impegno amministrativo. Nel 1911 e nel 1914 Seravezza vide la vittoria dei socialisti e Salvatori fu eletto nuovamente in consiglio provinciale. Si impegnò per la realizzazione di infrastrutture per garantire la viabilità, ma fu importante anche il suo contributo per imporre la tassa sui marmi. Infatti, prendendo ispirazione dalla legge “Chiesa” in vigore nel comune di Carrara, propose di applicare un pedaggio sui marmi che uscivano dal territorio. Così facendo ci sarebbero state delle entrate per i comuni e si sarebbe risolto il problema delle pensioni operaie. Ma ciò avrebbe anche intaccato il profitto di pochi imprenditori, le cui industrie deturpavano le zone agricole.

Nel 1914, con la guerra alle porte, Salvatori iniziò a mobilitare l’organizzazione del PSI per realizzare una serie di agitazioni che avrebbero costituito la “settimana rossa”. Era la prima volta che tutta la Versilia veniva coinvolta in agitazioni concatenate fra loro. Le condizioni dei lavoratori e delle famiglie povere in Versilia erano drammatiche, oltre che per l’aggravarsi della crisi occupazionale, anche per la carenza di alimenti e per il conseguenze rincaro dei prezzi dei generi di prima necessità. Nel 1915 il PSI Versiliese annunciò il programma delle agitazioni e aprì la lotta delle rivendicazioni popolari per il pane, riportato sul “Versilia”:

 “Giovedì pomeriggio è stato tenuto qui un grande comizio. Tutto il proletariato guidato da bandiere rosse portate da donne. Parlarono Meschi e Salvatori. La dimostrazione poi fracassò tutti i vetri del Municipio tentandone di sfondare le porte. Reclamò per il lavoro ai disoccupati e per la diminuzione del prezzo del pane.

La folla invase il Municipio, ed il Sindaco dové promettere per lunedì il lavoro ad almeno un centinaio di disoccupati e per lo stesso giorno il pane, tipo unico, a centesimi 36 al chilo.

I tafferugli fra popolo e forza sono stati numerosi. Il contegno dei soldati anche sotto i sassi è stato paziente. Solo alcuni graduati hanno dato esempio della loro tipica vigliaccheria professionale.

Il popolo stia sempre pronto per difendersi dall’ozio forzato e per garantire ai suoi figli un pane a prezzo modesto”

 In seguito a queste mobilitazioni, Salvatori si prodigò attivamente per la costituzione in Versilia di una “Associazione fra commercianti, industriali ed esercenti”, e per la promozione di una Società fra lavoratori del marmo di Pietrasanta, onde alleviarne la disoccupazione con la ricerca e l’incremento di lavori.

Dalla prima guerra mondiale al congresso del PSI del 1918

 Nel 1915 si sciolse ogni possibilità di collaborazione con il Partito Repubblicano. Quest’ultimo si era infatti già schierato con l’Intesa e spingeva a fin che anche l’Italia partecipasse alla guerra, mentre il Partito Socialista era percorso al suo interno da forti contrasti circa la linea da adottare nei confronti della guerra. Fin dalle prime avvisaglie del conflitto, Salvatori aveva ribadito la sua intransigente opposizione al conflitto, riproponendo una rigorosa interpretazione marxista delle guerre:

“…esse rappresentano sempre dei cozzi interessi capitalistici e le gravi parole del sentimentalismo della patria e della bandiera non vogliono essere iniezione di entusiasmo per la poveraglia che si deve far macellare”

 Salvatori polemizzò pesantemente con le posizione adottate da De Ambis e Mussolini, ribadendo il più rigoroso internazionalismo proletario, affermando che per le classi lavoratrici non aveva alcun senso il concetto di patria e che esse avrebbero dovuto combattere solo per la rivoluzione sociale. In seguito a queste riflessioni, Salvatori avviò la sua azione di propaganda contro la guerra, che si fece intensa nella primavera del 1915, quando i suoi comizi riempirono le piazze togliendole agli interventisti i quali, in Versilia, non poterono parlare.

Il 16 Maggio di quell’anno si tenne a Bologna il Convegno Nazionale per i quadri dirigenti di Federazione, al quale Salvatori propose una linea personale che imitava l’iniziativa che ebbe luogo in Francia, ovvero l’immediato sciopero generale politico-rivoluzionario. Si trattava di un debole strategia non fondata sulla rivoluzione per la dittatura del proletariato, ma sull’astratta visione dell’affermazione delle libertà, dell’uguaglianza e della giustizia della fraterna pace fra gli uomini. Questo perché Salvatori era ancora parecchio influenzato dai suoi studi di gioventù, ispirati ai valori di Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi. Tale ordine del giorno ricevete il suo solo voto favorevole, mentre la direzione del PSI intraprese la via del “non aderire, non sabotare”.

Con l’ingresso dell’Italia in guerra e dalla crisi che ne scaturì, il “Versilia” chiuse le sue pubblicazioni. Nonostante ciò, Salvatori continuò con le sue azioni di propaganda disfattista contro la guerra imperialista.

Il 18 novembre 1917 a Firenze, Salvatori partecipò alla famosa riunione di quei venti della sinistra del PSI, alla quale erano presenti anche Bordiga e Gramsci, durante la quale si pose l’obiettivo per la costruzione di un fronte unitario della sinistra socialista.

A guerra finita, nel novembre del 1918 si tenne a Roma il XV Congresso del PSI. Le file dei socialisti erano assottigliate dalla guerra e dalla repressione di molti dirigenti locali. Assente era anche Bordiga, il quale era impegnato nel servizio militare, toccò a Salvatori svolgere col suo intervento e nell’o.d.g che recava la sua firma le argomentazioni della sinistra. Oggetto della polemica era anche la Direzione del Partito: intanto perché non aveva saputo rispondere attivamente all’invito rivoluzionario proveniente dalla Russia.

Ci fu una forte condanna al gruppo parlamentar socialista, riaffermando la necessità che il suo operato rimanesse sottomesso agli organi direttivi del partito e chiedendo modifiche statutarie che permettessero l’espulsione nell’eventualità del ripetersi di fatti analoghi.

Questa mozione vinse largamente il Congresso e Salvatori fu invitato a sedere nella Direzione del Partito; proposta che rifiutò per motivi personali strettamente familiari.

L’elezione alla Camera, le giornate rosse di Viareggio e i fatti di Lucca

 Nel 1919 il PSI versiliese riprese il suo lavoro di propaganda ideologica tra le masse, soprattutto tenendo conto della spinta della Rivoluzione d’Ottobre e della situazione eccezionale in cui tutto il popolo aveva vissuto negli ultimi anni. Con una manifestazione proclamata dalla Camera del Lavoro si volle portare la solidarietà alla Russia dei Soviet. Naturalmente Salvatori intervenne in prima persona nella mobilitazione, in un periodo in cui a Viareggio erano entrati in lotta anche gli “svogliati” e gli operai della produzione metallurgica. Nel frattempo si gettarono le basi per il nuovo congresso del PSI, indetto per Ottobre. Salvatori, insieme a Serrati e Gennari, entrò nella commissione preparatoria del nuovo programma che si sarebbe scontrato con quello di Bordiga. Quest’ultimo sosteneva che, stante il precipitare di una situazione obiettivamente rivoluzionaria, il proletariato avrebbe dovuto dedicare i suoi sforzi ala preparazione degli strumenti del potere rivoluzionario, i soviet, alternativi alle istituzioni borghesi. Occorreva che il movimento rivoluzionario non nutrisse illusioni, né disperdesse energie in competizioni elettorali.

Salvatori volle ridimensionare la visione ottimistica di Bordiga ribadendo l’intransigenza antiriformista, ma volle meglio articolare il giudizio sulle istituzioni borghesi: egli non credeva certo alla Via Parlamentare al Socialismo, riteneva valida la linea dei soviet, ma confermava la necessità di entrare negli istituti borghesi per svalutarli teoricamente e sabotarli praticamente.

L’occasione di propaganda e di carica ideologica che si realizzava nella competizione elettorale, l’esercizio del voto, l’uso del parlamento come tribuna, erano ottimi motivi che ormai facevano parte della ormai sperimentata tradizione socialista che Salvatori non voleva abbandonare.

Il congresso si concluse comunque senza nulla di fatto e Salvatori comprese che ciò avrebbe avuto conseguenze gravi per le sorti del movimento socialista.

Alle elezioni del 1919 Salvatori fu candidato alla Camera e il 16 Novembre risultò eletto nella lista dei socialisti nel collegio di Lucca – Massa Carrara.

La sua attività parlamentare si concentrò principalmente su interventi di denuncia contro le mancanze del governo, e per il sostegno degli interessi economici e turistici di Viareggio e della Versilia. In particolare si concentrò sulla tutela degli arenili sulle spiagge, per impedire l’usurpazione del possesso da parte dei privati. Si ricordano inoltre le sue interrogazioni parlamentari sui fatti di Viareggio del Maggio 1920, una rivolta spontanea in seguito agli scontri tra tifosi della Lucchese e del Viareggio durante i quali venne ucciso dai carabinieri il guardalinee Augusto Morganti

La sommossa del 2 Maggio si accese all’improvviso e si diffuse per tutta la città, e la popolazione inferocita, insorse spontaneamente radunandosi di fronte alla stazione dei Carabinieri. Iniziò dunque l’assedio alla caserma, con il quale i rivoltosi pretendevano la consegna dell’uccisore di Morganti.

In quei giorni di vera e propria mobilitazione popolare, le riunioni decisive si tennero presso lo studio legare dell’onorevole Salvatori.

Fu proprio il parlamentare versiliese ad invitare, dopo tre giorni, la popolazione viareggina a desistere dalle agitazioni che avevano finito per isolare e chiudere la città, da ogni lato e perfino dal mare, entro una pericolosa morsa repressiva che poi sarebbe durata oltre il dovuto.

Pur vedendone mancanza di sbocchi, Salvatori difese sull’Avanti! il significato dell’agitazione popolare:

“Per la sua misura, per le definizioni di dignità e di forza che il proletariato ha voluto darsi, per la ginnastica fisica e la preparazione psichica per un domani che abbia l’appassionato richiamo d’una emozione rivoluzionaria”

 Salvatori riconobbe l’importanza di un evento di tale portata, ma ebbe fin dall’inizio la convinzione che il moto non avrebbe avuto alcuna possibilità di prorogarsi fuori da Viareggio e che bisognasse riportare la calma in città, scongiurando il pericolo di una dura repressione da parte delle forze dell’ordine. Questo comportamento, aspramente contestato da una parte dei dimostranti, deve essere inserito nel contesto in cui esso si era andato a confrontare. E’ necessario tenere presente le condizioni di isolamento in cui venne a trovarsi, all’interno di una città circondata dalle truppe e con la possibilità molto limitata di comunicare con l’estero. Ma quanto alle cause della sommossa si può concordare che il momento in cui esplose, fu un momento d’indignazione sincera e di protesta spontaneamente popolare, ma che fu alimentata in un’atmosfera già tesa per le difficoltà economiche e sociali in cui la città da tempo versava. In questo contesto, Salvatori fu chiamato al soccorso e agì da deputato socialista che doveva proteggere la sua gente. Alla fine la valutazione che Salvatori diede alle “Tre giornate Rosse di Viareggio” fu che si trattò di una dimostrazione della combattività popolare, la conferma dell’esistenza di una situazione oggettivamente esplosiva, l’indicazione della necessità di una direzione politica che sapesse convogliare questa grande forza verso l’obiettivo rivoluzionario.

 Ma il 1920 non fu solo caratterizzato solo dai moti di Viareggio, ma anche dall’inizio della violenza fascista. A questo riguardo furono significativi i fatti di Lucca. I socialisti avevano indetto un comizio per il 14 dicembre contro l’aumento del prezzo del pane. Trecento fascisti provenienti da Pisa, dopo aver distribuito un volantino in cui asserivano che la manifestazione era uno dei soliti movimenti per far apparire il fantasma della rivoluzione, si scontrarono con i socialisti con una provocazione che giunse ad una sparatoria in cui si ebbero vari feriti. L’episodio fu oggetto di un discorso alla Camera dove Salvatori esordì: “I nostri morti ce li seppelliamo e non veniamo a domandare la pace […] la lotta civile è inaugurata”

 

Il Partito Comunista

 Fu in questo clima di alta tensione che si strinsero i tempi dell’iniziativa della nascente frazione comunista. Salvatori partecipò al convegno di Imola, rappresentando il gruppo dei massimalisti di sinistra che, insieme alla frazione bordighiana e gli ordinovisti, furono le componenti essenziali del nuovo partito. Salvatori si impegnò a fin che il Congresso Nazionale del PSI del 1921 si svolgesse a Viareggio, ma sorse il problema che gli albergatori non avevano intenzione di aprire le loro attività per accogliere i delegati a causa della bassa stagione.

Alla fine, il Congresso del PSI si tenne a Livorno al Teatro Goldoni. Qui Salvatori non ebbe esitazioni, e scindendosi dal gruppo dei 156 deputati socialisti si unì a coloro che costituirono il Gruppo del Partito Comunista d’Italia. In quella scissione vide l’unica maniera possibile per mettersi al passo con gli sviluppi rivoluzionari operanti che facevano capo al nuovo internazionalismo leninista.

La prima sezione del PCd’I versiliese si costituì a Viareggio il 3 febbraio 1921. La fondarono in cinquanta che, non avendo una sede, si riunivano alla Camera del Lavoro; e il primo segretario fu Scandiano Martini. Il rovesciamento più significativo dei rapporti rispetto alla forza dei socialisti si ebbe nella sezione di Salvatori, quella di Pietrasanta, dove la maggioranza si costituì nella nuova sezione comunista. Salvatori fu poi designato come direttore de “La Battaglia Comunista”, organo della Federazione del PCd’I della provincia di Massa Carrara –  Versilia, un giornale che si trovò spesso ad interrompere le pubblicazioni a causa delle violenze fasciste.

“L’Intrepido”, il settimanale del Fascio di Combattimento Lucchese, prese di mira Luigi Salvatori con attacchi sempre più duri. La violenza evolveva in veri conflitti a fuoco. I Fasci di Combattimento si consolidavano nel controllo del territorio e si davano un assetto organizzativo regionale. Quella primavera, gli industriali versiliesi concentrarono i loro mezzi per colpire le organizzazioni operaie. L’orientamento già filofascista delle autorità locali risultava evidente il 1° Maggio 1921, quando a Viareggio il Manifesto della Camera del Lavoro fu censurato, mentre si permise che fosse affisso solo quello del Fascio locale.

Il 2 Maggio i fascisti distrussero i locali della Camera del Lavoro. Dopo le elezioni, sempre a Viareggio, una manifestazione indetta dai socialisti e dai comunisti per festeggiare il risultato elettorale sfilò sotto le finestre del Fascio. Ne nacque una sfida tra le due fazioni avversarie:

“I rossi (soliti a riunirsi in darsena al club dei calafati) mandarono a dire ai fascisti che se avevano coraggio si trovassero alle sei di sera del 16 Maggio in piazza Grande; loro ci sarebbero stati. Dieci da una parte e dieci dall’altra. Niente armi, si sarebbero misurati con il semplice coraggio fisico, a cazzotti.

Alle sei della sera i rossi si avvicinarono a piazza Grande provenendo dalla zona popolare. I fascisti da vua Garibaldi, che era la via più elegante di Viareggio. Lentamente le due schiere avanzarono verso il mezzo della piazza; intorno i grandi platani affettuosi di foglie. Di colpo ci fu l’accapigliamento generale. Passarono lunghissimi minuti. Improvviso il secco suono delle armi. Chi ha sparato? Due uomini caddero…” Mario Tobino, “16 Maggio 1921”

 Erano caduti, feriti a morte, colpiti dai fascisti che avevano sparato a tradimento da una casa che si apriva in piazza, i due giovani: Neri Pietro, 24 anni, calafato, e Paolini Enrico 23 anni, marinaio.

Fu in questo clima di continua violenza che cessò nel 1921 ogni tipo di libera attività sindacale e politica delle organizzazioni socialiste e comuniste, che si ridussero ad una condizione di semi-clandestinità. Salvatori fu candidato per il PCd’I alle elezioni politiche, ma non venne rieletto e nemmeno alle elezioni successive. Dal 1924 al 1926 fu incaricato dal Partito del Soccorso Rosso, per la distribuzione dei sussidi ai detenuti politici carcere a Lucca, per l’invio di aiuti alle vittime della persecuzione fascista, per l’organizzazione a Viareggio di una colonia marina per i figli dei comunisti morti in guerra o imprigionati.

Venne infine il trionfo della reazione fascista. Salvatori, in quanto membro del Comitato Centrale del Partito Comunista, avvocato, deputato ed oratore, fu una delle vittime più ambite da colpire dalle squadracce fasciste. Il 31 Ottobre 1926 venne aggredito dai fascisti che lo ridussero in gravi condizioni: ricoverato all’ospedale di Pietrasanta, quando già si diffuse la notizia della sua morte, temendo che, risultata falsa la notizia, si potesse verificare una nuova aggressione, ne uscì nottetempo per fuggire a Viareggio. Fu arrestato il 20 Novembre e condannato a 5 anni di confino, insieme ad altri dirigenti comunisti versiliesi. Nel 1928 fu trasferito a Regina Coeli insieme ai detenuti del Tribunale Speciale, insieme a Terracini e Gramsci. Gli imputati furono poi variamente raggruppati; Salvatori subì un processo a parte e fu condannato a quattro anni di reclusione. Il Tribunale speciale si espresse nei suoi confronti con queste parole:

 “Il Salvatori fu prima socialista rivoluzionario, poi socialista ufficiale e quindi passò al comunismo. Prese sempre parte attiva ad ogni manifestazione del partito socialista sia in occasione di comizi e di scioperi, che in occasione di riunioni di indole politica, elettorale ed economica. Durante il periodo del predominio bolscevico fu uno dei maggiori e più attivi esponenti del partito comunista. Anche dopo l’avvento del fascismo al governo egli continuò occultamente a far propaganda delle idee rivoluzionarie, mantenendosi in contatto coi dirigenti del partito e continuando a rimanere l’esponente del comunismo versiliese. Nel 1925 e ‘26 fu fiduciario del Soccorso Rosso e fu nominato direttore delle colonie balneari “pro vittime politiche” di Viareggio. Per la sua persistente e pericolosa attività comunista, con ordinanza del 20 novembre 1926, fu condannato al confino per 5 anni e destinato a Favignana”

 Quanto all’accusa, essa fu:

 “ di avere, quale esponente del partito comunista, con attiva e violenta propaganda contro le istituzioni e le compagnie dello Stato e con un’organizzazione occulta, finanziata pure all’Estero, concertato e stabilito con altri di commettere fatti diretti a mutuare violentemente la costituzione dello Stato e la forma del Governo  […] fatti diretti a far sorgere in armi gli abitanti del regno” e di avere “con la diffusione di manifesti a stampa e manoscritti incitato all’odio fra le classi, in modo pericoloso per la pubblica tranquillità”

Terminò il periodo di confino a Ventotene nel gennaio del 1933. Durante il periodo della detenzione, Salvatori non sottoscrisse alcuna domanda di grazia, rifiutando ogni possibilità di liberazione ottenuta con la sottomissione politica

Il ritorno in Versilia e gli ultimi atti

Tornato in Versilia, Salvatori continuò ad essere sottoposto alla sorveglianza speciale fino alla caduta del fascismo. Con molte restrizioni gli fu permesso di riprendere la professione di avvocato. Nel 1939 si ammalò, colto da un ictus durante un processo a Lucca. Ciò gli impose di rifiutare ogni attività del Partito all’estero.

Dopo l’8 Settembre 1943, si riunirono a casa sua a Pietrasanta i rappresentanti delle forze antifasciste che fondarono il Comitato di Liberazione Nazionale di Pietrasanta, lui sedeva in rappresentanza del PCI clandestino. Non poté partecipare alla Resistenza a causa delle sue gravi condizioni di salute, ma continuò ad essere un punto di riferimento per i comunisti versiliesi, che continuarono a cercare, anche clandestinamente, l’incontro con lui e con lui tornarono a consultarsi quando si trattò di compiere la scelta della lotta armata.

Dopo la liberazione, il CLN lo designò per occupare la carica di sindaco di Pietrasanta, ma rifiutò a causa della malattia. Per lo stesso motivo non fu possibile candidarlo nel 1946 per le elezioni dell’Assemblea Costituente. La grave paralisi che lo colpì lo costrinse all’immobilità fino alla sua morte, che avvenne a Marina di Pietrasanta il 20 luglio 1946.

Alla Costituente lo commemorò Aladino Bibolotti, il primo segretario della Federazione Versiliese del PCd’I di Massa Carrara e della Versilia.

Sulla casa natale di Luigi Salvatori, oggi è scolpita questa epigrafe grazie al suo amico Enrico Pea:

“Luigi Salvatori

 nato nel privilegio

 in questa casa dei suoi avi

crebbe all’ideale comunistico

prima di divinazione di cuore

poi

la scienza

confermando la vocazione dell’adolescente

lo elesse

e tale rimase vinti tortura e carcere

per tutta la vita senza macchia di fede

paladino del popolo.”

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