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Piegare la verità storica alla propaganda di guerra: la circolare dell’assessora Donazzan alle scuole venete

Nella giornata del 26 gennaio, l’assessora regionale all’istruzione Elena Donazzan, in quota Fratelli d’Italia, ha promulgato una circolare con cui veniva richiesto a tutti i presidi delle scuole venete di promuovere “momenti di riflessione” in occasione della ricorrenza della “ritirata di Russia” degli Alpini del gennaio 1943, che segnò il massiccio ripiego delle forze tedesche ed italiane dai territori sovietici, invasi a partire dal 1941 con l’Operazione Barbarossa. Più che un tentativo atto a stimolare momenti di dibattito, la circolare diffusa dall’assessora riporta la richiesta esplicita di diffondere tra il corpo studentesco una lettura distorta e intrisa di revisionismo storico in chiave patriottica dell’invasione nazifascista ai danni dell’Unione Sovietica.

Nella circolare diffusa, l’invasione dell’URSS, che da sola nel secondo conflitto mondiale ha pagato il prezzo più alto in termini di vite umane con la morte di decine di milioni di militari e civili, viene descritta come una guerra costellata di sottaciuti episodi di eroismo patriottico, combattuta dai soldati italiani “in nome della patria”.

L’assessora dimentica forse che l’invasione dell’Unione Sovietica è stata prima di tutto una guerra di sterminio contro le popolazioni slave, cominciata dalla Germania nazista, a cui l’Italia fascista ha preso direttamente parte rendendosi complice di uno dei peggiori massacri della storia. La totale scissione dell’avvenimento bellico dai suoi presupposti politici ed imperialistici, si somma al silenzio sullo sterminio sistematico contro le popolazioni slave, perpetrato parimenti dalla Germania nazista e dall’Italia fascista, che videro in questa campagna un’occasione per alimentare gli storici afflati imperialistici verso il mondo balcanico. In tale contesto lo sfondamento del fronte dell’asse nel corso della fine del 1942, in concomitanza con la famosa Battaglia di Stalingrado e da cui è scaturita la ritirata delle truppe italiane in Russia, è stato un evento chiave per la liberazione dell’Europa dal giogo nazista, pagata col sangue di oltre 22 milioni di sovietici. Ciò che ovviamente viene sottaciuto con ancora maggior cura è che la campagna di Russia fu prima di tutto una guerra votata alla distruzione dell’Unione Sovietica in quanto stato operaio e punto di riferimento per il movimento comunista internazionale.

L’operazione avanzata è in realtà un copione già visto più e più volte negli ultimi anni, in piena continuità con la campagna ideologica di mistificazione storica che ha portato all’equiparazione sistematica di nazifascismo e comunismo ai fini di screditare la storia del movimento comunista. In questo modo l’invasione dell’Unione Sovietica diventa un atto di patriottico vanto, da rivendicare come parte dell’onore italico: 270.000 proletari mandati a morire per una guerra combattuta al solo scopo di assicurare ai padroni italiani una fetta più grande di profitti sullo scacchiere mondiale, diventano improvvisamente eroi nazionali di cui tramandare la memoria in quanto “unico corpo d’armata imbattuto in terra di Russia”. In realtà gli Alpini, videro perdere circa il 60% delle loro forze e dei 270.000 inviati alla fine tornarono in Italia solo in poco più di 10.000. Ennesima dimostrazione di come, nelle guerre imperialiste, gli appartenenti agli strati popolari diventino carne da cannone sacrificata per gli interessi di pochi grandi monopolisti.

La risoluzione europea di equiparazione tra nazismo e comunismo, risalente al 2018 ed approvata all’unanimità dalle forze politiche italiane nel parlamento europeo, rappresenta un esempio pratico della necessità per le classi borghesi di allontanare il più possibile un esempio, come quello sovietico, di possibilità di riscatto per i proletari contro questo sistema economico e sociale. Uno sforzo fondamentale di legittimazione dell’esistente, che oscurando il passato criminalizza le lotte del presente, e che testimonia come la storia in mano alle classi dominanti non sia un campo neutro ed oggettivo, ma uno strumento fondamentale in cui si calano visioni parziali e politicamente orientate.

Tanto più nell’attuale clima di guerra, diffondere una circolare simile nelle scuole assume un valore ulteriore, ovvero quello di normalizzare il bellicismo, di dipingerlo come atto eroico da lodare (magari da imitare?) in quanto animato dallo sforzo per la difesa della patria. La campagna di Russia è forse uno degli esempi storici più lampanti di come i giovani non abbiano niente da guadagnare dalla guerra, ma tutto da perdere. La retorica reazionaria del patriottismo e dell’eroismo di guerra ricompare oggi, non a caso, proprio in un periodo storico in cui la guerra imperialista è tornata nel cuore dell’Europa, imponendo enormi sacrifici ai lavoratori e minacciando il futuro della gioventù, già segnato da precarietà e sfruttamento.

Non sembra casuale in questo senso anche un’altra operazione, cioè quella di usare sistematicamente il termine “russi” per riferirsi ai sovietici: una sostituzione lessicale pregna di conseguenze vista la guerra in corso tra Ucraina e Russia, e che risponde a quel tentativo di sovrapporre la storia dell’Unione Sovietica a quella della Russia capitalista e imperialista odierna, al fine di legittimare il continuo invio di armamenti per sostenere il prosieguo di questo massacro sulla pelle dei popoli.

Proprio oggi che la guerra imperialista torna ad imporre enormi sacrifici ai lavoratori e alle lavoratrici, scaricando sulle loro spalle i costi dell’ennesima crisi e dell’ennesimo conflitto, la gioventù deve sapere da che parte schierarsi: non da quella di chi lucra sulla morte e sulla distruzione dei popoli; non dalla parte di chi impone aumenti esponenziali dei costi, licenziamenti e precarietà; non di certo dalla parte di chi taglia sempre più fondi all’istruzione, alla sanità e alla spesa sociale mentre garantisce miliardi di euro di armamenti per alimentare il perdurare della guerra.

La gioventù deve essere consapevole che l’unico modo per poter sfuggire ad una realtà fatta di incertezza e povertà e ad un futuro di precarietà e sfruttamento, è la lotta cosciente e organizzata, fianco a fianco con lavoratori e disoccupati, per abbattere un sistema che sprofonda ogni giorno davanti alle sue stesse contraddizioni, e che produce solo guerra, distruzione e morte. La difesa della memoria storica, in questo senso, non è solo un atto di preservazione della verità, ma un primo passo fondamentale per una prassi rivoluzionaria.


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