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Bombe USA in Siria. Così Biden si presenta al Medio Oriente

È andata in scena la prima azione militare americana dell’era Biden. Lo scenario è quello della Siria orientale, al confine con l’Iraq. Il Pentagono sostiene di aver colpito le milizie sciite filoiraniane (uccidendo 17 combattenti) responsabili di aver colpito un convoglio della coalizione a trazione USA lo scorso 15 febbraio vicino a Erbil, nel Kurdistan iracheno. Quell’attacco era stato rivendicato dal gruppo sciita Awliyya al-Dam (Guardiani del Sangue), con cui l’Iran nega di avere rapporti. E ancora, solo 6 giorni fa alcuni missili avevano colpito l’area dell’ambasciata statunitense a Baghdad, senza gravi conseguenze. 

Il battesimo di fuoco dell’amministrazione Biden si inserisce nella lunga escalation tra Iran e Stati Uniti innescata dalla rottura degli accordi sul nucleare iraniano da parte di Trump, ma che già trovava le sue basi nelle crisi di Siria e, ancor prima, nella guerra in Iraq. Poco più di un anno fa la tensione aveva toccato picchi mai raggiunti in anni recenti, con l’assassinio del generale iraniano Soleimani in un raid missilistico statunitense in territorio iracheno, ordinato da Trump in risposta ai fatti di fine dicembre 2019 – l’attacco alla base aerea di Kirkuk e l’assalto all’ambasciata USA a Baghdad, entrambi da parte di forze sciite.

La vicenda va letta nel complesso dello scenario del Medio Oriente. L’Iraq è ingovernabile dal 2003, anno dell’aggressione imperialista della coalizione guidata dagli USA. Sulle risorse energetiche del paese hanno interesse i monopoli nordamericani ed europei, così come quelli iraniani. Dal 2011 la guerra in Siria ha ulteriormente destabilizzato la regione, con l’emergere di gruppi fondamentalisti sunniti finanziati più o meno esplicitamente da USA, Turchia e petrolmonarchie del Golfo, per la loro opposizione al governo siriano. Pochi giorni fa la NATO ha dichiarato che aumenterà la propria presenza nell’area, formalmente per sostenere l’esercito iracheno affinché riprenda il pieno controllo del paese. Se ci spostiamo un po’ più a ovest, lo scontro inter-imperialistico per le risorse del Mediterraneo orientale è più vivo che mai. Si tratta di scenari in cui la presenza militare straniera serve a garantire interessi ben precisi dei grandi monopoli energetici dei rispettivi paesi. La stessa politica estera dell’Italia in sostegno degli asset di interesse dell’ENI è un esempio molto chiaro di questo: il nostro paese oggi è secondo solo agli USA per presenza militare in Iraq e sta intensificando le operazioni nel Mediterraneo Orientale. 

Le scelte di politica estera degli USA non sono mai casuali. Contano gli innumerevoli interessi in gioco e le pressioni incrociate dei grandi monopoli sul governo appena insediato. Le prime bombe dell’amministrazione Biden sono un segnale lanciato ai grandi monopoli nordamericani, utile a compattarne il consenso sulla nuova presidenza. Significativa è la scelta della Siria come scenario di questo attacco. Almeno due fattori possono aver influito su questa scelta. Uno, la volontà della nuova presidenza di marcare un cambio di passo con l’amministrazione Trump, che nello scenario siriano aveva adottato una tattica di ritirata volta a conquistare maggiore cooperazione con la Russia di Putin, a cui fu concesso il ruolo di principale mediatore tra il governo siriano, la Turchia e le milizie curde nella Siria del Nord, con un accordo che lasciava ai margini proprio l’Iran. L’amministrazione Biden si riallinea alla politica di intervento più “tradizionale” degli USA, come già emergeva con chiarezza nella campagna elettorale. Due, gli USA scelgono di colpire gli alleati dell’Iran sul territorio siriano consapevoli che un nuovo attacco in Iraq avrebbe avuto maggiori ripercussioni sulla loro capacità di gestire la già difficile situazione nel paese. Nell’ultimo anno, infatti, l’Iraq è stato attraversato da grandi mobilitazioni popolari contro la presenza militare straniera, dopo l’attentato in cui morì il generale iraniano Soleimani.

Il dato più importante è che oggi il Medio Oriente resta il principale teatro della competizione tra i centri imperialisti, per la sua importanza legata alle risorse energetiche. I popoli e i lavoratori pagano oggi questo scontro sulla loro pelle, vedendo il proprio diritto a vivere in pace calpestato dall’imperialismo.

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