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«Non è da eroi decidere chi curare e chi no». Intervista a un’infermiera

L’emergenza sanitaria indotta dal Coronavirus ha messo a nudo tutte le debolezze del Sistema Sanitario Nazionale causate da anni di tagli scellerati alla sanità pubblica, l’unico vero argine per il contrasto dell’epidemia, sbugiardando una certa retorica privatistica che la vede un peso per la società. I costi della crisi sono scaricati sui lavoratori, e medici, infermieri e operatori sanitari sono fisicamente coinvolti perchè in prima linea. Ne parliamo con Elena, nome di fantasia, infermiera in una struttura pugliese.

Partiamo dalle condizioni di lavoro. Come vivete questo periodo di emergenza? Le giornate sono scandite da un sentimento estremo di preoccupazione legata all’incombere del rischio di contagio per tutti i lavoratori della struttura ospedaliera. Dal punto di vista psicologico siamo molto provati perchè continuamente informati di colleghi che si ammalano e muoiono. È difficile convivere con questa angoscia.

Una situazione indotta dalla fragilità del fattore-sicurezza a tutela di tutti gli operatori sanitari. Infatti: le condizioni di lavoro non sono uniformi all’interno dell’ospedale. Passiamo da un contesto come il reparto covid o il settore dedicato ai tamponi, in cui sono garantine generalmente le protezioni idonee a proteggersi dal virus, al resto dei reparti in cui si va in giro senza protezioni valide. Abbiamo una situazione in cui i dispositivi di sicurezza individuali sono sufficienti solo per il reparto covid ma carenti nel resto della struttura. Ci sono stati periodi in cui abbiamo tenuto la stessa mascherina per oltre 4-5 turni.

È un’emergenza che non si limita nella zona dove vengono ricoverati i pazienti affetti dal Coronavirus perchè: nei reparti non covid hanno solo mascherine chirurgiche che non servono a nulla, non hanno altre protezioni. Chiaramente questo aumenta enormemente la possibilità di espandere il contagio a macchia d’olio all’interno dell’ospedale: basta un paziente asintomatico che viene ricoverato in un reparto non-covid e sarà causa di contagio tra il personale sanitario oltre che tra gli altri pazienti. Una situazione similare in tutte le strutture sanitarie della provincia. È palese il rischio al quale ci stiamo esponendo: se non riescono a garantire per tutti i lavoratori adeguati dispositivi di protezione, l’epilogo sarà trasformare gli ospedali in focolai della malattia, luoghi in cui le persone al posto di guarire si ammaleranno e diffonderanno il contagio.

Aggiunge: quello che sto notando è tanta disorganizzazione nell’affrontare l’emergenza, e menomale che non abbiamo i numeri della Lombardia altrimenti sarebbe il disastro! Le linee guida cambiano continuamente, non si riesce ad avere un criterio standard, facciamo le cose di fretta cercando di rispettare il susseguirsi delle direttive. In ogni reparto c’è il caos, lo eravamo in tempo di pace… figurarsi oggi. Non siamo strutturalmente in grado di fronteggiare a dovere l’emergenza. Soprattutto al sud. E nel territorio le cose vanno ancora peggio. Scontiamo la disorganizzazione del sistema sanitario. La gente è preoccupata e non sa che fare, i medici di base, che probabilmente non hanno neanche i dispositivi di protezione adeguati, si rifiutano di andare a visitare i pazienti e li invitano a recarsi direttamente in ospedale.

I costi dell’emergenza derivante dal Coronavirus sono tutti sulle spalle dei lavoratori. Infatti l’infermiera dichiara: noi ci stiamo battendo per farci sottoporre spesso e tutti al tampone, perchè ad oggi c’è solo un tampone ogni due settimane, e nell’arco di 15 giorni può succedere di tutto, se vieni infettato probabilmente i sintomi non si presenteranno prima del test successivo e il risultato è il moltiplicarsi del contagio.

Evidenziando il rischio altissimo di contagio a causa di un mix di fattori che vanno da carenze di dispositivi di protezione adeguati, pratiche difficilmente sostenibili correttamente: noi non beviamo ne andiamo in bagno, unito ai turni intensi, il rischio di contagio aumenta esponenzialmente, e sembra quasi che allo Stato non conviene farci fare il tampone perchè molti di noi risulterebbero positivi anche se asintomatici, questo vorrebbe dire rimanere a casa e, data la carenza di organico, il collasso del Sistema Sanitario Nazionale.

Oggi la politica si ricorda di voi. Cosa dici a riguardo? Aria di “gratitudine” tutti ti ringraziano ma dobbiamo vivere di sostanza. Bisogna rispettarci a prescindere da questa situazione. Poco tempo fa non perdevano occasione di mancarci di rispetto, oggi non lo farebbero ma quando l’emergenza sarà rientrata, forse lo faranno, perchè si dimenticheranno di tutto, saremo i soliti lavoratori del pubblico, “fannulloni” e inefficienti.

La politica vi dipinge come eroi… Non ci consideriamo affatto degli eroi. Io non mi sento “super” perchè questo è il mio lavoro e vogliamo essere messi nelle condizioni di farlo in sicurezza. Non è da eroi decidere su chi devi curare e chi no, soprattutto perchè se non ci fossero stati miliardi di tagli alla sanità pubblica avremmo potuto affrontare questa emergenza con più razionalità e umanità. Noi siamo costretti a lavorare con stipendi bassi, non abbiamo indennità di rischio, e nonostante ciò capita che vengano richiesti doppi turni. Un’emergenza nell’emergenza. Se serve una mano tu lo fai anche per spirito solidaristico con i colleghi. Fai di tutto in più per aiutare i colleghi, non è sempre per disposizione di servizio. Lo fai perché c’è bisogno.

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