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Quello che nessuno dice su Valeria Fedeli.

Sta facendo molto discutere la scelta del nuovo premier Paolo Gentiloni di assegnare a Valeria Fedeli, ex sindacalista CGIL, il ruolo di Ministro dell’Istruzione. L’anonima Stefania Giannini (talmente anonima che per la prima volta da anni la riforma della scuola non sarà ricordata col nome del Ministro, ma con quello di Renzi) è infatti una delle poche figure a non essere state “riciclate” nel nuovo governo.

Sebbene la destra abbia optato per l’argomento della difesa della famiglia, utilizzato da Lega Nord e Fratelli d’Italia che accusano il nuovo Ministro di aver firmato nel 2014 un progetto di legge sull’educazione “gender”, la principale polemica è senza dubbio quella sul titolo di studio della Fedeli, sulla laurea dichiarata ma mai conseguita, e ora sullo stesso diploma di maturità che il neo Ministro non ha, avendo conseguito un diploma triennale.

Il problema di Valeria Fedeli, tuttavia, non è tanto l’assenza di un titolo di studio che ha finto di avere, ma è strettamente politico. Qualcuno, anche fra le organizzazioni studentesche o sindacali, sembra accogliere l’illusione che la nomina di una ex sindacalista CGIL alla guida del MIUR sia il segnale di una inversione di rotta rispetto alle politiche di questi anni in materia di istruzione. Ma quale inversione può mai provenire da un Governo sostenuto dalla stessa maggioranza del Governo Renzi, che con la Buona Scuola ha condotto un nuovo attacco alla scuola pubblica e all’istruzione? O da una sostenitrice del Sì al referendum, come è stata la Fedeli?

Oggi tutte le politiche sulla scuola vanno nella direzione della riduzione del ruolo dello Stato nel finanziamento delle scuole e di una dequalificazione complessiva dell’istruzione, voluta dai grandi monopoli e dall’Unione Europea con lo scopo di rilanciare la famigerata “produttività” riducendo il costo del lavoro (creando appunto nuovi lavoratori dequalificati). Nessun cambiamento di questo indirizzo può venire da un semplice cambio di Ministro, se non c’è una rottura politica con i governi precedenti. Il governo Gentiloni non solo non segnerà nessuna rottura rispetto al suo predecessore, ma dovrà anche gestire la sua eredità. La Fedeli, ad esempio, avrà a che fare con le deleghe in bianco contenute nella Buona Scuola in materia di diritto allo studio, istruzione professionale, nuovo testo unico sulla scuola, riforma dell’esame di Stato, ecc.

Invertire la rotta sulla scuola significherebbe annullare la Buona Scuola, riducendo i poteri dei Presidi e cancellando lo “school bonus” per le imprese; lanciare un piani di rifinanziamento della scuola pubblica e del diritto allo studio con fondi statali; promuovere una reale gratuità dell’istruzione abolendo la vergogna dei contributi scolastici; combattere lo sfruttamento in alternanza scuola-lavoro riconoscendo diritti agli studenti in alternanza e cancellando immediatamente l’accordo che il Miur ha stretto con le grandi imprese qualche mese fa. Tutte misure che questo Governo non prenderà, perché espressione dello stesso apparato di potere che ha sostenuto Renzi e dei suoi interessi.

La polemica che si appiattisce sul titolo di studio non è solo superficiale perché trascura gli aspetti fondamentali, ma anche essenzialmente sbagliata nei suoi presupposti. Al netto di quanto sia deplorevole dichiarare un titolo che non si ha, la storia del movimento operaio, in Italia e a livello internazionale, ha visto persone di umili origini che dopo anni di militanza sindacale e di Partito hanno ricoperto anche cariche istituzionali importanti senza avere una laurea o altri titoli di studio, perché impossibilitati a frequentare l’università o concludere gli studi per ragioni economiche. La polemica sulla laurea è degna di una forza come il Movimento 5 Stelle, che è al contempo privo di una reale volontà di rompere con questo sistema e privo di una propria visione del mondo, di una qualsivoglia concezione di società alternativa a quella attuale, che lo rende incapace di comprendere che una forma di organizzazione dei lavoratori come il sindacato può essere a tutti gli effetti un percorso di formazione politica per chi viene dalla classe operaia e trova in esso uno strumento di emancipazione (considerazione valida indipendentemente dal fatto che la CGIL oggi abbia ben altri scopi). Il problema di Valeria Fedeli non sta nel titolo di studio mai conseguito, ma nelle politiche che il suo Ministero porterà avanti nell’interesse degli stessi poteri forti che appoggiavano il Governo Renzi.

In definitiva, la nomina di Valeria Fedeli, più che segnare un’inversione di rotta, rappresenta il tentativo di riconciliare il PD con il mondo della scuola e, appunto, la CGIL. La provenienza dalla CGIL della Fedeli, lungi dal rappresentare una diversità rispetto alla Giannini, è al contrario (e purtroppo) l’ennesimo segnale della compromissione del più grande sindacato italiano, la CGIL, con la gestione del potere borghese e con un governo sostenuto dalla Confindustria, dalla UE e dai poteri forti. Chi a sinistra si illude che nel mondo della scuola debba chiudersi una stagione di lotta per lasciare il posto a una nuova stagione caratterizzata dal “dialogo” si sbaglia, e saranno i fatti a dimostrarlo.

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