La resistenza nella Sabina e nella provincia di Rieti ha visto molti protagonisti, in particolare la brigata D’Ercole-Stalin nata dall’unione della banda D’Ercole, che prende il nome dall’ufficiale Patrizio D’Ercole che la guidava, con la brigata Stalin composta dai comunisti della zona. Abbiamo raccolto la testimonianza del compagno Renzo Ricci, componente della brigata Stalin.
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Ciao Renzo, puoi dirci innanzitutto come hai iniziato il tuo percorso nella Resistenza e quali sono i motivi che ti hanno spinto a farne parte?
Mio padre fu cacciato dalle ferrovie perché era stato uno degli organizzatori dello sciopero nazionale contro il fascismo del 1920, finì in galera con Pertini. Ho vissuto l’antifascismo sin da bambino, sentimento che poi è stato sempre più forte man mano che crescevo, ecco perché per me è stato naturale entrare nella Resistenza.
Qual è stato il primo ruolo che hai avuto nella brigata D’Ercole Stalin? Quali sono le azioni più significative di cui hai ricordo?
Le azioni sono state tantissime! Non solo quelle con il mitra (anche quelle naturalmente si facevano), ma anche azioni diverse, come azioni di disturbo, in particolare ai nazisti. Come il lancio dei chiodi a quattro punte sulle strade per ostacolare i rifornimenti a Cassino o le ritirate del nemico; oppure l’attacco ai camion singoli, che costringevano i nazisti ad assicurarli con la scorta di camionette con mitragliatrici, distogliendo risorse dai punti più caldi della guerra. La resistenza è stata importante perché ha distolto decine di divisioni naziste dai fronti, permettendo una vittoria più rapida. Ho partecipato ad una delle tante azioni della mia brigata, la D’Ercole-Stalin, compiuta alla stazione di Poggio Mirteto. Fu spettacolare. Era parcheggiato il treno privato di Mussolini, portato li per essere più sicuro dai bombardamenti aerei alleati. Erano in sosta anche due treni merci tedeschi carichi di armi, munizioni e carburante diretti al fronte di Cassino. Notata la perdita di carburante da uno dei vagoni, ci avvicinammo furtivamente e, utilizzando un sistema ingegnoso fatto con dei fiammiferi, lo accendemmo e ci allontanammo. Dopo pochi secondi si sviluppò un enorme incendio che distrusse il treno di Mussolini e i due treni merci. I fascisti e i tedeschi di guardia alla stazione guardavano in alto circondati da fiamme e scoppi. No! Questa volta non è stata l’aviazione alleata, ma i partigiani della mia brigata, la Stalin!
Hai detto che avevi 15 anni, giovanissimo quindi ha deciso di rischiare la vita pur di difendere un ideale, di lottare per i valori della Resistenza. Guardando alla situazione contemporanea, è questa l’Italia che voi partigiani pensavate sarebbe nata?
Sì, in tutte le formazioni della nostra provincia c’erano ragazzi di 13, 14 e 15 anni che hanno combattuto con un mitra in mano. All’inizio c’era tanto entusiasmo per il futuro e anche tanto odio per il nazifascismo. Ci si aspettava un’Italia libera, indipendente e antifascista, ma così non è avvenuto. Una delle cose che i partigiani italiani non possono dimenticare è Palmiro Togliatti e la sua amnistia nei confronti dei fascisti. Non si è mai capito il perché di quel provvedimento: i fascisti erano già tutti in galera e dovevano essere processati.
Quindi a quel punto a chi facevate riferimento?.
A Luigi Longo… E a Pietro Secchia, naturalmente.
La sua brigata è la “D’Ercole-Stalin”. Era un’unica brigata ma composta da militanti di orientamenti differenti?
Sì, c’erano simpatizzanti di altre aree ma la maggior parte apparteneva al PCI. Io presi la prima tessera del PCI nel 1944: era un talloncino verde, era clandestina.
C’era traccia dei fascisti quando già i partigiani italiani combattevano contro i nazisti?
Durante la Resistenza nessuno era più fascista. A qualsiasi fascista lo si chiedesse, rispondeva che fascista non lo era mai stato per scelta, ma era stato obbligato. Si aveva orami timore di ammettere di esser stati fascisti.
Pensavate che la Resistenza fosse anche una lotta di classe, oltre che una lotta per respingere il nazifascismo?
Noi speravamo in una società socialista, ci credevamo fortemente, anzi, ne eravamo sicuri. E poi è nata la delusione, per tanti motivi: sia per fattori interni del nostro paese, sia per affari internazionali. La Rivoluzione non viene propugnata dall’alto, ma se avviene, avviene dal basso, come ha affermato Che Guevara. Finché il popolo non è maturo, non vi può essere Rivoluzione.
Quali emozioni ti suscita il ricordo dei tempi della resistenza?
Vi devo confessare una cosa. Sapete cosa: mi capita spesso di sognare di essere ancora nella Resistenza. Uno potrebbe dire “allora sei anche un po’…(fuori)”. No… mi sveglio ancora convinto che non sia finita. Ricordo sempre i compagni che ho conosciuto nella Resistenza e che hanno lottato insieme a me.
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Intervista realizzata dal FGC Rieti. 11 luglio 2020, Passo Corese.