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La tregua di Minsk

La tregua tra la Giunta golpista di Kiev e il popolo in armi del Donbass è entrata in vigore alle 00.00 del 15 Febbraio, come stabilito nel vertice fiume durato 16 ore tra i presidenti di Francia, Germania, Ucraina e Russia svolto a Minsk (Bielorussia) lo scorso 11-12 Febbraio. Dopo giorni di intensi combattimenti il livello di fuoco è calato notevolmente nella giornata di domenica, ma intensi scontri si sono susseguiti nell’area di Debaltseve che rappresenta un crocevia ferroviario fondamentale tra Donetsk e Lugansk, dove le milizie popolari hanno accerchiato tra i 6.000 e 8.000 soldati ucraini, e su cui l’accordo di Minsk non dice nulla rappresentando un braccio di ferro politico/militare tra la Giunta reazionaria ucraina e le milizie popolari che in ogni momento può esser la scintilla per la rottura ufficiale del cessate il fuoco; le milizie popolari ormai hanno posto interamente la città sotto il loro controllo e le truppe ucraine hanno iniziato il ritiro; un successo quest’ultimo molto importante per la definizione del territorio della Novorossia, mentre Poroshenko ha subito strillato definendo questo come “un attacco cinico agli accordi Minsk” chiedendo la reazione della comunità internazionale contro le “azioni traditrici” dei separatisti, a cui ha fatto eco il vice-presidente statunitense J.Biden che ha condannato tale azione minacciando che se “Mosca continuerà a violare gli accordi, il prezzo per la Russia sarà più pesante”. Se nel complesso Hollande, d’accordo con gli altre tre leader che hanno partecipato al vertice di Minsk, ha affermato nella giornata di domenica che “il cessate il fuoco è stato globalmente soddisfacente malgrado incidenti locali”, nei giorni successivi il tono è cambiato con la Merkel che parla di “situazione fragile” e gli USA che si dicono “seriamente preoccupati” con il portavoce dell’esercito ucraino che ha affermato “l’impossibilità” di rispettare il punto dell’accordo che prevede di ritirare dal fronte le armi pesanti lanciando accuse verso le milizie della Novorossia. Lo stesso vertice di Minsk è stato accompagnato da brutali attacchi a Donetsk, Lugansk e in altre città del Donbass, con sullo sfondo il ricatto degli Stati Uniti di presentare un piano di aiuti militari a Kiev facendo da pressante contorno all’”accordo” stabilito dalla Merkel, Hollande, Poroshenko e Putin, e firmato dal cosiddetto “gruppo di contatto trilaterale”, formato dal rappresentante dell’OCSE in Europa Heidi Tagliavini, l’ex presidente dell’Ucraina Leonid Kuchma, l’Ambasciatore russo in Ucraina Mikhail Zurabov e dai leader delle Repubbliche della Novorossia, Zacharchenko e Plotinskiy. Su proposta russa, anche il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha votato all’unanimità il cessate il fuoco sulla base del documento di Minsk. E’ da rilevare che già gli accordi di cessate il fuoco firmati nel settembre 2014 non si sono mai realizzati e lo scontro è cresciuto ulteriormente, e anche in questo caso nel negoziato non compaiono sostanziali e solide basi per la “pace e la riconciliazione”. Inoltre, l’accordo di cessate il fuoco arriva in un momento in cui le milizie popolari delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk sono riusciti in una offensiva strategica molto importante: salvare la giunta di Kiev dalla sconfitta militare o la pacificazione, qual è il vero scopo dei negoziati? Il risultato principale della riunione dei capi di Stato è il riconoscimento de facto della legittimità della giunta golpista di Kiev le cui mani sono sporche del sangue del proprio popolo, ma nella sostanza non quella delle Repubbliche Popolari che dati i rapporti di forza sul campo guadagnano comunque qualcosa.

Un dato essenziale è che nell’accordo, dove si prevede l’indietreggiamento e la ridefinizione dalla linea del fronte e il ritiro dell’artiglieria pesante (ad oggi solo le milizie della Novorossia hanno iniziato questo processo), non compare il riconoscimento delle Repubbliche Popolari che dovrebbero godere solamente di uno status speciale nella futura nuova Costituzione dell’Ucraina. La popolazione del Donbass nel referendum democratico degli scorsi mesi si è espressa in modo diverso rivendicando per l’appunto l’indipendenza, l’autodeterminazione e la costituzione della Novorossia, mentre secondo questi accordi si troverebbero a vivere come una parte dello Stato ucraino guidato dal governo golpista dove infuria il veleno nazionalista e apertamente fascista. Non è nuovo il fatto che le autorità borghesi non rispettino la volontà popolare espressa tramite referendum, come avvenne 24 anni fa quando la maggioranza dei sovietici votò per la conservazione dell’URSS.

In generale il summit ha riunito le potenze imperialiste coinvolte nello scontro in atto nel tentativo di risolvere le divergenze e contraddizioni tra gli imperialismi occidentali, l’oligarchia ucraina e la Russia. Il tentativo di accordo tra queste potenze rispecchia il desiderio di promuovere gli interessi delle classi borghesi dei loro Stati, e ciò è ben visibile nelle controversie tra le varie fazioni nel campo imperialista: Stati Uniti e Gran Bretagna, i paesi più lontani (e rimasti sullo sfondo del Vertice di Minsk) sono favorevoli a continuare ad alimentare la tensione e aumentare la fornitura di armi da guerra all’Ucraina per il coinvolgimento delle autorità borghesi russe nella guerra; la Germania e la Francia, sono invece più caute nella prospettiva di una guerra aperta in Europa e vogliono mantenere la situazione della sicurezza energetica, compresa la fornitura di gas e petrolio dalla Russia, consapevoli inoltre dell’importanza del mercato russo per l’UE, e vogliono pertanto giungere ad un compromesso sostenendo Poroshenko e la Giunta golpista di Kiev ma con condizioni accettabili di parziale riconoscimento delle Repubbliche sorte nel Donbass; le autorità russe, guidate da Putin, hanno la necessità di difendere la posizione di non adesione dell’Ucraina nella NATO e che gli interessi economici russi vengano garantiti anche con l’integrazione dell’Ucraina nell’UE, riallacciando i legami commerciali con i paesi dell’area e garantendo la stabilità per l’Unione Euroasiatica, per cui la difesa della Novorossia è un oggetto di contrattazione. L’attuale interesse comune è quello di raggiungere compromessi temporanei di equilibrio tra gli imperialismi che rispecchiano gli obiettivi strategici di ognuno a livello globale, dall’Atlantico al Pacifico, ponendo alla base i principi dell’OCSE e un devastato diritto internazionale che non possono esser considerati elementi a favore dei popoli. Noi comunisti siamo ben consapevoli che la parola “pace” nella bocca degli imperialisti non ha alcun valore e che gli accordi preparano in realtà la guerra.

Le aspirazioni del popolo del Donbass, che combatte contro le forze punitive fasciste, non sono in primo piano nei negoziati. Per questo anche se i rappresentanti delle Repubbliche hanno firmato il documento a titolo personale (quindi non a nome del popolo della Novorossia), nel documento sono presenti disposizioni che non saranno accettate dalla popolazione di Donetsk e Lugansk, tra cui anche posizioni che sono un affronto al popolo in lotta, visto che viene riconosciuta l’”Integrità territoriale dell’Ucraina” e le Repubbliche Popolari diventano regioni con uno status speciale dell’Ucraina, con le imminenti elezioni che si realizzeranno secondo le leggi ucraine. A questo si aggiunge la garanzia dell’amnistia per i crimini commessi dai combattenti al soldo della giunta golpista e il pieno controllo delle autorità ucraine su tutta la lunghezza del confine con la Russia entro il 2015, il non riconoscimento della lingua russa come seconda lingua ufficiale, e solo parzialmente c’è la concessione (nella futura nuova Costituzione) di una decentralizzazione nei limiti della “collaborazione” politica, economica, giudiziaria e culturale tra l’Ucraina e le autorità dei territori “speciali” (i cui confini non son ben definiti) di Donetsk e Lugansk che saranno elette nelle prossime elezioni. Sono tanti i punti dell’accordo che rimangono aperti a diverse interpretazione e ambiguità.

Quanto fragile sia la tenuta dell’accordo lo dimostrano anche le dichiarazioni di Dmitry Yarosh, leader di Settore Destro, movimento nazista ucraino che ha dichiarato di non riconoscere gli accordi di Minsk: “Pravy Sektor si riserva il diritto di continuare le operazioni di guerra in base ai propri piani operativi per completare la liberazione della terra ucraina”. Dall’altra parte, Pavel Gubarev, ex governatore di Donetsk e leader del New Russian Party (di orientamento nazionalista russo) afferma che “il documento firmato a Minsk non risolve le controversie fondamentali e i problemi all’interno dell’ex Ucraina (compreso la Nuova Russia)” concludendo la sua dichiarazione dicendo che “dovremmo aspettarci la continuazione della guerra e anche la sua escalation”. Mentre Zakharchenko, leader della Repubblica Popolare di Donetsk ha affermato che “nessun soldato ucraino metterà piede nella nostra regione” in merito al punto dell’accordo relativo al controllo del confine con la Russia. A questo si aggiunge che le sanzioni dell’UE alla Russia non sono state sospese, anzi integrano altri personaggi importanti del governo russo e un deputato del Partito Comunista della Fed. Russa, con la risposta di Mosca che le giudica di “natura assurda” sottolineando che “ogni volta che c’è la speranza di risolvere la crisi interna ucraina, Bruxelles si affretta ad introdurre nuove azioni anti-russe”; l’Ucraina ha inoltre nominato come consigliere per le riforme, l’ex presidente della Georgia, Mikheil Saakashvili, responsabile del conflitto sanguinoso del 2008 e uomo molto vicino alla NATO e al FMI. Inoltre Poroshenko ha già annunciato che è pronto a proclamare la “legge marziale in tutto il paese” e continua a chiedere l’intervento pesante degli USA, in termini di ulteriore invio di armi e strutture logistiche, concludendo il quadro con la costante mobilitazione di truppe NATO nelle Repubbliche Baltiche. Dagli Stati Uniti, i repubblicani, guidati da McCain (tra gli attori principali del golpe in Ucraina) in piena campagna elettorale, non fanno mancare i loro toni minacciosi e contrari agli accordi, sottolineando la necessità di ulteriori sanzioni fino all’azione militare diretta degli USA. A rappresentare ulteriormente quanto sia fluida e contradditoria la situazione, arrivano anche le recenti dichiarazioni del Ministro della Difesa della Germania, Ursula von der Leyen, che ha annunciato un cambio di strategia nella politica di sicurezza tedesca per il 2016, in relazione alle politiche russe di promozione dei propri interessi politico/militari e geostrategici: la nuova politica di sicurezza di Berlino prevede che l’esercito tedesco sia maggiormente integrato nelle operazioni NATO oltre a rafforzare le missioni aeree lontane dalla Germania, e si concentrerà anche sugli attacchi climatici e informatici; infine una chiara indicazione dell’orientamento della politica estera tedesca è la decisione del Ministero degli Esteri tedesco di investire milioni di euro in un nuovo istituto di studi con gli Stati dell’area post-sovietica.

Il documento di Minsk non menziona per nulla né le cause della guerra, tra cui il conflitto sul controllo dei mercati delle risorse naturali e rotte di trasporto dell’energia, e l’intervento aperto dell’Unione Europea e degli USA in Ucraina nel quadro dell’antagonismo con la Russia, né condanna le forze governative e paramilitari che agiscono in continuità con il nazista Bandera, né le responsabilità di coloro che hanno bombardato le città, ucciso civili, donne e bambini. Nessuna menzione sulle responsabilità del massacro di Odessa. Questo documento sembra esser condannato, come il precedente, a rimanere un pezzo di carta ben lontano dalla risoluzione del conflitto e rappresenta un vicolo cieco dove permangono tutte le possibilità di estensione del conflitto. Il compito dei comunisti è quello di sostenere la lotta del popolo in armi del Donbass organizzando le parti più avanzate della lotta antifascista, gli operai, le forze popolari anti-oligarchiche che lottano contro la Giunta di Kiev, nel Donbass e nel resto dell’Ucraina (dove si susseguono da un lato le tensioni tra i gruppi nazisti e la Giunta e dall’altro le proteste contro la guerra con scioperi, blocchi e mobilitazioni), sfruttando le contraddizioni in campo nel quadro della strategia della liberazione sociale rovesciando la giunta fascista di Kiev e gli oligarchi, senza lasciarsi trascinare sotto la bandiera di questa o quella fazione borghese, divenendo protagonisti nel corso degli eventi in nome della fratellanza tra i popoli sovietici, la solidarietà internazionale proletaria e del Socialismo.

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