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Quello che la vernice sul Senato non dice: la questione ambientale è una questione di classe

Le secchiate di vernice lavabile rossa lanciate contro il Senato dagli attivisti di Ultima Generazione e le conseguenti reazioni delle ultime ore, rendono manifeste in maniera lampante tutte le contraddizioni e la confusione del momento storico che stiamo vivendo.

In primo luogo, l’incapacità dell’intero sistema economico, politico ed istituzionale capitalista nel reinventarsi per affrontare e fornire delle risposte sufficienti ad alcune istanze reali che attraversano la società. Che il cambiamento climatico e la devastazione ambientale, a causa del manifestarsi di eventi sempre più preoccupanti, meritino di assumere un’importanza centrale nel dibattito pubblico è ormai sotto gli occhi di tutti. Per rendersene conto, basterebbe osservare il sempre più repentino aumento di fenomeni atmosferici imprevedibili, come ad esempio la siccità estiva nel nostro paese o le tempeste che hanno mietuto decine di vittime negli USA negli ultimi giorni.

Di fronte a tutto ciò la risposta del capitalismo continua ad essere ampiamente insufficiente, proprio perché la questione ambientale rappresenta uno dei principali terreni sui cui si palesano le contraddizioni insanabili di questo sistema. Sono, infatti, le stesse leggi che regolano i rapporti di produzione interni al sistema capitalista ad essere causa principale alla base dei fenomeni del cambiamento climatico: lo sviluppo incontrollato e irrazionale della produzione, così come la competizione sfrenata votata ad aumentare sempre di più i profitti attraverso lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sull’ambiente. In questo contesto non ci stupisce di certo che anche le istituzioni borghesi, garanti in primo luogo degli interessi del capitale, continuano a dimostrarsi incapaci di mettere in atto risposte sufficienti e radicali, come richiederebbe la questione ambientale, se solo volesse essere affrontata in modo risolutivo.

Allo stesso modo dunque, non c’è di certo da stupirsi se i tentativi disperati delle organizzazioni di lotta ambientalista, dalle istituzioni, non ricevano altro che le solite risposte di circostanza su stanziamenti miliardari per la riconversione ecologica, che poi però non si sostanziano in effetti reali contro il disastro ambientale. L’attuale sistema dei partiti politici che siedono in Parlamento, in quanto rappresentante diretto degli interessi della borghesia in tutte le sue sfaccettature, non potrà produrre assolutamente nulla di diverso se non una transizione ecologica parziale, indirizzata in modo tale da risultare funzionale non ai bisogni del pianeta e della popolazione mondiale, ma a quelli dei monopòli capitalistici, che vedono in questo nient’altro che un’opportunità per guadagnare posizioni nella competizione economica.

In secondo luogo, la sproporzione repressiva e l’ormai sempre più sdoganato utilizzo dei provvedimenti giudiziari da parte del Governo come strumento per gestire controversie di carattere politico. Già nelle scorse settimane ad un esponente di “Ultima Generazione” era stata notificata la richiesta di sorveglianza speciale e pericolosità sociale da parte della Questura di Pavia per aver partecipato ad alcune azioni dimostrative del movimento. Un fatto non banale, poiché implica l’utilizzo di articoli del Codice penale pensati per il contrasto alle organizzazioni mafiose, contro attivisti sostanzialmente innocui, che hanno sempre ribadito il carattere non violento della loro azione e le cui richieste sono sempre e solo state l’incontro con esponenti istituzionali per chiedere impegni nel contrasto al cambiamento climatico.

A dar forza a questa preoccupante tendenza il fatto che ad un giorno di distanza, con tempi da record per il sistema giudiziario italiano, gli attivisti che si sono resi responsabili dell’azione dimostrativa di fronte al Senato, sono stati processati per direttissima dal Tribunale di Roma. A ciò si aggiunge la recente notizia che il Consiglio di Presidenza del Senato, guidato da Ignazio La Russa, vorrebbe costituirsi parte civile e chiedere un risarcimento, facendo leva sulle norme sopravvissute al decreto Sicurezza-bis di Matteo Salvini, secondo le quali i ragazzi potrebbero rischiare da 1 a 5 anni di carcere. Nel frattempo, forte della condanna unanime da parte di tutte le forze politiche parlamentari, il Governo si prepara a varare nuove misure per l’inasprimento dei controlli, effettuati anche da agenti in borghese, nelle aree del Parlamento e in tutte le principali stazioni.

Una gestione che parrebbe essere improntata al perseguimento di un legalitarismo esasperato, se non fosse però applicata dallo stesso governo che giusto pochi giorni fa, per rimanere sulle tematiche ambientali, ha concesso con un decreto lo scudo penale ai dirigenti dell’ex ILVA di Taranto. Vorremmo vedere la stessa solerzia nel prendere provvedimenti nei confronti dei responsabili delle oltre tre morti sul lavoro al giorno, nei confronti delle organizzazioni mafiose, nei confronti dei tanti criminali in giacca e cravatta che affollano i salotti bene del nostro paese. Sappiamo già che non la vedremo.

In terzo luogo, apre spazi di riflessione e valutazione rispetto all’azione di quei movimenti per la giustizia climatica e ambientale che oggi cercano di ritagliarsi spazio e attenzione nella confusione della fase attuale. La centralità della crisi ecologica e l’impatto sociale ormai critico che ne deriva, ci impongono di mettere in campo qualche considerazione riflessione in più rispetto agli strumenti e alle modalità che potrebbero davvero rendere la lotta per la questione ambientale comprensibile su un piano di massa, includendola in un programma di rivendicazioni classiste più generale, in grado di porre al centro i bisogni immediati delle masse e la critica al sistema capitalistico che li nega.

Come già detto in precedenza, la questione ambientale è una delle questioni fondamentali del nostro tempo, intorno alla quale è responsabilità collettiva costruire mobilitazione popolare per invertire una rotta che attualmente sembra essere diretta verso la catastrofe climatica. Proprio per questa ragione non è possibile condannare le rivendicazioni ad essa connesse ad un’irrilevanza figlia di concezioni politiche e pratiche di lotta estemporanee, il cui unico obiettivo è raggiungere un presunto clamore mediatico. Incollarsi ad opere d’arte all’interno dei musei, andare in piccoli gruppi a lanciare vernice contro “palazzi del potere” o sedi di aziende, oppure sedersi per terra provando a paralizzare per qualche minuto le strade delle principali città, non produce alcun effetto significativo né in termini di presa di coscienza delle masse sulla questione ambientale, né tantomeno in termini di capacità delle masse di imporre dei mutamenti attraverso la propria azione concreta. Anzi, il rischio che si corre è quello di rendersi assolutamente incomprensibili e repellenti di fronte a quei lavoratori che in alcuni casi si auto percepiscono perfino come vittime concrete di questo tipo di azioni. Ne sono un esempio tutti quei casi in cui, durante dei blocchi stradali, l’intervento della polizia è stato anticipato da chi, non cogliendo il senso della protesta, ha risposto animatamente ai manifestanti che aveva l’esigenza di passare per andare a lavorare e portare i soldi a casa dalla propria famiglia.

Per superare questo stallo in cui si trova oggettivamente da anni la lotta ambientalista, occorre che tutti i movimenti che si trovano sul terreno della questione ambientale compiano uno scatto sia in termini analitici che in termini di prospettiva.

La rivendicazione, accettata dalla maggior parte dei movimenti ambientalisti, della “richiesta di soluzioni” ai decisori politici è assolutamente fallimentare per via della natura stessa di quei decisori e lo dimostrano le risposte repressive di questi giorni. L’idea che sia possibile, all’interno del capitalismo, passare per le vie istituzionali del sistema borghese, con l’obiettivo di trovare nuove formule e politiche di gestione in grado di risolvere l’emergenza climatica, è una visione non solo errata, ma condannata ad essere fallimentare e ad indebolire la lotta per un reale cambiamento. Questa concezione di fondo è assunta da tutti quei movimenti che, pur battendosi per la centralità dell’emergenza climatica, continuano a considerare questa lotta come un’urgenza (come è giusto che sia) scollegata da qualsiasi altro tipo di rivendicazione classista e anteposta ad un piano di lotta complessivo contro il sistema che la produce, alimentando l’illusione che sia possibile avere un capitalismo buono, green, ecosostenibile.

La lotta ambientalista non può essere separata da tutte le altre lotte contro gli effetti della crisi capitalistica, pena l’inconsistenza di qualsiasi rivendicazione, anche la più particolare.

Affinché le rivendicazioni contro la crisi climatica siano efficaci e comprensibili su un piano di massa occorre saldarle su quelle di classe per il salario, per la piena occupazione, contro il carovita, gli effetti concreti della crisi capitalistica e della guerra imperialista come sua manifestazione. Ciò significa riconoscere la lotta ambientalista come parte integrante della lotta di classe e accettare che su questo terreno essa possa svilupparsi e raggiungere forme di lotta più avanzate di quelle attualmente praticate dai movimenti ambientalisti. Basta immaginare a quanto sarebbe assolutamente più rilevante in termini di diffusione di coscienza, l’esistenza di un movimento operaio che all’interno delle proprie rivendicazioni includa anche quella ambientale a partire da casi concreti, come ad esempio l’ILVA di Taranto, in cui la gestione capitalistica non produce soltanto miseria e sfruttamento, ma anche devastazione ambientale e morte.

Infine, occorre comprendere come, la diffusione sul piano di massa di una coscienza ambientale, anche qualora questa fosse legata a rivendicazioni di classe espresse dal movimento operaio, senza la capacità di farsi organizzazione politica autonoma dagli interessi capitalistici, sarebbe vana. Senza, infatti, la capacità di fornirsi di strumenti politico-organizzativi più avanzati, che vadano oltre il semplice movimentismo riformista, anche il più forte movimento di lotta per l’ambiente, nel migliore dei casi finirebbe per sciogliersi come neve al sole, nel peggiore a prestare il fianco a strumentalizzazioni da parte di chi vende alle masse una transizione ecologica buona solo per alcuni capitalisti, come soluzione per il disastro ambientale che quegli stessi padroni e monopoli stanno provocando.

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