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LEV JASHIN,PALLONE D’ORO PROLETARIO.

di Emiliano Caliendo

C’era un tempo in cui nell’ex blocco socialista fare sport era una costante della vita quotidiana dei lavoratori. C’era un tempo in cui lo sport era cultura fisica e dunque parte fondamentale della formazione integrale dei cittadini alla pari dell’istruzione. Ed in quel contesto straordinario in cui lo sport ad ogni livello e alla portata di tutti il quale si contrapponeva all’alienazione e la degenerazione fisica data dal capitalismo, un giovane proletario iniziò il percorso che lo portò ai vertici e nella storia del calcio mondiale . Lev Jashin nasce a Mosca il 22 ottobre 1929 da una famiglia di operai impegnati nel settore metallurgico. Nel ’43 fu reclutato come apprendista aggiustatore in una fabbrica dell’industria pesante ed è proprio lì, sul luogo di lavoro che si manifesta la sua abilità di afferare cose, come bulloni, scatole e panini, che gli venivano lanciati dai divertiti compagni di lavoro. Grazie ai suoi riflessi e alla sua dedizione al lavoro entrò nella squadra dell’azienda per poi essere notato da uno dei più grandi club sportivi di Mosca, la Dinamo. Forse caso unico nella storia, nel ’49 il giovane calciatore si trovava a fare il portiere titolare nella squadra di hockey sul ghiaccio e lo stesso ruolo nei panni di secondo in quella di calcio dove giocava un’altra leggenda del calcio sovietico Aleksej Khomic. Gli allenatori di hockey e di calcio se lo contendevano a suon di litigi visto il suo talento, con la situazione che persistette fino al ’53 anno di svolta per Lev. Vinse il campionato di hockey da titolare con grandissime prestazioni, ciò gli diede un senso di appagamento tale da poter finalmente dedicarsi esclusivamente al calcio, sua vera passione. L’occasione si presenta l’anno successivo con l’infortunio di Khomic, soprannominato dagli inglesi ”la Tigre”, in un’amichevole non proibitiva contro la Torpedo Stalingrado. Così Jashin ricorda quella partita in un’intervista del 1982[1]:

”La partita era appena cominciata, io stavo lì, tra i pali, tutto emozionato ,quando il portiere della Torpedo fece un rilancio lungo ,molto lungo. Il pallone volò alto, attraverso tutto il campo, andò a cadere sulla linea della mia area di rigore, rimbalzò…io mi gettai sul pallone, ma andai a scontrarmi con un compagno di squadra. Il pallone, beffardo, rotolò in porta:0-1. Lì pensai d’essermi giocato la carriera. Poi per fortuna i miei compagni segnarono cinque gol e quell’errore passò nel dimenticatoio.”

L’esordio non brillante fu subito cancellato da una serie di prestazioni impressionanti che resero a Jashin il posto da titolare e il soprannome di ”Ragno Nero” per via della sua divisa da portiere e per il fatto che a parer degli attaccanti sembrava avesse più di due braccia. Esordì in nazionale già quell’anno e divenne titolare inamovibile fino al 1969 partecipando ad una Olimpiade ,quattro Mondiali e due Europei. Fu uno dei punti fermi di quella Dinamo che vinse il campionato con lui tra i pali nel 1954,1955,1957,1959,1963 a cui si aggiunsero tre Coppe dell’URSS nel 1953,1967 e 1970.

Memorabili sono i successi di quell’URSS: vittoria ai campionati europei del 1960 per 2-1 contro la Jugoslavia, con France Football che esalta ‘’la straordinaria precisione’’ di Jashin il quale viene definito anche ‘’il miglior portiere del mondo’’ e l’Equipe che parla di lui come ‘’non solo un talento nell’area di sedici metri e mezzo, ma anche un vero asso tra i pali e la traversa’’. Ma l’anno di grazia fu il 1963 in cui il Ragno Nero fu protagonista di una serie di perfomance che strabiliarono il mondo del calcio. In ventisette partite di campionato subì soltanto sei gol e inoltre aggiunse al proprio curriculum internazionale la partita a Wembley per celebrare il centenario della Football Association tra Inghilterra e Resto del Mondo. Jashin giocò solo un tempo ma fu da cineteca. I tiri dei fortissimi attaccanti inglesi si trovarono di fronte a parate eccezionali dal punto di vista tecnico e atletico, delle vere e proprie esibizioni. Jashin finì la sua partita imbattuto nell’ovazione del pubblico presente. A coronare quell’annata straordinaria ci fu il primo e unico Pallone d’Oro, titolo di miglior giocatore d’Europa dell’anno, dato ad un portiere. L’anno successivo l’URSS arrivo nuovamente in finale all’Europeo ma fu sconfitta dalla Spagna padrona di casa. In quella competizione l’URSS buttò fuori l’Italia (2-0 all’andata,1-1 a Roma) grazie ad un parata di Jashin su calcio di rigore a Sandro Mazzola il quale disse di lui: ‘’Per me è stato l’unico portiere in grado di far sbagliare i tiri degli avversari. Con la sue enorme statura e le sue lunghissime braccia, sembrava coprire tutta la porta, una massa nera sempre incombente. Quando arrivavo sotto porta, restava lì immobile e mi costringeva affannosamente a chiedermi: ma se quello non si muove, adesso io da che parte tiro? Metteva soggezione. Un gol sicuro contro Jashin poteva nascere soltanto da un tiro sbagliato.’’ Giocò il suo ultimo mondiale nel 1966 in Inghilterra portando la compagine sovietica al quarto posto(miglior piazzamento di sempre per l’URSS e per le nazionali che ne facevano parte) e fu eletto miglior portiere dell’evento. Durante l’ultima parte della sua carriera mantenne il ruolo di primo portiere in nazionale e di pilastro della Dinamo Mosca. Il 22 Ottobre 1969 durante la partita di qualificazione ai mondiali URSS-Irlanda del Nord Jashin era infortunato in tribuna ma il pubblico continuava ad incitare il suo nome: l’allenatore Kacjalin lo volle sul campo dove gli fu consegnato dai capitani delle due squadre un mazzo di fiori per onorare la sua carriera in nazionale. Lo stadio gli tributa un standing ovation che spinse , il Ragno Nero, proclamato portiere ad honorem della nazionale, al pianto. Chiuse la carriera il 27 maggio 1971 in uno stadio con 100.000 sovietici e con richieste di biglietti superiori sette volte alla capienza massima dello stadio Lenin. Alla partita di addio furono presenti tutte le glorie del calcio di quegli anni: Pelè, Eusebio, Charlton, Facchetti, Beckenbauer.

Il Ragno Nero, l’orgoglio di milioni di sovietici, leggenda vivente per i tifosi di tutto il mondo iniziò l’attività di allenatore di vari settori giovanili e poi di manager sportivo al seguito della nazionale sovietica. Continuò a vivere a Mosca con la moglie in un appartamento di 3 stanze più servizi senza nessun lusso ma solo con la sua dignità di uomo, cosa che farebbe impallidire molti mercenari del pallone moderni. Nel calcio le statistiche spesso non raccontano adeguatamente le storie, ma quelle di Jashin sono talmente sensazionali che non possono essere riportate: 326 presenze ufficiali con la Dinamo Mosca,78 con la nazionale sovietica,5 con la rappresentativa del resto del mondo, lasciò la porta inviolata in 207 occasioni, parò 86 calci di rigore; nel palmares internazionale un europeo e un olimpiade quella di Melbourne. Jaschin è riconosciuto come il più grande portiere di tutti i tempi. Oggi siamo abituati ad un mondo del pallone i cui protagonisti dei club dei grandi club guadagnano cifre che vanno dal milione di euro in su. In URSS i calciatori, quelli bravi che giocavano nella serie A sovietica venivano pagati quanto i lavoratori del settore a cui appartenevano(ogni squadra rappresentava un settore lavorativo della società). Praticamente un calciatore poteva arrivare a guadagnare fino al doppio di un salario medio e con poca differenza tra la serie A e la serie B locale.

Difficilmente si cambiava club, c’era un vero senso di appartenenza alla propria squadra e solo sul finire dell’esperienza sovietica i calciatori iniziarono a diventare una ‘’merce’’ per servire la propria causa al miglior offerente. Lo stesso Jashin affermava ad un giornalista italiano‘’Ho giocato solo con la Dinamo e la Nazionale. So che da voi le cose vanno diversamente…da voi è normale cambiare casacca.[…]Da voi un buon giocatore si compra e si vende a suon di miliardi e da noi no. Da noi non si accumula una fortuna giocando a pallone, ma se si è bravi si può coltivare la propria passione ed essere applauditi negli stadi. Ma c’è un’altra differenza: da noi sono quaranta milioni i giovani e i ragazzi che giocano al calcio, in squadre ben organizzate, beninteso, nei campi sportivi, e non a palletta, per strada.’’

Il socialismo in URSS e negli altri paesi che hanno vissuto il socialismo reale oltre ad un cambio delle condizioni materiali di produzione e delle annesse relazioni sociali aveva portato ad una trasformazione radicale della concezione dell’essere umano in campi come la cultura e lo sport. I lavoratori con la Rivoluzione Russa hanno rifiutato la concezione che lo sport fosse un privilegio dei ricchi o un modo per essere inquadrati da esse ai loro fini. Ma si sono organizzati per fare sport in modo da essere utile a sé stessi come classe. I club sportivi per settore lavorativo, le strutture all’avanguardia e i risultati sportivi internazionali nei medaglieri di ogni competizione sono la dimostrazione dell’efficacia di quel sistema sportivo. Quanti potenziali campioni vi sono in Europa e in Italia che non possono diventare tali per mancanza di mezzi economici che possono permettere di accedere alle poche strutture sportive in cui spesso non viene nemmeno insegnata una cultura dello sport? Il calcio moderno è totalmente incorporato dal capitalismo, ed è in mano di una vera e propria lobby di multinazionali coordinate dalla FIFA. L’ambiente sportivo in cui è cresciuto Jashin continua in diverse discipline in paesi come Cuba e la Corea del Nord e solo in minima parte in alcuni paesi dell’ex blocco socialista. Ebbene, conoscendo quel sistema di cultura fisica c’è da chiedersi quanti bambini, lavoratori, disoccupati potrebbero essere futuri campioni o semplicemente buoni sportivi se non ci fosse la disgregazione sociale anche sportiva introdotta da questo sistema economico.

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